Questa è la Parte I della #aDevStory su Embracer Group, dedicata alla storia della holding dalla fondazione a oggi.
Qui invece trovate la Parte II, in cui vi presento TUTTI gli studi di sviluppo PC e console di cui Embracer è proprietaria, e la Parte III, in cui passo in rassegna le divisioni Mobile, Tabletop e Intrattenimento & Servizi.
Cos’hanno in comune le IP Metro, Timesplitters, Ride, Tomb Raider, Saints Row, Elex, Borderlands e Destroy All Humans? Nulla, eccetto il loro proprietario.
Direte voi: “ma appartengono tutte a studi diversi” e avete ragione; 4A Games, Milestone, Gearbox e compagnia bella sono developers con storie che nulla hanno a che fare le une con le altre.
Eppure tutti questi studi sono membri di un’unica grande famiglia che parla svedese: è il momento di puntare i riflettori su Embracer Group, una delle più grandi holdings dell’industria videoludica contemporanea, che racchiude in sé 119 studi di sviluppo e 9.000 dipendenti provenienti da tutto il mondo ma di cui incredibilmente non si parla quasi mai.
Io stesso ammetto di essermi reso conto della sua esistenza solo di recente, quando stavo curiosando circa la storia del developer THQ Nordic, resa complicata dal frequente cambio di nome dell’azienda.
Ad un certo punto sono esistite ben 2 compagnie denominate THQ, una sussidiaria dell’altra, motivo per cui quella principale ha cambiato il proprio nome in Embracer Group, che è nata di nome solamente nel 2019. Ma la storia di questa holding è ben più lunga: è una storia di talento imprenditoriale mischiata ad ossessione per il collezionismo, due caratteristiche distintive della personalità del suo geniale fondatore, Lars Wingefors, classe 1977, che può vantare un patrimonio personale di 2.4 miliardi di dollari (fonte). Niente male per un imprenditore partito dal rivendere fumetti usati nella cittadina di Karlstad, Svezia!
All’inizio degli anni ’90 il giovane Wingefors sviluppa un grande interesse per il fumetto Fantomen, ovvero una serie basata sul personaggio di The Phantom (creato da Lee Falk nel 1936 negli Stati Uniti e conosciuto in Italia come l’Uomo Mascherato), portate al successo in Svezia negli anni ’70 e ’80 dalle storie originali concepite dalla squadra editoriale ribattezzata affettuosamente “Team Fantomen”. L’interesse di Wingefors non è però suscitato dal fascino del personaggio in sé, bensì dal valore economico del fumetto, già allora oggetto del desiderio per i collezionisti svedesi.
Wingefors si rende conto che comprando per pochi spiccioli dei vecchi fumetti al mercato, può rivenderli con un buon margine ai collezionisti. Inizia perciò ad accumulare fumetti usati, ne stila un catalogo, acquisisce per pochi soldi un vecchio registro di indirizzi di clienti di una compagnia che piazza ordini su corrispondenza e investe qualche soldo in pubblicità. Tutto ciò non come attività “sottobanco”, ma con tutti i crismi di una regolare società, denominata LW Comics, che fattura circa 300.000 corone all’anno.
Piccolo particolare: Lars Wingefors ha solo 13 anni!
Era semplicemente il valore economico di quelle testate ad interessarmi. Mi resi conto che potevo acquistare dei fumetti per pochi spiccioli al mercato delle pulci. Dopodiché migliaia di altre persone sarebbero state disposte a pagare diverse migliaia di corone per acquistare quelle stesse riviste.
Lars Wingefors intervistato da Daniel Mellwing per Enterprenor – 1 marzo 2011
Al giovane e talentuosissimo imprenditore non ci vuole molto a capire che c’è un mercato potenzialmente molto più grande di quello dei fumetti usati, ovvero quello dei videogiochi usati! Motivo per cui alla veneranda età di 16 anni fonda la sua seconda compagnia, incentrata proprio sulla compravendita di videogiochi di seconda mano: nasce Nordic Games, che passa nel giro di pochi anni dal modello di business per corrispondenza alla catena di negozi fisici, con punti vendita sparsi in tutta la Svezia. In questo periodo entra in azienda Pelle Lundberg, proprietario di uno dei tanti negozi acquisiti dalla compagnia. Diventerà una delle figure chiave di Nordic Games, come vedremo in seguito.
Per qualche anno il business ha successo, finché inizia un periodo di stagnazione. Nel 2000 Wingefors trova una compagnia interessata ad acquisire Nordic Games: si tratta di Gameplay Stockholm, che la compra in blocco. Anche questa manovra non riesce a risanare particolarmente i bilanci della società, che rimangono traballanti nonostante varie iniziative messe in campo da Gameplay per revitalizzarla.
Finanziariamente non ci furono progressi. [Gameplay] provò a lanciare diversi giochi mobile oppure servizi di download di giochi sulla TV via cavo e cose del genere. Purtroppo però all’epoca non esisteva ancora un mercato per questo genere di iniziative. Quando scoppiò la bolla dell’IT, finirono i soldi a grande velocità.
Lars Wingefors intervistato da Daniel Mellwing per Enterprenor – 1 marzo 2011
Per chi non lo sapesse, la bolla dell’IT o “bolla delle dot-com” fu il risultato della grande speculazione finanziaria diffusasi a cavallo degli anni ’90 e ’00 inerente le società operanti nell’allora nascente mercato di Internet, e che portò al fallimento di molte di queste.
