Il 27 maggio si è tenuto il 35° Anniversario di Dragon Quest, occasione che è stata celebrata tramite una diretta tutta dedicata ad annunci sui futuri giochi di questo storico franchise. Tra di essi, anche Dragon Quest XII: The Flames of Fate.
Io amo Dragon Quest, è una serie che mi accompagna fin da quando avevo 6 anni e mia madre mi comprò Dragon Warrior Monsters per Game Boy Color (era tutto in Inglese, non capivo assolutamente nulla, ma mi divertivo tantissimo), quindi ho voluto scrivere questo articolo per parlare di ciò che ci ha donato Dragon Quest XI, di come quest’ultimo si collega con la trilogia originale e dei motivi per cui queste storie saranno importanti per The Flames of Fate.
Ho voluto esplorare gli abissi delle teorie per analizzare il finale di Dragon Quest XI, quindi vi avviso immediatamente: questo speciale contiene dosi massicce di spoiler su vari giochi della serie, seguitemi tenendolo bene a mente.
Comprendere un finale
Nel 2018 ho speso circa 150 ore prima di ottenere il Platino di Dragon Quest XI su PS4 e il finale mi ha colpito nel profondo del cuore, ma non solo per il suo semplice essere un gran bel finale.
Dragon Quest è spesso paragonato a Final Fantasy, ma i due devono essere visti come due grandi sentieri percorribili dalla narrativa JRPG.
Final Fantasy si è sempre concentrato maggiormente su mondi tutti diversi per la serie principale, mondi che poi sarebbero stati riproposti in vari titoli spin-off.
Dragon Quest, invece, ha avuto un approccio differente per molti anni.
Dragon Quest I, II e III costituiscono la Trilogia di Erdrick, mentre IV, V e VI compongono la Trilogia di Zenithia.
Solo con l’arrivo di Dragon Quest VII, avvenuto nel 2000, si passò a una narrazione maggiormente legata a mondi creati appositamente per il gioco in questione.
Questa tradizione continuò per molti anni, ma allo stesso tempo Yugi Horii e gli altri autori della serie continuarono a inserire collegamenti tra i vari mondi giocabili.
Vari collegamenti erano puramente legati a luoghi speciali in cui il giocatore avrebbe potuto affrontare boss classici della serie, ma altri costituivano vere e proprie interazioni tra i diversi mondi.
Sto parlando, ad esempio, di Atlas, boss di Dragon Quest II che 22 anni più tardi si scoprì essere un essere proveniente dal mondo di Dragon Quest IX.
Ulteriori anni dopo, però, Dragon Quest XI ha fatto qualcosa di ben diverso.
Il futuro dell’Eroe
Sul finale scopriamo che il sacro albero Yggdrasil non è altro che Yggdragon, essere che in passato assunse la propria forma arborea per poi dare vita a Erdrea.
Yggdragon ci dice chiaramente che in futuro, chissà quando e con quale forma, l’oscurità sorgerà di nuovo, Tuttavia, ci sarà sempre qualcuno pronto a contrastarla ed è proprio in quel momento che vediamo il futuro: il protagonista di Dragon Quest I afferra la Spada della Luce, ai suoi tempi chiamata Spada di Erdrick, e si prepara a viaggiare verso l’oscuro Castello del Dragonlord.
Come se non bastasse, dopo i titoli di coda, ci ritroviamo all’inizio di Dragon Quest III. La madre del protagonista (canonicamente chiamato Arel) ripone un libro che racconta gli antichi eventi di Dragon Quest XI e va a svegliare il figlio, riproducendo proprio la scena iniziale del terzo titolo di questa serie.
Nel complesso, Dragon Quest XI trasforma la Trilogia di Erdrick nella Tetralogia di Erdrick, poiché scopriamo le origini di molte cose quali le origini della Spada della Luce, la quale divenne nota millenni dopo come Spada dei Re (appositamente riforgiata).
Ulteriori anni dopo assunse il nome di Spada di Erdrick e venne utilizzata prima dal protagonista di Dragon Quest I e infine dai principi protagonisti di Dragon Quest II.
Quanto alle terre di Erdrea, esse richiamano quelle di Dragon Quest III per un fattore “tematico”.
