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Speciali

Stephen King: cinque giochi tratti dai romanzi del Re del Terrore

Attivo come autore di racconti, romanzi, sceneggiature e persino articoli di giornale fin da quando ha imparato a scrivere, Stephen Edwin King, classe 1947, è ritenuto universalmente il più importante autore di narrativa horror e fantastica al mondo grazie alle migliaia di copie vendute, alle decine di loro trasposizioni cinematografiche dei suoi libri e alla sua vastissima influenza sull’immaginario collettivo.

Alcuni titoli: Shining, It, La Zona Morta, Carrie, L’Ombra dello Scorpione, L’Incendiaria e, ovviamente La Torre Nera, la sua particolarissima “saga cavalleresca”.

Ma com’è il suo rapporto col videogioco? Il suo tocco da Re Mida è riuscito a “sfondare” anche in questo settore?

Per rispondere a questa domanda, oggi vi presentiamo cinque videogiochi tratti dai suoi romanzi, tutti da scoprire (nel bene come nel male).

5. F13 (2000)

Cominciamo col dire che F13 è un brutto gioco. Aggiungiamo che F13 di fatto non adatta propriamente nessun racconto o romanzo di King, ma utilizza alcuni loro pitch come ispirazione e si limita a trasporre (in maniera discreta, a detta delle cronache dell’epoca) Tutto è Fatidico, racconto fanta-horror del 1997.

Per questi motivi, F13 è definito come una delle peggiori cose che abbiano sulla copertina il nome di King: una raccolta di assurdi minigiochi in cui il giocatore doveva sparare a zombie, rivivere il turbolento rapporto fra la folle Annie Wilkes e il suo scrittore preferito, Paul Sheldon, bloccato in casa della sua ammiratrice con le gambe rotte in Misery deve Morire (ricordate il film con James Caan e Cathy Bates?), e altre amenità. Il tutto in una terribile cornice da mediocre gioco a enigmi su CD-Rom di inizio anni 2000.

Se cercate un approccio videoludico a Stephen King, meglio girare alla larga.

4. The Lawnmower Man (1989)

La storia qui si fa divertente: The Lawnmower Man è un simpatico gioco d’avventura tratto da un film che in teoria dovrebbe essere una trasposizione di un racconto di King, contenuto nella famosa raccolta A volte ritornano (1976), e conosciuto in italiano come Il Tagliaerbe.

Peccato che il gioco/film non abbia assolutamente niente a che vedere con l’origine letteraria, e che anzi siano stati al centro di una causa giudiziaria fra gli autori delle trasposizioni e King. Se infatti il racconto era un oscuro e inquietante weird tale su un addetto alla cura dei giardini molto inquietante e legato a un oscuro culto del dio Pan, il film lo stravolgeva completamente mantenendo solo il titolo e un vaghissimissimo punto di contatto nel concept.

Il film (e dunque il gioco) era infatti tratto da uno script di altra origine intitolato in origine CyberGod e trattava il tema della realtà virtuale come strumento di controllo delle menti, raccontando la storia di un giovane mentalmente disturbato usato da uno scienziato come cavia di un simulatore VR.

Il gioco, anch’esso a sua volta ispirato vagamente al film, calava le vicende della pellicola in un platform action 2D, non certo troppo ispirato, un tie-in senza troppe pretese.

Insomma: sì, The Lawnmower Man potrebbe essere definito un gioco tratto da Stephen King… a costo di chiudere ben-bene più di un occhio!

3. The Mist (1985)

Pubblicato per la prima volta nel 1980, The Mist è con gli anni diventato uno dei racconti “minori” più amati di tutta la produzione di King grazie a una trasposizione cinematografica del 2007 che è stata definita fra i lungometraggi del genere più tetri e meglio riusciti di inizio anni 2000.

All’arrivo di una improvvisa ondata di nebbia, alcuni cittadini della cittadina di Bridgeton si ritrovano asserragliati in un piccolo supermarket di provincia. Oltre le porte, nascosti nella coltre, mostri terribili che dilaniano e uccidono senza pietà. Il vero incubo, però, è molto più strisciante e vicino: quando una santona del posto organizza una sorta di culto fondamentalista cristiano, alla caccia del mostro all’umano si somma quella di uomini ad altri uomini.

Il risultato, nel libro come nel film, è un’atroce parabola sul fanatismo e sulla violenza.

