Resident Evil è tornato al cinema, ben ventun’anni dopo il suo esordio su celluloide attraverso il fracassonissimo primo film con con Milla Jovovich, con Welcome to Raccoon City, reboot che promette maggior fedeltà alle atmosfere originali del brand.
Se infatti i film originali (ben sei, l’ultimo dei quali uscito nel non-così-lontano 2017) potevano contare sulla licenza dai videogiochi di Capcom, d’altro canto prendevano una piega diversa sia esteticamente che narrativamente, facendo quasi nascere una saga parallela.
Oggi, per celebrare Welcome to Raccoon City e la sua mission di rifondare il canone cinematografico di Resident Evil, raccontiamo brevemente la storia dei film e degli anime tratti da uno dei videogiochi più cinematografici di tutti i tempi.
Prima di iniziare a raccontare questa storia, tuttavia, è necessario parlare di un piccolo paradosso legato a Resident Evil e ai suoi film, perché di fatto si tratta forse del più classico esempio di serie “ispirata dal cinema” e al cinema tornata, attraverso un curioso percorso circolare.
Non è infatti un mistero che fin dal 1996 il rivoluzionario gameplay di Resident Evil sia stato uno spiccato omaggio al cinema di George A. Romero e ai suoi zombie, forse la più importante invenzione del cinema horror dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi, inaugurata nel 1968 con La Notte dei Morti Viventi e terminata nel 2009 con Survival of the Dead-L’isola dei sopravvissuti.
La geniale intuizione di Shinji Mikami e del suo team a metà degli anni ’90 fu quella di capire che le storie di zombie di Romero, in cui persone normali o trasformatisi in guerrieri loro malgrado si ritrovano a fronteggiare orde di creature minacciose, potevano essere alla base di una dinamica di gioco innovativa, in grado di proporre al giocatore sfide completamente diverse dal passato.
Con le dovute cautele e distanze, è quindi possibile affermare con discreta sicurezza una chiara verità: Resident Evil è stata la miglior trasposizione videoludica che Romero potesse avere, per quanto a essere onesti la saga appaia in realtà come un perfetto equilibrio fra le atmosfere Romero e quelle di un altro grande protagonista del cinema di genere americano, ovvero John Carpenter e il suo “film d’assedio”.
Per tutti questi motivi, per tutte queste dinamiche, a un giudizio critico, il rapporto di Resident Evil col cinema al momento del suo sbarco nella Settima Arte avrebbe potuto apparire come contornato da una vera e propria sensazione di deja-vù.
Per fortuna almeno sotto questo aspetto Resident Evil non ha deluso, presentandosi con una sua discreta identità.
Potremmo iniziare a parlare del rapporto fra RE e la narrativa cinematografica e televisiva parlando proprio dei film con Milla Jovovich e del loro spirito, da come ha riletto il canone “zombie” trasformandolo in materia da action movie, ma sarebbe scontato, non trovate?
In realtà, più interessante del trattare la saga “storica” del Resident Evil cinematografico è forse spendere due parole su un altro fatto: come e forse più di altri giochi simbolo degli anni ’90, la fortunata serie horror è stata protagonista di una vera operazione che oseremmo definire semplicemente “transmediale”, ovvero una serie di film d’animazione-fra serie e lungometraggi-che da almeno vent’anni intervallano gli episodi videoludici della serie.
Si tratta di una vera e propria serie parallela a quella videoludica (e anche a quella cinematografica “ufficiale”, iniziata nel 2002), che ha seguito i suoi sviluppi soprattutto nel momento di massima “ambizione narrativa” della saga, ovvero quando la trama del Resident Evil videoludico si era avvicinata ad atmosfere tipicamente action e fantapolitiche.
Se il corto Resident Evil 4D: Executer (2000, ma inedito da noi) sceglieva di rinarrare gli eventi di Resident Evil 2 a Raccoon City dal punto di vista di un commando di specialisti dell’Umbrella inviato a “risolvere i problemi” in città, da Degeneration in poi (2008) questo ciclo scelse di continuare la storia di Leon e Claire, ritratti come impegnati a viaggiare da un luogo all’altro della Terra a caccia di bioterroristi con in mano la chiave per seminare il terrore worldwide.
Fra dittatori senza scrupoli, complotti fantascientifici, spettacolari sparatorie contro creature colossali, i quattro film (gli ultimi due solo Damnation, del 2012, e il recente Vendetta, 2017) rappresentano un buon atto di fanservice nel senso più buono del termine, con un’impostazione grafica che strizzava l’occhio alle soluzioni adottate dai videogiochi da Resident Evil 4 in poi e una serie di trame che portavano avanti alcuni filoni della serie videoludica, con lo stesso stile kitsch.
Dulcis in fundo, proprio quest’anno, per celebrare i 25 della saga, abbiamo visto arrivare direttamente su Netflix Resident Evil: Infinite Darkness, una miniserie in quattro episodi che non solo omaggiava le atmosfere e il mood dei “vecchi” film d’animazione, ma lo incrociava con un character design di Claire e Leon (ancora protagonisti assoluti, e ci mancherebbe) ispirato a Resident Evil 2-Remake (2019).