Entrambi i giochi ruotano attorno a città che si ispirano alle nazioni del mondo reale.
Ad esempio, Jipang di DQIII e Kaldoh di DQXI sono ispirati al Giappone e condividono sia la colonna sonora che il dialetto parlato dai cittadini.
Il futuro senza Eroe
Sì, questo articolo dice molto esplicitamente “ci riporta alla trilogia originale”, ma voglio lanciarmi in una breve digressione su un’interessante teoria legata alla Trilogia di Zenithia.
Anche in questa trilogia c’è una spada iconica, la quale prende il nome di Spada Zenithiana.
Il dettaglio molto interessante sta nel fatto che l’inizio del terzo atto di Dragon Quest XI divide la linea temporale in due sentieri: in uno di essi giochiamo il terzo atto del gioco e tutto procede fino a Dragon Quest III.
Nell’altro, invece, abbiamo un futuro senza Eroe e senza Spada della Luce, eppure i compagni rimasti indietro hanno ancora un oggetto: la Spada della Luce Suprema che l’Eroe ha spezzato per tornare indietro nel tempo.
Questa spada ha delle forti somiglianze con la Spada Zenithiana e numerosi fan pensano che forse in quella linea temporale la Spada della Luce Suprema fu riforgiata ottenendo un aspetto parzialmente diverso.
Godersi la serie
A questo punto, vorrei rispondere a una domanda che qualcuno tra voi potrebbe essersi posto: ciò cambia qualcosa nella comprensione della storia dei giochi di Dragon Quest?
No.
Dragon Quest è bello anche per questo.
Per quanto Yugi Horii e chi collabora con lui abbiano voluto creare dei sottili collegamenti tra tutti questi giochi, alla fine tutte queste perle si possono giocare senza preoccuparsi minimamente del resto.
Devo aver giocato quei sei giochi precedenti per apprezzare Dragon Quest XI?
No, anche se ovviamente sono il primo a consigliarvi di farlo per scoprire le origini dei JRPG e di molti dettagli che hanno caratterizzato giochi futuri.
Ad esempio, sapevate che in una vecchia intervista trasmessa su FujiTV venne rivelato che una delle maggiori influenze di Pokémon fu la possibilità di ottenere e gestire mostri in Dragon Quest V? Vorrei pure fornirvi il link per guardarla, ma purtroppo recentemente è stata rimossa da YouTube. Oppure lo sapevate che in Pokémon esiste lo scambio perché Satoshi Tajiri e Ken Sugimori giocavano a Dragon Quest II, ma Sugimori aveva ottenuto due volte il rarissimo Mad Cap mentre Tajiri nemmeno una volta?
A quel punto, un Tajiri molto invidioso decise che in Pokémon i giocatori avrebbero avuto una funzione di scambio, quindi scelse il Game Boy come console perché, a differenza del Famicom, esso avrebbe permesso la sua introduzione.
Insomma, è bello avere una cronologia ben definita, però Dragon Quest esiste anche per darvi giochi parzialmente collegati, ma di cui potete usufruire con semplicità.
Pure Dragon Quest Builders è tutto costruito su una premessa basata sugli eventi del primo Dragon Quest, ma non avete bisogno di giocare entrambi.
Farlo è solo un atto di amore nei confronti di questa storica e magnifica serie, ma non qualcosa che dovete fare per forza. Chissà, forse un giorno un altro Dragon Quest ci mostrerà il mutamento di Erdrea verso le terre di Dragon Quest III, ma sono sicuro che potrete godervelo pienamente anche se sarà la prima volta che vi avvicinerete alla serie.
Adesso, potreste pensare che questa profonda riflessione generale sia la fine dell’articolo, quel classico discorso conclusivo da serie TV in cui il termine di un episodio è accompagnato da una bella musica di sottofondo. Sbagliato! Siete chiaramente degli illusi che credono di riuscire a farmi tacere quando si parla di Dragon Quest. Passiamo al prossimo argomento.
La maturità di Dragon Quest XII
Durante la celebrazione del 35° Anniversario, Yugi Horii ha detto che Dragon Quest XII esplorerà una storia dai toni più maturi rispetto al resto della serie.
