Nei precedenti appuntamenti con le nostre analisi di mercato abbiamo osservato i ricavi complessivi dell’industria del gaming nel 2021, e tracciato una panoramica sul popolo globale dei videogiocatori, confrontando le abitudini d’uso e preferenze di fruizione di 4 generazioni di gamers. Cosa succede se si prova a scendere nel particolare, analizzando ad esempio la platea di una specifica area geografica? È ciò che si è chiesta la società di analisi dati Newzoo, la quale ha effettuato una radiografia dell’utenza statunitense che, forte di 212 milioni di giocatori, rappresenta il 7% dei gamers mondiali. Ecco chi è l’American Gamer.
Si può iniziare constatando un fatto intuibile, ovvero che in USA il gaming è una delle forme di intrattenimento più gettonate dei nostri tempi, allineandosi alle tendenze globali in atto. Il campione intervistato (oltre 3.000 utenti, di età compresa tra i 10 e i 65 anni) dichiara infatti di impiegare il 21% del proprio tempo libero con il medium videoludico, il che lo rende la seconda forma di intrattenimento più gettonata in assoluto, dietro solo alla televisione tradizionale. Un risultato lusinghiero per il videogioco, spesso erroneamente percepito come fenomeno “di nicchia” o “per bambini”, e tuttavia comprensibile dato che popola l’industria culturale in modo vieppiù prominente da ormai oltre mezzo secolo.
Se pensiamo alla diffusione della televisione, questa è stata più veloce e capillare nel suo imporsi tra le abitudini di consumo mediatico occidentali, anche in virtù delle sue funzioni informativo-divulgative, oltre che di mero intrattenimento. Ciò spiega perché essa sia ancora il mass medium più diffuso e fruito negli States, ma la sensazione è che da qui a qualche anno la situazione sia destinata a cambiare. Nelle generazioni più giovani infatti questa tendenza è già in atto.
Dal grafico qui sopra si può osservare che la popolazione tra 10 e 35 anni prediliga già il videogioco rispetto alla televisione nella propria dieta mediale, mentre nella fascia 36-50 si riscontra un sostanziale pareggio. Solo la fascia più anziana, infine, continua a prediligere in modo netto la cara vecchia scatola magica , relegando l’uso del joystick ad una quantità residuale. Personalmente l’aspetto che più mi ha colpito di questa statistica è la colonna di sinistra: se sommiamo tra loro le percentuali relative ai media tradizionali e quelle relative ai media moderni, ci rendiamo conto dell’avvenuto sorpasso di questi ultimi; videogiochi, social e streaming, infatti, costituiscono il 51% del totale dell’intrattenimento fruito dalla popolazione americana, che li predilige rispetto alla combinazione di TV, musica e lettura, la cui somma si ferma al 49%.
È giunto l’avvento del new world man? L’uomo analogico si è definitivamente evoluto nell’uomo digitale? Andiamoci cauti coi sensazionalismi, anche perché si può discutere su quanto sia sensata la suddivisione in queste macro-categorie, specialmente se consideriamo quanto questi mezzi siano ibridi ed assolvano a più funzioni contemporaneamente: come detto la TV è lungi dall’essere solo puro e semplice intrattenimento; e d’altra parte il gaming può essere a tutti gli effetti un lavoro (pensate a chi campa solo di Twitch; o a chi gareggia in competizioni agonistiche di e-Sports; o a chi se ne occupa in ambito giornalistico o accademico…). Certo è che fra un match di LoL e un romanzo di Melville, possiamo presumere con un ragionevole grado di certezza in quale forma di intrattenimento il pubblico americano preferirebbe indugiare.
Certo è che il videogioco continua ad essere fruito prevalentemente come mero passatempo: in base ad una profilazione dei videogiocatori tramite cui Newzoo ha suddiviso il bacino dei gamers in “categorie tipo” (qui il dettaglio), il 27% dei giocatori è costituito dai cosiddetti time-fillers, ovvero coloro che vedono nel medium un semplice tappabuchi per riempire i tempi morti della propria routine quotidiana (il che spiega il proliferare costante del mobile gaming, negli USA come nel resto del mondo). I gamer super appassionati ed informati, quelli che potremmo definire giocatori hardcore, sono appena il 12% del totale: una fetta piuttosto sottile della torta, il che ha delle evidenti ripercussioni nelle abitudini di consumo dei videogiochi rispetto a genere e caratteristiche di gameplay, con prevalenza di titoli AAA e free-to-play. Si tratta di una tendenza diffusa un po’ ovunque (infatti il dato su scala mondiale è ancora più basso, assestandosi al 10%), anche qui da noi in Italia, dove la sensazione generale è che la maggior parte della gente giochi sempre e solo a Fifa e CoD, e la percentuale di utenza che va oltre i titoli generalisti sia sempre risicata.
