Gli eSport oggi sono un business da miliardi di dollari, con team sponsorizzati dai più grandi marchi del mondo videoludico, i quali gettano soldi a pioggia per accaparrarsi i migliori giocatori. Come se ci fosse bisogno di dirlo, non è stato sempre così.
È però esistito un tempo in cui gli eSport erano un qualcosa visto male tanto e soprattutto dai videogiocatori, i quali consideravano eccessivo e contro lo spirito dei videogiochi il creare veri e propri tornei ufficiali con leghe, iscrizioni e premi. La sensazione che si aveva è che ci fossero dei pregiudizi, un poco come chi fa oggi arti marziali come MMA, che rendono automaticamente un violento chiunque le pratichi. Se giocavi in maniera competitiva eri un esaltato, un fissato, altro che milioni di dollari in premi.
Oggi voglio portarvi con me indietro nel tempo dritti dritti alla nascita dei primi eSport (intesi con la concezione moderna, s’intende. I primi tornei esistevano già negli anni ’80), e a come pian piano presero piede qui in Italia.
Toreneremo indietro al 2007, quando Modern Warfare venne rilasciato, e ripercorreremo attraverso il punto di vista di un niubbo la sua evoluzione da gioco cult a primo vero eSport. Non sarà come vedere un floppy-disk, ma il carico emotivo sarà lo stesso, ve lo assicuro.
La nascita di un titolo cult
La mia avventura nel mondo competitivo inizia a caso, come ogni storia balorda che si rispetti. Avevo già giocato i primi due CoD quando erano usciti, e avevo amato il secondo, soprattutto quando giocato in co-op locale a casa degli amici.
A causa della mia dipendenza da Ultima Online avevo lasciato perdere il terzo, e probabilmente avrei ignorato anche il quarto se un amico non me lo avesse tirato dietro (lo aveva ricevuto come regalo a natale ma il suo PC non aveva neanche una scheda video).
La campagna era un significativo passo in avanti e mi prese molto, ma la vera innovazione per me era il multiplayer. Il gioco era molto vario, con tantissime mappe, server dedicati in cui si potevano incontrare le stesse persone e formare legami, e soprattutto con un sistema a livelli con armi sbloccabili e skin aggiuntive che venivano legate al profilo quando si ottenevano certi achievement. Famose erano le skin oro che si raggiungevano dopo non ricordo quante kill/headshot con la stessa arma, un vanto enorme all’inizio!
Per i primi mesi ho giocato in maniera completamente casuale, entrando nei server che trovavo liberi e rimanendo a prescindere dalla mappa e dalla modalità di gioco. Un poco per caso e un poco per voglia di formare qualche amicizia, dopo un poco di tempo iniziai a frequentare server italiani, facendo amicizia con alcune persone. Ero abbastanza una sola, ma ci divertivamo, e quando si trattava di flammare vicendevolmente ero sempre tra i migliori (sempre grazie agli anni su Ultima e a i vari rosikoni). Uno dei server più famosi all’epoca era quello degli IZ, un clan italiano multi-game che credeva di essere formato da divinità in terra solo perché possedevano il server. Nonostante tutto, venivano continuamente presi a pesci in faccia da alcune persone, minacciando di ban per cheat chiunque fosse evidentemente più forte di loro.
Tutto ciò generò un odio abbastanza forte tra alcuni giocatori, che decisero di formare a loro volta un clan in modo da poter rendere le sfide ufficiali. Fu così che nacque il clan Antisommossa, destinato a diventare uno dei clan più forti in Italia ed in Europa. Ed io, che ero un niubbo che a malapena faceva più kill che morti riuscì ad entrare solo perché fui tra i primi a fare domanda, oltre che ad avere un requisito fondamentale: odiare gli IZ!
Le PCW e la nascita degli eSport
All’inizio far parte di un clan era un titolo più onorifico che reale, si aveva un gruppo di amici con cui giocare negli stessi server, stando insieme su TS, e fine.
Col tempo però, le modalità competitive iniziarono a prevalere sui server.
Quella che si diffuse maggiormente, visto il grado di strategia che richiedeva, fu il cerca e distruggi: da un lato il team attaccante, con una bomba da piantare, dall’altro il team in difesa, con due obbiettivi da difendere.
Ogni round aveva un numero massimo di minuti, e se si veniva uccisi non si spawnava fino al round successivo. Solitamente un match si giocava al meglio dei 24 round (era una impostazione di default che divenne la norma, nessuno si prese mai la briga di cambiarla).
Col tempo, i vari clan iniziarono a sfidarsi tra di loro, in quelle che venivano chiamate Practice Clan Wars (o PCW), delle amichevoli. Si decidevano le regole in anticipo, si giocavano due match da 24 round (ogni team sceglieva una mappa), con i team che si alternavano in 12 round in attacco e 12 in difesa. I risultati venivano poi postati sui forum come “trofei”.
