“Non è un Resident Evil“, questa frase accompagnerà ogni uscita di un nuovo capitolo della serie finché Capcom non deciderà di rimettere la terza persona, la telecamera fissa e i controlli tank. Resident Evil: Village non è stato esentato da questa critica, ma a noi di Player non solo è risultato un vero RE, ma anche uno dei capitoli migliori.
In questo articolo, vi daremo cinque motivazioni per cui RE: Village è da considerare il futuro della saga (con le dovute correzioni da effettuare su alcune meccaniche meno riuscite e che abbiamo descritto nella nostra recensione).
L’ARTICOLO POTREBBE CONTENERE SPOILER
Village è uno dei Resident Evil più ricchi di contenuti sia per quanto riguarda le minacce che Ethan è costretto ad affrontare sia dal punto di vista stilistico. Uno dei pro più palesi che abbiamo evidenziato in fase di review è il modo in cui Capcom è riuscita a inserire più generi e sottogeneri della tematica horror nel suo ultimo lavoro.
Village è un classico Resident Evil, ma in soggettiva, in cui fasi action, puzzle ed esplorative si alternano in un contesto immaginifico di stampo gotico (licantropi, vampiri), il quale viene contaminati da elementi del cosiddetto folk horror, cioè un sottogenere che ha come tematiche principali la religione, la superstizione (riti pagani e sacrifici) e la presenza di un setting rurale.
Questo solo in superficie, perché poi RE: Village diventa un horror psicologico una volta arrivati a casa Beneviento. La fonte di ispirazione è cristallina, è quasi offensivo doverla sottolineare: P.T. Un omaggio riuscitissimo da parte proprio di quella che una volta era la rivale di Konami, una sezione di gioco da brividi che cambia le carte in tavola.
Se questo non bastasse, Village si butta sullo steampunk, sulla fantascienza più spinta, in stile Terminator quando la fabbrica di Heisenberg ci mette di fronte i soldat e l’abominevole uomo di ferraglia Sturm, a voler omaggiare Tetsuo – The Iron Man di Shin’ya Tsukamoto.
Se c’è una cosa che non manca in Resident Evil: Village è la presenza scenica di personaggi che hanno tutte le carte in regola per diventare iconici. La serie Capcom ha sempre fatto leva su personaggi principali e secondari di grande impatto, dal carisma palpabile, a volte anche un po’ esagerati, ma assolutamente coerenti con la struttura narrativa della saga.
A parte i soliti noti – Jill Valentine, i fratelli Redfield, Leon Kennedy – Resident Evil ha un cast di tutto rispetti che a distanza di anni fa parlare di sé. Sia i villain sia i buoni sono diventati delle icone, simboli non solo della serie, ma del genere horror videoludico in generale: Nemesis, Tyrant T-103 (Mr. X), Albert Wesker, Ada Wong, William Birkin, Oswell E. Spencer sono solo alcuni di essi.
Ebbene, in Village abbiamo un cast che non è certo secondo a nessun altro e tutto concentrato in un unico capitolo: Dimitrescu e le sue figlie sono personaggi di grandissimo spessore, sminuiti un po’ dai meme, anche di carattere hot; madre Miranda riesce a portare un nuovo punto di vista sulla storia di Resident Evil (ci torneremo); Heisenberg è caratterizzato in modo davvero pregevole (può non piacere la sua boss fight, non c’è dubbio), mentre il Duca non è solo il mercante, è un personaggio tutto da approfondire.
Resident Evil: Village ha una gestione della mappa e del level design che riesce a fondere insieme la classicità della serie impostata sul backtracking e la modernità di un nuovo modo di intendere questa necessità di tornare in luoghi conosciuti.
La mappa è più aperta, il villaggio fa da centro nevralgico, attorno ad esso spiccano quattro macroaree in cui risiedono i quattro Signori. Tra shortcut, sentieri secondari e percorsi alternativi, le zone sono tutte raggiungibili anche dopo una prima visita (a parte alcune eccezioni dovute a scelte narrative).
Se nei giochi classici della serie il backtracking era una tappa obbligata da una gestione dell’inventario abbastanza severa e punitiva per i raccoglitori seriali di risorse, RE: Village non elimina del tutto questo elemento fondante della serie, ma lo rende più intelligente, più moderno, meglio inserito nella struttura di gioco.
Tornare indietro perché in un baule abbiamo messo una chiave importantissima, abbandonata in favore di un’erba verde, poteva avere senso per aumentare la tensione, ma non certo dal punto di vista narrativo e immersivo. Con la nuova gestione dell’inventario (ripresa da Resident Evil 4 che però nessuno ha mai criticato aspramente), in cui risorse, armi e oggetti chiave vengono suddivisi in pratiche schede, anche l’esplorazione assume tutto un altro senso,
La trama di Resident Evil non è mai stata candidabile agli Oscar, ma è sempre stata immaginata per funzionare pienamente con il gameplay e le scelte di design, cioè ha sempre garantito una giustificazione a ciò che il giocatore fa per arri vare ai titoli di coda. La storia dei RE ha come fonte di ispirazione i B-Movie, costruiti anche su contraddizioni e iperboli che possono lasciare interdetti.
Il nuovo corso, invece, iniziato con RE7: Biohazard, ha messo al centro questioni più drammatiche, incentrate sulla famiglia, su tematiche come la perdita, basti pensare ai primi cinque minuti di RE: Village, in cui una famiglia felice viene sconvolta dall’uccisione di uno dei suoi membri.
Sia chiaro, non siamo di fronte alla trama di Death Stranding, mai sarà così e mai dovrà esserlo perché Resident Evil non ha quelle velleità e non funzionerebbe con una narrativa troppo introspettiva, alla Silent Hill. Però, il cambio di marcia c’è stato, una svolta l’abbiamo notata.
Parliamoci chiaro, certi cambi di ritmo, certi eccessi possono non incontrare il gusto personale, ma nessuno può dire che Resident Evil non ne abbia mai avuti. Anche i classici vivevano di trash, di momenti in cui strabuzzare gli occhi increduli e perplessi, forse meno evidenti per limitazioni hardware, ma comunque presenti anche sotto altre forme, come dialoghi da sanguinamento delle orecchie e cutscene badass che Revolver Ocelot sarebbe impallidito.
Dunque, la frase “non è un Resident Evil”, riferita a Village perché si combatte contro una versione arrugginita di Megatron, può anche starci per gusto personale, ma non può farci dimenticare che le esagerazioni sono sempre state di casa in quel di Raccoon City e ora di villaggi sperduti in Romania. Forse siamo noi oggi ad essere meno tolleranti.
This post was published on 12 Maggio 2021 14:11
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