Risultato: Wingefors è in grado di ricomprare la sua azienda per un prezzo modico: una corona! (fonte). Passa qualche anno a risanarla, tirando dentro nuovi soci e investitori. Non è un compito facile, e nonostante gli sforzi è costretto a dichiarare bancarotta nel 2004: “Stavo vivendo un periodo di crisi. Certamente avevo venduto l’azienda pochi anni prima perciò avevo un patrimonio di 40 milioni di corone, ma causa delle fluttuazioni di Borsa il tutto si era ridotto a pochi milioni, e in tutto questo dovevo ancora finire il liceo!“, racconta ad Enterprenor.
Mai a corto della sua risorsa più preziosa, ovvero l’intelligenza imprenditoriale, Wingefors riparte con una nuova società, denominata Game Outlet Europe. L’ambito di impresa è sempre quello dei videogiochi, ma stavolta il Paperone di Karlstad ha in mente un modello di business alternativo al passato, che si rivelerà vincente: comprare stock invenduti di giochi da grandi publishers come EA, riconfezionarli e venderli a negozi e distributori di mercati distanti, dove sono meno diffusi o inflazionati. L’attività è un successo che permette a Wingefors di risorgere dalle sue ceneri, accumulando una fortuna in pochi anni.
Un gioco che non ha molto successo nei paesi nordici potrebbe viceversa andare molto bene in Russia o in Australia. Negli ultimi dieci anni [si riferisce alla decade 2000-2010, ndr] sono stati prodotti qualcosa come 25.000 giochi, e un normale negozio fisico vende si è no un migliaio di titoli, con il risultato che gli altri 24.000 sono di difficile accesso per i consumatori. È un mercato enorme! L’anno scorso [2010] abbiamo venduto qualcosa come 5 milioni di giochi e accumulato ricavi per oltre 300 milioni di corone.
Lars Wingefors intervistato da Daniel Mellwing per Enterprenor – 1 marzo 2011
Quando l’azienda diviene abbastanza florida, Wingefors decide di passare allo stadio successivo, creando una sussidiaria dedita al publishing videoludico: tale compagnia viene fondata nel 2008 ed è nominata, ancora una volta, Nordic Games, risorta in tal modo dalle ceneri del fallimento di qualche anno prima.
Alla sua guida viene posto Pelle Lundberg, antico socio d’affari di Wingefors di cui si è accennato in precedenza, che assume la carica di CEO. La macchina imprenditoriale di Wingefors e Lundberg è ben avviata, e l’inarrestabile corsa verso l’espansione ed il successo inizia.
È un momento eccitante per la compagnia, e con la grande espansione del mercato abbiamo sentito che era il momento giusto per lanciarci nel business della pubblicazione videoludica. (…) Piattaforme da gioco quali PlayStation 2 hanno davanti a sé almeno altri 3 anni prima di esaurire il loro ciclo vitale, e noi sapremo trarne vantaggio. Inoltre, essendo svedesi, adottiamo una filosofia “alla IKEA” nella nostra attività, il che significa che ogni prodotto che daremo alle stampe mira a consegnare al consumatore una grande qualità ad un prezzo estremamente conveniente.
Pelle Lundberg citato da Gameindustry in occasione dell’annuncio del lancio di Nordic Games – 22 agosto 2008
L’azienda promette di offrire titoli adatti ad un larghissimo pubblico, e così è. Rendendosi conto che non esiste un equivalente di SingStar per la console Nintendo di quel momento, ovvero Wii, Nordic Games decide di crearlo da sé: nasce il progetto We Sing. Né più né meno di un semplice gioco di karaoke (anche se permette di collegare 4 microfoni in contemporanea, contro i 2 del titolo rivale), va a riempire un vuoto di genere di cui il pubblico Wii sentiva evidentemente l’esigenza, dato che diviene il titolo con il maggior numero di pre-order di tutta la storia Nintendo, se si escludono i titoli della serie Mario.
Come si è arrivati a questa mossa vincente? Ancora una volta, il successo si deve all’intuito di Wingefors e Lundberg, o meglio al loro spirito di osservazione:
Siamo dei veri nerd per le statistiche e i cataloghi, e siamo anche bravi a vedere quali prodotti vendono di più all’interno dei nostri stock. Nel corso del tempo abbiamo imparato a renderci conto di quali prodotti vendono di più, e sappiamo che se lo stock in questione non si esaurisce rapidamente, c’è qualcosa che non funziona in quel particolare gioco.
Pelle Lundberg intervistato da Nina Åkerberg per Dagens Industri – 28 novembre 2009
I due imprenditori sono consci del successo clamoroso riscosso dalla serie SingStar sulle console Sony, basta osservare la rapidità con cui gli stock si esauriscono per rendersene conto.
Altrettanto facile è notare come non esista un gioco equivalente per Nintendo Wii, i cui unici excursus canori sono possibili all’interno di giochi come Guitar Hero o Rock Band, titoli non certo comprati per essere giocati come karaoke.
