La neve: un elemento ambientale e climatico quasi “sacro”, ricco di significati ancestrali, simbolismi e in grado di costruire atmosfere molto diverse fra loro.
Se nell’immaginario collettivo questo particolare tipo di precipitazione può talvolta simboleggiare calma, tranquillità e voglia di contemplazione (pensiamo al modo in cui viene rappresentato tradizionalmente il Natale), nella letteratura e nel cinema essa è stata usata anche da molti artisti come elemento di minaccia e di impedimento per i protagonisti, e ciò è valso anche per il videogioco.
Ecco quindi cinque videogiochi “thriller” in cui la neve ha un ruolo importante nella narrazione, nella trama e in parte nel gameplay.
Sapevate che La Cosa, il classico del cinema horror-scifi firmato da John Carpenter nel 1982, ha avuto un sequel sotto forma di videogioco?
Si tratta di un TPA sviluppato nell’ormai lontano 2002 da Computer Artworks e Universal Interactive per PC, Xbox e PS2.
Il motivo della inclusione in questa lista è presto detto: come il prequel cinematografico, The Thing è caratterizzato totalmente dalla sua ambientazione, una base scientifica in Antartide minacciata da una mostruosa creatura aliena e circondata da un vero e proprio deserto di neve e ghiaccio.
Gran parte del gioco (nel corso del quale interpretavamo il capitano Blake, membro delle Forze Speciali U.S.A. accorse a soccorrere i sopravvissuti della stazione artica) è ambientato in ambienti stretti e claustrofobici, tuttavia è praticamente impossibile per il giocatore/personaggio non pensare di essere intrappolato in uno dei luoghi più estremi, freddi e selvaggi al mondo.
Un tie-in originale, e colpevolmente dimenticato dai più.
Rimanendo all’interno dello schema “persone bloccate fra le nevi e alle prese con un pericolo” è impossibile non ricordare Until Dawn, indimenticato gioco narrativo dal taglio cinematografico di Supermassive Games uscito nel 2015.
Il giocatore, controllando a turno i membri di un gruppo di amici riunito per una rimpatriata in uno chalet di alta montagna, deve far sì che i suoi alter-ego sopravvivano a un feroce serial-killer deciso a ucciderli uno-a-uno.
Un plot classico che, grazie anche a una resa grafica che mostrava la magnificenza di PS4, riusciva a convincere soprattutto per la sua ambientazione: una casa lussuosa, sperduta in alta montagna e al centro di una bufera invernale.
Senza dubbio Until Dawn aveva varie pecche, ma non mancava di atmosfera. Le distese di bianco fuori dalle finestre della villa, gli effetti visivi della tormenta, le ombre proiettate all’interno, davano al gioco un’identità marcata e assolutamente riuscita.
Fra gli ultimi veri punta-e-clicca di successo, il francese Still Life (qui uno speciale completo su di esso) ci portava in una Chicago vestita a festa per il Natale, festa dell’inverno per eccellenza, e quindi sotto una serie di fitte nevicate.
Nel gioco di Microids, più che qualcosa di minaccioso la neve era una sorta di elemento caratteristico che serviva per sottolineare il periodo dell’anno in cui era ambientato, ma piuttosto che rasserenarlo dava al giocatore l’idea di vivere in una sorta di “bolla di tranquillità” al di fuori della quale si trovava una minaccia strisciante: ancora una volta, un pazzo serial-killer, stavolta ispirato a classici della letteratura poliziesca degli ultimi decenni come i romanzi di James Patterson o Il Silenzio degli Innocenti di Thomas Harris.
Okay, sappiamo cosa avete pensato leggendo di Still Life: “Sì, ma dove diavolo è Fahrenheit di David Cage?!”.
Eccolo qui, per la vostra gioia: il secondo gioco di Quantic Dream, un thriller poliziesco con elementi fantasiosi che già preannunciava alcuni caratteri della filosofia dello studio francese, ci portava in una New York gelida e ancora una volta sommersa dalla neve nei panni di Lucas Kane, giovane responsabile di un misterioso e sanguinoso omicidio che non ricorda di aver commesso…
Se in Until Dawn e Still Life la neve era un elemento dell’ambiente, in grado di gravare in qualche modo sull’atmosfera generale, in Fahrenheit faceva di più, riflettendo lo stato d’animo di una serie di protagonisti che si ritrovavano di fronte a una vicenda mistery assurda, spietata e in parte legata in modo al loro passato.
A ben vedere, sarebbe stato solo il primo dei giochi Quantic Dream in cui gli agenti atmosferici avrebbero avuto un loro peso narrativo: se qui si trattava della neve, in Heavy Rain si sarebbe trattato della pioggia infernale e spietata che caratterizzava l’intero gioco.
Infine, quello che forse è il gioco “innevato” (fateci passare la strana definizione) per eccellenza: ovviamente, Metal Gear Solid di Hideo Kojima.
Summa della filosofia “eroe solitario che deve liberare un luogo inviolabile”, il capostipite dello stealth game in 3d poggiava gran parte della sua grandezza sul suo setting estremo, le isole Fox, al largo dell’Alaska.
Per quanto come nel caso La Cosa anche MGS fosse per lo più ambientato “al chiuso”, i pochi frammenti “outdoor” del gioco non mancavano di utilizzare la combo “paesaggio selvaggio-clima sottozero” come veri e propri elementi del racconto e della sfida ludica.
In Metal Gear Solid la tempesta le nevi dell’estremo nord sottolineavano infatti l’unicità dell’impresa di Solid Snake, la sua epicità, ma soprattutto la solitudine di un antieroe che doveva affrontare i fantasmi del suo passato e le ombre sul suo futuro. E, d’altro canto, non mancavano di alzare l’asticella della difficoltà.
Le ambientazioni estreme sono una costante del grande videogioco a “tema thriller”, e quella “innevata” è stata senza dubbio una delle più gettonate.
Noi abbiamo incluso alcuni classici, ma siamo certi di esserci dimenticati qualche altro gioco meritevole: quali vi sentite di segnalarci?
This post was published on 5 Agosto 2021 14:00
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