Un ottimo modo, per i giocatori appassionati, per continuare a vedere i loro eroi preferiti in azione (tutti, da Leon a Claire per arrivare a Ada) anche senza nuovi titoli da giocare.
Se la serie “anime” di Resident Evil costruiva tutta la sua identità sull’“accompagnamento” alla saga videoludica più pop del survival horror nippo-americano, la trasposizione cinematografica pura è invece una tipica opera di riscrittura con un duplice, classico obiettivo: allargare la platea di Resident Evil al di fuori della nicchia del videogiocatore appassionato e alimentare la fortuna del brand facendolo sbarcare su un altro medium.
Per farlo, la squadra di Paul W.S. Anderson ha seguito una strategia altrettanto classica per un’operazione del genere.
Anziché ricreare in maniera pedissequa, ha di fatto rielaborato la lore e l’impostazione di partenza, introducendo una nuova protagonista (la Alice interpretata da Milla Jovovich) e lasciando solo una parte dei personaggi originali, come Jill Valentine, Carlos Olivera o, sullo sfondo, Claire Redfield (a partire da Extinction, terzo capitolo della serie).
Cosa dire di questo Resident Evil cinematografico?
L’effetto è stato molto particolare, ovvero che in breve Resident Evil si è trasformato da omaggio cinefilo e operazione commerciale di accompagnamento a one-woman-show della sua protagonista, una Milla Jovovich eroica tanto da non far rimpiangere Jill o Claire e costruire un affascinante impianto narrativo da “eroina tosta che spacca i mostri” (e va detto che è difficile non vedere proprio in Claire e Jill omaggi alla Helen Ripley di Alien o alla Sarah Connor di Terminator).
Come in un singolare gioco di specchi, una delle serie videoludiche più omaggianti il cinema di tutti i tempi è approdata al cinema cambiando la sua stessa pelle, e passando dall’inscriversi perfettamente nel genere horror a kolossal basato su sparatorie, scene d’azione e puro gigantismo nella messa in scena. Di fatto, nei sei film della saga poco rimaneva di Resident Evil, se non un vago impianto narrativo di riferimento. Una scelta giusta? Sbagliata? Non pochi sono stati i grugniti indispettiti dei giocatori che si aspettavano di ritrovarsi davanti un Romero 2.0 o comunque un horror, ma l’arrivo del franchise a quota sei film vuol dire solo una cosa: irrispettoso o meno, questo Resident Evil capace di partire dalle atmosfere opprimenti di un laboratorio sotterraneo per poi sfondare il muro con il post-apocalittico è stato un successo, al botteghino soprattutto.
Cosa dire invece del ritorno cinematografico di Resident Evil?
Adesso, senza avere dettagli in merito, senza averlo visto, Welcome to Raccoon City sembra un esperimento che ha seguito il ragionamento fatto dai remake della serie originale: come quei titoli, anche questo film sembra voler costruire l’operazione sul recupero di un’estetica vicina a quella delle atmosfere più horror e “realistiche”, da urban gothic, laddove l’intera saga cinematografica iniziata da Anderson sposava la filosofia “action fantascientifico con elementi splatterosi”.
In teoria un approccio interessante, perché esplora un lato del brand d’origine che magari non era stato toccato in precedenza, anche a livello estetico: nel caso specifico, sarà bello ritrovare su schermo le atmosfere decadenti e sporche di una città americana di fine anni ’90 inghiottita dalla paura e dall’oscurità. Lodevole è anche il vestiario dei vari personaggi, per quanto il character design si discosti abbastanza.
Il rischio di tutta quest’operazione, tuttavia, è presto detto: che venga fuori l’ennesimo compitino “senz’anima”, perfetto nell’estetica ma privo di contenuti. Le prime recensioni segnalano purtroppo questo e altri problemi.
Vero è che un fan può accontentarsi di poco, vero è che spesso la nostalgia è canaglia e ancor più lo è la fascinazione dell’estetica old, ma spesso, ahinoi, questo non basta a salvare situazioni del genere.
Se è vero che tutti i pilastri del videogioco contemporaneo sono sottoposti a un “eterno ritorno”, fra remake, reboot, merchandise che torna all’improvviso di moda e ovviamente nuovi capitoli, il caso di Resident Evil è quantomeno clamoroso, soprattutto per se pensiamo ai film e le serie e la longevità della saga videoludica.
Welcome to Raccoon City da questo punto di vista sembra volersi imporre come un titolo definitivo, un restart completo che vorrebbe mettere un punto per un po’, ma basteranno anche solo degli incassi sottotono per lasciar intravedere lo spazio per un altro reboot.
Dobbiamo quindi aspettarci, in caso di un fail, seguito da un ulteriore ritorno di Resident Evil al cinema?
Tenendo conto di quanto le persone amano i film di zombie, la risposta non può essere che una.
E magari a qualcuno potrebbe fare piacere.
This post was published on 26 Novembre 2021 15:00
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