Ecco quindi l’idea di proporre a Nintendo la creazione di gioco a tema. La grande N risponde inviando un documento di 100 pagine con una lista di requisiti tecnici, non ultimo la necessità di vendere il gioco assieme ad almeno un microfono, tassativamente di marca Logitech.
Nordic accontenta tutte le richieste, chiude l’accordo e affida lo sviluppo del titolo al developer francese Le Cortex, mentre affida al produttore inglese Wired Productions la composizione della setlist di canzoni, risultato di 4 mesi di ricerche nei karaoke di Watford e di contrattazioni con EMI, Warner e Universal per la cessione dei diritti musicali. We Sing esce giusto in tempo per le festività (12 novembre in Australia e 13 novembre in Europa) ed è un successo clamoroso, costituendo quasi il 75% dei ricavi annuali di Nordic Games:
L’unico limite alla costante pubblicazione del gioco è rappresentato dalla quantità di microfoni che Logitech è in grado di fornirci! Ho raschiato il fondo del barile del mercato dei microfoni, comprando tutti i lotti invenduti, e ora è praticamente impossibile riuscire a racimolarne altri fino a dopo Natale.
Pelle Lundberg, ibid.
Il successo si ripete negli anni seguenti, e in breve l’azienda è cresciuta tanto da richiedere una sovrastruttura: nel 2011 nasce Nordic Games Holding, a supervisionare e gestire il publisher Nordic Games da una parte e il distributore Game Outlet Europe dall’altra. A questo punto Wingefors si sente abbastanza sicuro da tentare il salto di qualità, dandosi all’internazionalizzazione della società e dedicandosi all’acquisizione di studi di sviluppo esterni. Ed è qui che entra in gioco THQ.
La prima incarnazione di THQ è una creatura di Jack Friedman, imprenditore statunitense specializzato nel business dei giocattoli (aveva iniziato come commesso viaggiatore di giocattoli per la ditta Norman J. Lewis Associates). Sua era infatti la compagnia LJN, ditta fabbricatrice di giochi, dalle action figures ai giochi da tavolo fino ai videogames, per lo più titoli su licenza. Si devono a LJN numerosi tie-in videoludici sulle console Nintendo di celebri film e fumetti per ragazzi lanciati nel corso di tutti gli anni ’80 e ’90, da Karate Kid e Back to the Future per NES, a Terminator 2 e Spider-Man per Game Boy, fino a Alien 3 e Cutthroat Island per SNES.
È un modello di business semplice ed efficace, non si concentra sulla qualità dei titoli (spesso di livello medio-basso) bensì sul richiamo dei brand, che assicura alte vendite con costi di produzione contenuti. A questo punto però Friedman ha già lasciato la compagnia, acquisita nel frattempo da MCA, allora proprietaria di Universal Films: si procede a catena di montaggio, con Universal a sfornare film, LJN a produrre giochi con le licenze di tali film ed MCA a raccogliere e redistribuire i proventi dell’una e dell’altra compagnia (il video qui sotto spiega benissimo il tutto). Friedman vuole rimanere indipendente, così si lancia in una seconda avventura imprenditoriale, fondando T(oys)H(ead)Q(uarters) nel 1990.
La compagnia sceglie per i primi anni lo stesso business misto di giochi fisici e videogames intrapreso da LJN, per poi focalizzarsi unicamente sui videogiochi a partire dal 1994, un anno prima dell’abbandono da parte del suo fondatore. Friedman infatti ha adottato lo stesso modello di business della sua prima azienda, producendo videogiochi su licenza senza curarsi troppo della raffinatezza tecnica e di design degli stessi, ma stavolta ha fatto male i suoi calcoli.
L’industria videoludica infatti sta rapidamente cambiando, facendosi più avanzata e matura, con una concorrenza in costante aumento, sviluppatori preparati e tecnologie avanguardistiche. Il videogioco sta evolvendo in qualcosa di difficilmente comprensibile per un imprenditore abituato a considerarli alla stregua di un qualsiasi altro giocattolo. Spiega il suo socio Joel Bennett: “All’epoca [primi anni ’90] i videogiochi erano considerati alla stregua di giocattoli piuttosto che dispositivi tecnologici. [il mercato] si diresse al di fuori della zona di comfort cui Jack era abituato, lui è una persona più orientata alle tecnologie tradizionali” (fonte).
Friedman lascia la compagnia per fondarne una terza, JAKKS Pacific, e la guida di THQ passa a Brian Farrell, fino ad allora vicepresidente. Sotto la sua direzione THQ inizia a prosperare divenendo una grande holding videoludica, fungendo sia da publisher che da proprietaria di numerosi studi di sviluppo acquisiti durante tutti gli anni ’90 e ’00, tra cui ricordiamo Relic (developer di Homeworld e Warhammer 40.000) e Volition (creatore di Red Faction e Saints Row). Raggiunge il suo picco positivo nel 2007, quando genera oltre un miliardo di dollari di ricavi. Poi iniziano i problemi.
Una lunga serie di scelte sbagliate mina la stabilità della compagnia: da un lato, l’insistenza nella produzione di videogiochi pensati per un pubblico prettamente infantile (ad esempio la serie di giochi basati sulla serie animata Rugrats) genera sempre meno incassi, probabilmente a causa della vieppiù crescente concorrenza mobile; dall’altro, la politica fortemente espansionista dell’azienda non sa trovare una quadra circa le scelte di investimento sulle giuste IP, con il risultato di una sovrapproduzione di giochi, pochi dei quali davvero redditizi, e di spese eccessive in attività corollarie quali promozione e distribuzione. Una della batoste maggiori arriva poi dal fronte della produzione hardware, con uno dei più clamorosi errori della compagnia: la uDraw Game Tablet.