Non che gli altri giochi non abbiano avuti vari cazzotti fortissimi nello stomaco, ma a quanto pare con questo The Flames of Fate vogliono proporre qualcosa di nuovo.
D’altronde gli spin-off di Dragon Quest sono sempre stati molto sperimentali e la stessa serie principale ha progressivamente introdotto vari aspetti che col tempo sono diventati caratteristiche normali dei titoli successivi. In questo caso, i toni apparentemente più maturi non mi stupiscono particolarmente e voglio spiegarvi il motivo.
Forse conoscete Dragon Quest: L’Emblema di Roto, pietra miliare dei manga anni ’90 che racconta la storia di Arus, diretto discendente del protagonista di Dragon Quest III.
La storia espande moltissimi aspetti del mondo della Trilogia di Erdrick, un mondo che ai tempi non poteva essere approfondito così tanto nei giochi per un motivo tanto banale quanto importante: ogni riga di testo in più aumentava la dimensione dei giochi ed essa non poteva superare una certa soglia.
Il manga lo rese possibile e l’autore Chiaki Kawamata, accompagnato dai disegni di Kamui Fujiwara, fece nascere una grande opera.
NOTA: Una piccola curiosità che magari ancora tanti non sanno. Erdrick è l’occidentalizzazione del titolo Roto, il quale è a sua volta una traslitterazione dell’originale Loto (un po’ come Luffy di One Piece viene occidentalizzato con Rufy). Nei videogiochi si utilizza sempre Erdrick, mentre nelle traduzioni italiane dei manga si è deciso di mantenere Roto, ma alla fine il titolo è letteralmente identico e L’Emblema di Roto potrebbe anche intitolarsi L’Emblema di Erdrick. Inoltre, nel caso in cui ve lo stiate chiedendo, Erdwin di Dragon Quest XI è una voluta storpiatura di Erdrick, tant’è che in Giapponese storpia Roto chiamandosi Roshu.
L’Emblema di Roto raccontò una storia molto legata al classico viaggio dell’Eroe (ma ora il quadro completo ci fa anche capire quanti millenni possono essere trascorsi dall’XI al III).
Successivamente, nel 2004 uscì Il Ritorno dell’Emblema di Roto, storia che funse da prologo per il vero sequel del primo manga: L’Emblema di Roto II: Gli Eredi dell’Emblema. Iniziato nello stesso anno del suo prologo, Gli Eredi dell’Emblema iniziò a raccontare una nuova storia che avrebbe approfondito ulteriori personaggi e aspetti del mondo di gioco, ma con una differenza, ossia il tono più maturo.
Già nel 2004 Dragon Quest decise di sperimentare con una storia dedicata a dei “bimbi un po’ più grandi” e in Giappone la serie fu un enorme successo proseguendo con storie davvero interessanti per oltre 15 anni e concludendosi con il suo ultimo capitolo uscito a gennaio 2020.
Il Giappone è estremamente affezionato a L’Emblema di Roto e il suo sequel ha accompagnato sia la crescita di molti ragazzi che la vita adulta di persone che hanno conosciuto Dragon Quest ai suoi albori.
I toni più maturi de Gli Eredi dell’Emblema non sono nulla di nuovo per i Giapponesi e, a dirla tutta, ora non dovrebbero esserlo nemmeno per gli Italiani.
Questo perché Italia e Francia sono le uniche nazioni in cui Gli Eredi dell’Emblema ha ricevuto una traduzione. Tante persone chiedono una traduzione inglese, ma nel frattempo l’Italia ha già superato la metà dell’intera pubblicazione!
A parte questa piccola divagazione, resta il fatto che sperimentare con Dragon Quest XII, magari dandogli un tono più simile a Gli Eredi dell’Emblema, non stupisce tanto, ma mette molta curiosità.
Con Gli Eredi dell’Emblema terminato da oltre un anno, Dragon Quest XII: The Flames of Fate può essere davvero l’erede spirituale di ciò a cui ha dato vita quel manga e chissà se anche in questo caso Yugi Horii vorrà donarci ulteriori collegamenti di cui i fan discuteranno per anni.