Quanto al gioco tratto dal racconto nel lontano 1985, oggi giocarci potrebbe non essere proprio esaltante: si tratta di un'”antica” avventura testuale, in cui il giocatore è chiamato a prendere il controllo di David, protagonista del racconto, e a interagire col gioco attraverso una serie di comandi scritti.

Nulla più di questo, certo, ma se non altro possiamo dire che King è stato fra i soggetti scelti da quella che all’epoca era una prima e interessante incarnazione del gioco narrativo.

2. Discordia (2009)

Fra tutte le opere di Stephen King, la saga de La Torre Nera, uscita fra il 1982 e il 2012, rappresenta il più ambizioso, intenso e sentito progetto dello scrittore americano. Un po’ western introspettivo, un po’ horror, un po’ puro fantasy, l’epopea di Roland di Gilead e della sua ricerca della Torre Nera (luogo di incontro di ogni realtà) è una sorta di meta-libro, a tratti di riflessione dello stesso King alla sua stessa opera e alla sua vita.

Portata al cinema in modo claudicante nel 2017 con una pellicola tratta fin troppo liberamente dalla saga e in procinto di essere trasposta in una serie di Amazon Prime Video, da La Torre Nera è stato tratto anche un videogioco molto particolare: Discordia, sorta di “punta e clicca live” giocabile via browser a partire dal 2009, ci mette nei panni di un uomo della Tet Corporation, il gruppo di eroi impegnato a difendere la Torre dagli attacchi degli agenti del supremo villain del ciclo letterario, il Re in Rosso. Un’avventura che fa da vera e propria “side story” alla saga originale.

Il risultato è stato senza dubbio un progetto di nicchia, ma di gran spessore: supervisionato dallo stesso Stephen King e con nel suo staff creativo il critico Robin Furth (impegnato a commentare La Torre Nera fin dalla sua pubblicazione), di fatto a oggi il misconosciuto Discordia è uno dei pochi esempi di videogioco tratto da una serie di libri di successo e sviluppato con l’ausilio del suo autore.

1. The Dark Half (1992)

Come Shining o per esempio Le Notti di Salem, La Metà Oscura è uno dei romanzi in cui King tratta un argomento cardine della sua opera: la scrittura e il rapporto fra l’autore e la sua attività.

Thad Beaumont è uno romanziere che ha abbandonato la via del thriller, portata avanti sotto pseudonimo, per intraprendere quella di autore di storie più “soft”, ma proprio fatto il grande passo comincia a essere tormentato da un misterioso assassino che fa ricadere su di lui la colpa dei suoi delitti. Si tratta di George Stark, niente poco di meno che incarnazione dell’alter-ego letterario usato da Thad fino a poco prima e suo fratello gemello, spuntato fuori all’improvviso dal suo passato e deciso a fargliela pagare. La colpa del simpatico Thad? Beh, chiaro: aver smesso di firmare i suoi libri col nome di George.

Fra i più “hitchcockiani” dei romanzi di King, sorretto da un labirinto di scene violente, rivelazioni scioccanti e passi memorabili, La Metà Oscura ha avuto una trasposizione al cinema alla quale lavorò George A. Romero, padre indiscusso degli zombie-movie, e un videogioco sviluppato da Symtus e Capstone Software.

Curiosamente, di tutti i giochi tratti da King The Dark Half è quello senza dubbio più “tradizionale”: un’avventura punta-e-clicca in cui impersoniamo Thad, come nel libro impegnato a farsi largo nella sua Castle Rock (città che compare in vari romanzi del Re del Terrore) per fermare il malvagio George. Il risultato, secondo le cronache storiche, fu tuttavia un gioco troppo difficile, con molti buchi di trama e forse un po’ troppo derivativo, ma pur sempre la sola e unica avventura grafica tratta da un romanzo di King: scusate se è poco.


Il legame fra King e il videogioco è paradossalmente molto debole, e sorprende che uno dei più influenti autori pop degli ultimi quarant’anni abbia avuto così poche trasposizioni nel nostro medium preferito.

Che il tempo di un grande videogioco uscito dalla sua penna sia vicino? Lo speriamo: attivo tanto in campo letterario quanto in quello della sceneggiatura, sarebbe un peccato se zio Stephen non ci regalasse anche un’opera videoludica potente, ambiziosa e, soprattutto, scritta interamente di suo pugno.

This post was published on 20 Agosto 2021 12:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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