A metà tra un controller e una tavoletta grafica, uDraw è concepita inizialmente come periferica per Nintendo Wii, ma venne poi adattata anche per Ps3 e Xbox 360. Vengono prodotti 11 titoli per Wii che richiedono uDraw per funzionare ma, dopo un iniziale risposta dal pubblico, il mercato recepisce con indifferenza il nuovo prodotto. In parte perché i titoli concepiti appositamente per la periferica consistono più che altro in minigiochi poco accattivanti, in parte perché il mercato delle periferiche console è già occupato da PlayStation Move e Kinect, che hanno dalla loro titoli più rifiniti.
La produzione della periferica è dismessa dopo appena due anni, avendo generato una voragine da 100 milioni di dollari di perdite per l’azienda (fonte). Jason Rubin, chiamato alle redini della compagnia nel 2012 nel vano tentativo di salvarla, sintetizza efficacemente le ragioni del collasso:
Sfortunatamente, furono compiuti tantissimi errori ben prima del mio arrivo, ad esempio le incredibili perdite legate a uDraw, l’enorme capitale sprecato nello sviluppo di un inedito MMO poi cancellato, l’attitudine dell’azienda a concentrarsi nella produzione di titoli per bambini e casual gamers in un’epoca in cui smartphones e tablets avevano già saturato da tempo quella fetta di mercato. E poi titoli scadenti, usciti in ritardo o comunque dalle vendite inferiori alle aspettative come Homefront, e un approccio generalmente disordinato e inefficiente allo sviluppo, hanno lasciato la compagnia incagliata in troppi progetti fallimentari.
Jason Rubin citato da MCV UK – 31 gennaio 2013
Nulla può sanare i conti dell’azienda, nemmeno la vendita in blocco dei suoi maggiori successi a offerta libera via Humble Bundle (fonte). Il 19 dicembre 2012 THQ dichiara la bancarotta e procede a vendere i suoi assets secondo le procedure previste dal Capitolo 11 della legge fallimentare degli Stati Uniti.
Scrive Rubin in commento al comunicato stampa ufficiale: “Abbiamo degli incredibili talenti creativi a THQ e siamo ansiosi di istituire partnership con investitori esperti per dare il via ad un nuovo inizio, mentre continueremo ad utilizzare le nostre IP per sviluppare giochi di grande qualità, creare nuovi franchise e stimolare la domanda del mercato sia fisico che digitale” (fonte). Ovviamente la realtà è l’opposto della visione ottimista di Rubin; quello che accadde nei fatti è un banchetto di corvi, in cui l’azienda viene smembrata tra diversi soggetti che ne acquistano per pochi soldi le IP più famose e redditizie: Warhammer 40.000 va a SEGA, WWE a Take-Two, Homeworld a Gearbox e così via.
Al banchetto partecipa anche Nordic Games, che acquisisce quel che resta di THQ il 12 giugno 2014, incluso il diritto di sfruttamento del marchio. Ecco perché giochi targati THQ continuano ad essere pubblicati, pur essendo dissolta la compagnia che portava quel nome. O meglio, è risorta, come da prassi di Wingefors e soci: nel 2016 il nome Nordic Games cessa di esistere, sostituito da THQ Nordic.
Perché Nordic Games acquisisce un’azienda fallita?
La mossa è comprensibile nell’ottica espansionistica che l’azienda ha adottato a partire dal 2011: Wingefors ha deciso di creare una grande compagnia che possa non solo pubblicare, ma anche sviluppare internamente videogiochi. Per fare ciò serve un catalogo di IP di richiamo da una parte, e delle professionalità qualificate dall’altra. THQ può contribuire in entrambi questi aspetti. Vero, il suo portfolio è stato spartito tra numerosi proprietari, ma è ancora forte di alcuni franchise storici quali Darksiders e Red Faction, oltre che degli studi e del personale che li creati, o almeno parte di essi.
Si tratta di un boccone estremamente succulento, comprendente un totale di ben 150 titoli, di cui Nordic Games è in grado di comprarsi la proprietà per “soli” 4.9 milioni di dollari!
Nel lungo periodo, siamo intenzionati a collaborare con gli sviluppatori originali se possibile, o con i migliori sviluppatori in alternativa, per lavorare su sequel o contenuti aggiuntivi per questi titoli. Un punto molto importante per noi è non lanciarci subito nel finanziamento di diversi progetti multimilionari, ma piuttosto continuare la nostra analisi approfondita di tutti i titoli e mettere a punto modelli di finanziamento diversificati e specifici per sviluppare futuri capitoli delle IP che abbiamo acquisito.