Dunque a cosa giocano prevalentemente i gamers statunitensi? Negli ultimi 6 mesi, una percentuale compresa tra il 30% e il 40% del totale dei videogiocatori ha passato il proprio tempo in compagnia di alcuni del brand più inflazionati a livello globale.
Tolto Mario, franchise che per molti incarna il concetto stesso di “videogioco”, il perché del successo di questi brand è presto spiegato: free-to-play, cross-platform e cross-play. Tutti sono concepiti a tavolino per raggiungere il maggior numero di utenti possibili. Li si può giocare ovunque, da qualsiasi dispositivo, con chiunque si voglia, e lo si può fare senza spendere un centesimo! La difficoltà di ingresso è minima, il livello di sfida basso (almeno inizialmente), le sessioni di gioco potenzialmente non troppo lunghe o comunque facilmente adattabili alle esigenze dell’utente, la rigiocabilità assicurata.
Il fatto che molti americani giochino ai titoli più mainstream, non implica necessariamente che battle royale ed fps siano i generi più apprezzati dal pubblico. Ho accennato poco più su alla crescita esponenziale del mobile gaming: questo si riflette anche nelle preferenze di gusto dei giocatori riguardo al genere. Il successo del sempreverde Candy Crush trova una spiegazione nei dati raccolti da Newzoo, che evidenziano una netta preferenza per i puzzle game tra le meccaniche di gameplay preferite dall’utenza americana. Rompicapo ed enigmi, del resto, ben si prestano a sessioni di gioco estemporanee, quali sono spesso le sessioni di gaming mobile. In ciò si misura l’unica vera differenza rispetto alle tendenze globali, mediamente più orientate a meccaniche di gioco open world o narrative driven.
Messa in un altro modo, si può dire che il giocatore americano medio è più interessato al gameplay in sé e per sé rispetto a tutti gli altri orpelli di contorno, che siano comparto estetico o narrativo. Ancora una volta, ciò spiega la predilezione all’approccio immediato del gaming mobile, che va solitamente dritto al nocciolo del gioco senza tanti fronzoli: difficile trovare la concentrazione necessaria a seguire una trama cervellotica mentre si è sballottati in metropolitana, o fermarsi a contemplare un panorama digitale nel breve spazio di una pausa caffè.
Conseguenza logica: Sony sta perdendo terreno negli USA.
Come sappiamo, Sony da sempre contraddistingue la propria offerta videoludica con titoli fortemente basati sulla narrativa e gli alti valori produttivi in termini grafici ed artistici in generale.
Stando così le cose, dovremmo aspettarci una maggiore predilezione dell’utenza americana verso altri produttori: ed in effetti, alcune ricerche iniziano a suggerire questa tendenza, dopo anni di dominio incontrastato del monolite nero. Pare infatti che, all’inizio di quest’anno, i gamers americani possessori di Xbox abbiano per la prima volta superato quelli PlayStation. Stiamo davvero vivendo l’inizio di un cambiamento storico nei rapporti di forza dell’industria del gaming? Almeno negli USA, pare di sì.
A livello di estetica e setting, invece, l’utenza americana offre un’interessante commistione che potremmo definire “fantarealismo”: sebbene il 45% degli utenti dichiari il proprio favore verso un’estetica votata al realismo, quando si parla di setting la preferenza si orienta decisamente verso scenari fantasy (39%), superando di molto i contesti contemporanei (25%) e storici (23%). Detta altrimenti, su suolo statunitense il prossimo Dragon Age avrà più chances del prossimo Assassin’s Creed, almeno sulla carta.
Anche questi dati corroborano quanto si diceva poc’anzi sul superamento di PlayStation da parte di Xbox: le estetiche anime e chibi, da sempre presenti nelle produzioni nipponiche, sono sensibilmente meno apprezzate rispetto a quelle realistica e cartoon, entrambe maggiormente gradite ai palati a stelle e strisce. La strada di Microsoft si prospetta nel breve periodo tutta in discesa, almeno per il mercato interno.
Giovane, digitalizzato, boxaro e amante del fantarealismo: abbiamo tracciato l’identikit dell’american gamer. Una profilazione che non resta che mettere alla prova dei fatti con la prossima annata videoludica 2022!
This post was published on 25 Gennaio 2022 14:00
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