Lars Wingefors citato da Michael McWhertor su Polygon – 22 aprile 2013
Nordic Games Holding continua il suo percorso di crescita e vuole riflettere questo suo sempre maggior protagonismo nel mercato videoludico operando un rebranding del proprio nome, come già accaduto in passato. La scelta ricade proprio sull’utilizzo del marchio “THQ” il quale, nonostante le tristi vicissitudini che ne hanno causato l’oblio, è vivo nel cuore di molti giocatori grazie al gran numero di serie di successo pubblicate nel corso della sua storia. Il cambio di nome avviene nel 2016, quando Nordic Games Holding viene ribattezzata THQ Nordic AB, mentre la sussidiaria Nordic Games è rinominata THQ Nordic GmbH. Insomma, l’allegra euforia dell’imprenditore – e un anno di discussioni interne nel board aziendale (fonte) – porta di fatto alla nascita di ben due aziende denominate THQ Nordic, una proprietaria e l’altra developer/publisher: destino roseo per un marchio che ha rischiato di scomparire per sempre dalla storia del gaming!
Sono anni di crescita roboante e senza freni: investendo in modo costante con una politica di acquisizione di studi piccoli e medi, nel giro di pochi anni THQ Nordic “madre” è in grado di recuperare pressoché tutte le IP storiche della THQ originale.
Come? Comprando gli studi che se ne sono appropriati!
Certo, non tutte tornano in possesso di THQ Nordic “figlia”, vengono piuttosto spartite nelle tante divisioni che si vengono a creare all’interno della grande idrovora concepita da Wingefors, la quale porta a segno uno colpi più clamorosi con l’acquisizione di Koch Media nel 2018: con questo acquisto THQ Nordic si assicura la proprietà di un numero ingente di developers e IP, da Metro a Timesplitters solo per citarne due.
Chi va piano va sano e va lontano, ma Wingefors sembra cavarsela bene pur andando fortissimo.
Siamo stati bravi a cogliere le opportunità. (…) Mi piace avere un portafoglio molto diversificato di IP, per esempio. Abbiamo acquisito una serie di IP – più di 100 attualmente. (…) Abbiamo fatto più di 30 acquisizioni dal 2011. Capisco bene il mondo della distribuzione nelle catene retail perché è il mio background imprenditoriale. Forse altri non sono in grado di capirlo allo stesso modo. Vedo davvero il vantaggio di avere questo potere di distribuzione come publisher. Ora abbiamo incanalato la distribuzione dei titoli THQ Nordic tramite Koch Media in tutta Europa.
Lars Wingefors intervistato da Alex Calvin per PCGameInsider – 29 agosto 2018
L’unico inceppo a questo punto è rappresentato unicamente dalla confusione generata dai nomi delle società: la coesistenza di due aziende denominate THQ Nordic genera confusione, e la discussione circa l’opportunità di dare un nome più distinguibile alla casa madre è ormai impellente. La cosa si concretizza il 17 settembre 2019, quando finalmente l’azienda assume il nome attuale: nasce Embracer Group.
Le informazioni scritte di seguito sono ormai obsolete, ma le mantengo qui per informazione storica: se non vi interessa passate direttamente alla sezione successiva.
Se invece volete un approfondimento molto più dettagliato ed aggiornato sugli studi PC/console di proprietà dell’azienda vi rimando alla Parte II di questa #aDevStory.
Nell’ultimo biennio Embracer Group ha acquisito studi di sviluppo ad un ritmo da far invidia a Microsoft (una ventina solo nel corso del 2021!), portando il computo totale a 119.
La filosofia aziendale della holding prevede di garantire agli studi ampi spazi di libertà nella gestione delle proprie IP, ad esempio non mette vincoli rispetto agli annunci delle date di uscita dei giochi, lasciando i devs liberi di renderle pubbliche solo quando lo ritengono opportuno. Ciò non significa che la casa madre non ricorra ad una precisa organizzazione interna, attualmente (maggio 2022) articolata in 10 divisioni operative; vediamo quali sono, di quali IP sono responsabili e come stanno performando in base agli ultimi dati finanziari (Q2 2021-22) presentati dalla compagnia.
Festeggia il decennale quella che è probabilmente la più importante divisione in termini di IP storiche e di richiamo di pubblico. Fondata nel 2011 (quando ancora si chiamava solo Nordic Games) THQ Nordic è un agglomerato che all’oggi conta 23 studi interni sparsi in Europa, Nord America e Asia.
Al suo interno trovano posto, ad esempio, Black Forest Games, developer tedesco creatore di Destroy All Humans!; oppure Piranha Bytes, attualmente al lavoro su Elex II; e ancora Experiment 101, il cui action RPG Biomutant è stato uno dei titoli più chiacchierati della stagione appena trascorsa; e l’elenco potrebbe continuare citando franchise come Darksiders, Jagged Alliance, Kingdoms of Amalur e Outcast.
L’azienda, che ha realizzato quest’anno il suo primo digital showcase, ha avuto una performance inferiore al Q2 dell’anno precedente, ma a giudicare dai titoli di prossimo arrivo, si tratta delle quiete prima della tempesta: si tratta di un’offerta estremamente diversificata che va dai titoli più kids oriented quali Spongebob o DAH!2 a titoli più hardcore quali Elex II, senza dimenticare l’effetto nostalgia provocato dall’annuncio di Outcast 2, a oltre 20 anni di distanza dal primo capitolo.
A sua volta holding di numerosi studi e publisher, Koch Media rappresenta una discreta potenza in termini di presenza sul mercato videoludico e dell’intrattenimento digitale in generale. Attraverso la sua acquisizione (avvenuta in più riprese tra il 2018 e il 2021) Embracer ha recuperato molte delle IP che erano state vendute da THQ all’epoca del suo fallimento, come ad esempio Saints Row.
Koch Media ha al suo interno dei cavalli di razza, tra cui la nostrana Milestone, artefice delle simulazioni di guida più avanzate e redditizie presenti sul mercato; Vertigo Games, specializzata nelle produzioni VR; Ravenscourt, specializzata in produzioni a basso budget e giochi karaoke; Deep Silver, publisher che racchiude al suo interno i developer Dambuster Studios (Homefront), Fishlabs (port mobile e smartphone di Saints Row e altri franchise), Free Radical Design (al lavoro su un nuovo Timesplitters), Volition (Saints Row e Red Faction), Warhorse Studios (Kingdom Come: Deliverance); e infine il publisher Prime Matter (di cui abbiamo provato recentemente Dolmen).
Koch Media è forte di serie di lungo corso in catalogo e di notevoli successi recenti: Hot Wheels di Milestone è stato uno dei più notevoli, e l’azienda milanese festeggia quest’anno il quarto di secolo. Oltre a ciò molti titoli in sviluppo contribuiscono a tenere alta l’attenzione e la fiducia verso il gruppo, con particolare interesse per After The Fall, il primo esperimento di shooter cooperativo in VR: “Una vera esperienza Metaverse“, come la definisce lo stesso Wingefors nella videoconferenza che trovate sopra.
Divisione dedicata prevalentemente ad esperienze multigiocatore online, è composta da Coffee Stain, forte del recente Valheim e artefice precedentemente di Goat Simulator; e Ghost Ship Games, piccolo studio danese responsabile di Deep Rock Galactic, un cooperativo online che ci vede impersonare dei nani minatori galattici impegnati in una corsa all’accumulo di risorse geo-spaziali.
Gruppo di investimento svedese che sovvenziona tanti studi medio-piccoli soprattutto europei, nati di recente e che in molti casi non hanno ancora fatto il loro debutto sul mercato. I focus di questi studi sembrano essere esperienze multiplayer oppure titoli AA di varia natura. Lo studio più famoso di questi è senza dubbio Tarsier Studios, fautore della celebre serie adventure Little Nightmares. Essendo che molti di questi studi ancora non hannno piazzato titoli, non esistono dati aggregati in merito alla performance complessiva della divisione, per cui se ne saprà di più nel corso del 2022.
Saber è una delle divisioni di maggior interesse, forte di alcuni marchi storici come la serie Metro, nonché di titoli di prossimo arrivo che fanno gola a molti palati, da Evil Dead: The Game a Warhammer 40.000: Space Marines II. La divisione è anche responsabile di numerose opere di Remastered, come la serie Crysis, nonché del molto atteso remake di Knights of the Old Republic ad opera del developer Aspyr Media.
Il grande successo ottenuto in questo Q2 è dovuto alla spinta di World War Z Aftermath (edizione espansa del gioco originale, completo di tutti i DLCs) e Insurgency Sandstorm, sparatutto online cross-gen e cross-play che ha realizzato ottimi profitti.
Al momento inoltre Saber Interactive è al lavoro su ben 33 titoli! ovviamente non tutti AAA, ma è chiaro che potremo aspettarci frequenti appuntamento con la compagnia nel corso dei prossimi anni, a partire dal tie-in di A Quiet Place su cui aleggia una certa curiosità, da quando è stato annunciato che seguirà una storia originale rispetto ai film.
Questa è la divisione specializzata in GaaS, che in gergo finanziario vengono inquadrati nelle cosiddette Live Ops: una pletora di attività online di cui il gioco è il nucleo centrale, spesso rilasciato in formato free to play, con un corollario di servizi aggiuntivi a pagamento.
Questa è la specialità della tedesca DECA, publisher di titoli per il mercato mobile dei generi più disparati, e dell’israeliana Crazy Labs, developer/publisher specializzato in casual e hyper-casual games, insomma esperienze mordi-e-fuggi per pendolari provvisti di smartphones 🙂
Facile capire come mai Embracer sia interessata a spingere l’acceleratore sul mobile gaming: basta guardare all’impennata dei profitti! In questo la holding di Wingefors è in buona compagnia, ormai solo un cieco potrebbe non accorgersi di quanto il mobile gaming sia redditizio, con una crescita costante che lo rende un segmento di anno in anno più importante nel mercato dei videogiochi (per una disamina generale sul fenomeno, vi rimando alla mia analisi di mercato).
Con una mossa astuta, proprio questa divisione ha portato alla prima incursione di Embracer nel mercato cinese, con l’acquisto di Jufeng Studio: “Tramite l’acquisizione, DECA Games ottiene accesso ad una grande fucina di talenti in Cina, ponendo le basi per una crescita futura nella regione dell’Asia-Pacifico” (fonte). Con una base di 200 milioni di utenti attivi su base mensile, c’è da aspettarsi che questa sia la divisione che crescerà più velocemente nei prossimi anni.
La divisione dedicata ai puzzle games, prevalentemente con destinazione mobile. Easybrain ha superato il miliardo di download dei suoi giochi, grazie a Killer Sudoku, Nonogram, Pixel Art e tanti altri giochi rompicapo che, in virtù del loro sempre verde successo, sono una fonte d’introito pressoché garantita.
Easybrain non ha subito un forte impatto a seguito delle modifiche dell’IDFA (ho spiegato il caso qui e qui), probabilmente grazie all’estrema riconoscibilità di questo tipo di giochi, che in certo senso si vende da sé. Chi non ha un Sudoku installato sul proprio smartphone, suvvia!
Ultima ma non certo per valore, Gearbox è un’istituzione del gaming, specialmente grazie al suo franchise più noto, Borderlands, nonché a Duke Nukem, IP ceduta da 3D Realms nel 2010 a seguito dello sviluppo disastroso di Duke Nukem Forever. Gearbox è stata comprata da Embracer Group ad aprile di quest’anno, dunque bisognerà aspettare il 2022 per vedere come questo nuovo corso impatterà sui bilanci dello studio. Ma la base è solida, a giudicare dai successi di Borderlands 3 e Tribes of Midgar, e il futuro appare altrettanto roseo. A dicembre 2021 inoltre Gearbox ha ufficializzato l’acquisizione di Shiver Entertainment, developer specializzato in porting e in supporto allo sviluppo, e Digic, studio specializzato nella realizzazione di animazioni 3D che ha curato la CGI di molti titoli moderni, da dragon Age a Destiny, dai recenti Assassin’s Creed a Watchdogs e molti altri.
Segno del benessere dell’azienda è l’apertura di un nuovo studio in Canada, che dovrebbe occupare 250 persone e lavorare ad un nuovo titolo AAA. Oltre a questo è in dirittura d’arrivo Tiny Tina’s Wonderlands, spin-off action-RPG di Borderlands, nonché il nuovo capitolo della serie RTS Homeworld. Tanta carne al fuoco per un team che ha molte frecce al suo arco.
Il 2 maggio 2022 è stata annunciata un’altra enorme acquisizione in blocco, questa volta riguardante Eidos-Montréal e le sue sussidiarie Crystal Dynamics e Square Enix Montréal. Con questo accordo Embracer si è assicurata la proprietà di IP storiche quali Thief, Deux Ex, Tomb Raider, Legacy of Kain e altre. Alcune di queste storiche sono rimaste dormienti da anni, perciò la notizia dell’acquisizione ha risollevato gli animi di tutti quei videogiocatori che bramano nuovi episodi (o riedizioni di giochi storici).
Tutti questi studi erano di proprietà di Square Enix America & Europe, che li ha venduti per l’esigua cifra di 300 milioni di dollari, pagati cash. La somma modesta suggerisce che la holding giapponese stesse cercando da tempo da sbarazzarsi di questa compagine di studi occidentali, probabilmente nell’ottica di un ri-orientamento dei propri investimenti in terra nipponica. Sorge spontaneo chiedersi cosa abbia provocato questa decisione di (s)vendita, dopo un decennio abbondante caratterizzato ad una politica di espansione e acquisizioni verso l’occidente.
Non abbiamo risposte certe, ma esistono 3 elementi oggettivi che possono aiutare quantomeno ad inquadrare la decisione di S-E in modo razionale: il mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita dei giochi rilasciati da questi studi negli ultimi anni, sistematicamente al di sotto delle aspettative della compagnia, anche nei casi di maggior successo (fonte); la volontà annunciata dal CEO Yosuke Matsuda di concentrare le risorse nella ricerca e sviluppo, con particolare riferimento a modalità innovative di implementazione di NFT e blockchains nei videogiochi (fonte) e la già citata disponibilità di Embracer di pagare subito l’intera somma.
L’accordo dovrebbe divenire pienamente operativo entro settembre. Per allora Embracer avrà acquisito i 3 studi, il che significa inglobare oltre 1.000 nuovi dipendenti, un catalogo di oltre 50 giochi d’epoca e un portfolio di numerose IP AAA: “Guardo all’acquisizione con una prospettiva decennale, voglio creare nuovi ambiziosi titoli con l’aiuto di questi team di sviluppo. Dopo i primi due anni di assestamento, prevedo una pipeline di lavoro che porti ad un EBIT [volume d’affari generato al lordo di imposte e oneri finanziari] annuale di 500 milioni di SEK [poco meno di 50 milioni di euro al cambio attuale].” ha dichiarato Lars Wingefors nella conferenza qui sopra. A questo punto è utile passare in rassegna le proprietà intellettuali di questi studi per rendersi conto dell’enorme potenziale di crescita che Embracer si è assicurata.
Crystal Dynamics è stata fondata nel 1992 e fa parte della scuderia Square Enix dal 2009, a seguito dell’acquisto di Eidos che l’aveva comprata a sua volta nel 1998. Il developer detiene le IP Legacy of Kain, dormiente da quasi vent’anni (Legacy of Kain: Defiance è del 2004) e Tomb Raider, che non ha certo bisogno di presentazioni. Lo studio ha quindi in pancia 2 pilastri dell’action-adventure che hanno fatto la storia del genere negli anni ’90 e, nel caso degli ultimi Tomb Raider, sono riusciti a non perdere appeal nei confronti del pubblico contemporaneo.
Eidos è una storica software house inglese, anche se la Eidos-Montréal attuale ha poco da spartire con lo studio originale, scorporato da Square-Enix dopo la sua acquisizione nel 2009. Comunque sia Eidos-Montréal è artefice del reboot di Thief del 2014 nonché degli ultimi giochi della serie Deus Ex. Il loro ultimo gioco Marvel’s Guardian of the Galaxy è uscito nel 2021 raccogliendo discreti apprezzamenti di pubblico e critica. Da non sottovalutare poi l’avamposto asiatico di Eidos-Shanghai, facente sempre capo allo studio di Montréal e che assicura ad Embracer un’ulteriore presenza in estremo Oriente oltre al già citato Jufeng Studio. In generale l’acquisizione dello studio assicura ad Embracer la possibilità di inserirsi nell’ambito RPG o action-RPG con una IP storica, nonché di rivitalizzare lo stealth game che è un genere rimasto in sordina da diversi anni.
Infine, Square Enix Montréal assicura ad Embracer un’ulteriore divisione mobile-ordiented, forte di licenze quali Tomb Raider GO, Hitman GO e Deus Ex GO. La compagnia di Wingefors potrebbe sfruttare l’expertise dello studio per creare versioni mobile di tutte le maggiori IP dei propri studi, il che apre le porte a possibilità commerciali potenzialmente infinite.
Non di soli videogiochi vive Embracer: a fine 2021 la compagnia ha annunciato tre ulteriori acquisizioni. Si tratta, questa volta, di compagnie che non si occupano di videogiochi, ma la cui inclusione all’interno della holding potrà sicuramente dare impulso futuro ad operazioni transmediali che riguardino anche il gaming.
La prima acquisizione, annunciata il 16 dicembre in videoconferenza, riguarda Asmodee, produttrice di giochi da tavolo, cardgames e GDR. Si tratta di un business dagli evidenti punti di contatto con l’industria del videogioco, basti pensare alle numerose trasposizioni videoludiche di franchise come D&D e Pathfinder. La seconda, annunciata il 21 dicembre sempre in videoconferenza, riguarda Spotfilm Networx, un piattaforma di video streaming on demand tedesca, che confluirà all’interno di Koch Films. E la terza, annunciata nella medesima conferenza, riguarda la casa editrice Dark Horse, publisher di graphic novels celebri come Blacksad, nonché di adattamenti o derivazioni a fumetti di franchise videoludici, come ad esempio Cyberpunk 2077, oltre ad una pletora di IP realizzate e/o adattate per il piccolo e grande schermo. Dell’ambito extra gaming parlerò più diffusamente nella Parte III di questa #aDevStory, che sarà pubblicata a breve.
Con queste nuove acquisizioni Embracer Group si apre la possibilità di realizzare enormi franchise transmediali, di cui il videogioco può rappresentare il punto di inizio o di fine, ma che va a toccare molti altri settori dell’intrattenimento digitale e non.
Embracer Group ha operato 37 acquisizioni tra il 2020 e il 2021, e ha preannunciato di volersi mantenere su cifre simili per i successivi 12 mesi. Il giudizio sulla persona del suo fondatore non può che essere positivo: siamo in presenza di un imprenditore geniale, in grado di dar vita ad un impero finanziario a partire da una semplice attività di rivendita di fumetti usati.
Il Paperone di Karlstad è il proprietario illuminato che ogni software house sogna di avere? Fino ad ora quasi tutte le sue mosse sono state un successo, e le aziende dai bilanci incerti o fallimentari acquisite dalla holding svedese sono state sistematicamente risanate e rese floride. Quello che è certo è l’attaccamento del magnate svedese per il settore in cui opera, la cui conoscenza è molto approfondita e lo eleva ad uno status ben superiore del semplice burocrate da mega-corporazione che ragiona unicamente in termini di profitti.
Credo che mi vergognassi delle mie origini. Da piccolo vedevo che i miei amici se la passavano meglio, indossavano i jeans migliori, io non ero una cima e non prendevo i voti migliori a scuola. (…) Io ho una predilezione per persone che si sono ritrovate nella merda, ad esempio per una bancarotta. Un imprenditore di successo potrebbe non avere l’esperienza di vita che secondo me è necessario possedere.
Lars Wingefors citato da Towe Boström per Breakit – 14 novembre 2018
Al termine di questo excursus, mi pare evidente che l’esistenza di Embracer Group sia un fenomeno impossibile da ignorare per chiunque si interessi all’industria dei videogiochi. Prima di cominciare a scrivere questo articolo, avevo solo una vaga idea di cosa fosse Embracer Group. Ora, ironicamente, mi stupisce che il suo nome non sia sulla bocca di tutti!
Lasciandovi con il sovrastante ritratto di Wingefors e dei suoi esordi imprenditoriali – che fa ben valere il motto “dalle stalle alle stelle” – vi rimando alla Parte II di questa #aDevStory in cui passo in rassegna tutti gli studi di sviluppo PC/console della compagnia, una rassegna completissima ed imperdibile per conoscere più nel dettaglio le decine e decine di IP di proprietà della holding svedese.
Di recente, inoltre, ho ultimato anche la Parte III che si focalizza sugli ambiti mobile, tabletop e Intrattenimento&Servizi della compagnia.
This post was published on 8 Febbraio 2022 14:00
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