Ciò che rendeva questi match in qualche modo diversi da quelli nei server pubblici era l’utilizzo della modalità veterano, in cui i danni erano nettamente aumentati e l’interfaccia utente completamente rimossa.
Nonostante tutto, la trasformazione in vero eSport fu molto lenta, e necessitò di due catalizzatori indipendenti ma complementari. Il primo fu il supporto alle mod, fino a quel momento quasi completamente ignorato in Modern Warfare.
Ammetto che a distanza di anni non ho ancora capito perché il fenomeno mod ci mise così tanto ad esplodere, ma quando successe, CoD si trasformò completamente. La cosa più bella (e che ad oggi pochi giochi hanno copiato per motivi a me sconosciuti) era che non serviva scaricare nulla a priori, quando si entrava in un server moddato il gioco scaricava in una cartella tutti i files necessari prima di fare il matchmaking.
Semplice, comodo, ed effettivo.
I server moddati furono fondamentali per lo sviluppo degli eSport: ricordo tra i tanti il server con granate infinite in cui, quando lanciavi la granata, la telecamera la seguiva. Tramite questa mod fu possibile imparare tantissimi nuovi sistemi per bloccare il gioco altrui, come lanciare le granate da un lato all’altro della mappa facendole esplodere vicino lo spawn nemico subito dopo l’inizio del match.
Dall’altro lato, permise la creazione di modalità avanzate di gioco, e di customizzare le partite. Questa caratteristica ha contribuito in maniera enorme in quello che è stato il secondo catalizzatore, ovvero la creazione di un ecosistema sportivo completamente custom.
Il vero passaggio da gioco con un bel multiplayer a competitiva avvenne grazie ad ESL, l’Electronic Sports League, una delle prime leghe in cui si potevano affrontare avversari in un campionato.
Se pensate che fosse una cosa semplice partecipare ad ESL, vi sbagliate di grosso: visto che l’anticheat di CoD lasciava abbastanza a desiderare, per partecipare all’ESL era necessaria una lunga trafila di operazioni che assicurassero la bontà del team.
Innanzitutto, l’intero team doveva essere registrato sul sito di ESL, inserendo dati personali (e fin qui, va beh). Poi, era necessario che ogni team avesse il proprio server privato con una mod particolare, chiamata PAM HC, che gestiva la scelta delle classi e la limitazione dei perk. Infine, come se non fosse abbastanza, andava installato un programma chiamato xFire, una sorta di anti-cheat aggiuntivo di una pesantezza unica che registrava l’intero game in locale, salvando una quantità di dati pazzesca per l’epoca.
Alla fine di ogni match tutti i componenti di tutte e due le squadre dovevano caricare i propri log sul portale ESL.
Una follia. (Ancora ricordo le urla del buon vecchio Uta quando dimenticai di farlo in tempo e per poco non ci squalificarono. Come traumatizzare i bambini!).
Una volta approvato il team per ESL, si era liberi di sfidare ogni altro team, in una sorta di enorme girone dinamico e in continua evoluzione.
I team entravano, uscivano, si menavano, il tutto con una fluidità (e disorganizzazione) difficili da descrivere. Inoltre, i punteggi erano pesati, più era in alto in classifica un team e più punti ricevevi se vincevi. Il nostro team se la cavava abbastanza bene, rimanendo stabile tra il decimo e quindicesimo posto su una classifica di oltre 50 team. Sopra di noi ovviamente un bel mistone di bandiere russe e tedesche, e sotto, tutti gli altri, compreso ogni altro team italiano ed i famosissimi IZ.
Proprio con loro, in anni e anni di ESL, non siamo MAI riusciti a fare un match.
Hanno rifiutato ogni singolo invito, con scuse al limite del ridicolo, consapevoli che avrebbero perso come in ogni PCW fatta. Sono letteralmente l’unico team che non siamo mai riusciti ad affrontare in maniera ufficiale. Stufi delle loro scuse e dei loro insulti ogni volta che joinavamo i loro server, una volta abbiamo deciso di oltrepassare la linea, di molto, e farci bannare in blocco. Il video di seguito è forse l’emblema della bimbominchiaggine di dieci anni fa, ma è troppo bello per non mostrarlo (cosa non si fa per le view):
Il mio (quasi) momento di gloria
Le PcW ed i match di ESL si alternavano in maniera estremamente continuata, ed io partecipavo ogni tanto, quando i membri del team principale o non erano disponibili, o le usavano come occasioni per dare il contentino anche ai più scarsi. Nonostante fossi abbastanza scarso per la media del team, ero comunque molto superiore al giocatore medio, e potevo aver benissimo il mio posto quando facevamo qualche PCW (nonostante fossi, e sia tutt’ora, una talpa).
Il mio momento di gloria però avvenne quasi per caso, una sera in cui in teoria non avrei dovuto neanche giocare.
I match di ESL prevedevano cinque giocatori per team, statici per tutta la sera senza la possibilità di sostituzioni. I team andavano annunciati ore prima, quindi non c’era possibilità di fare chissà quale magheggio. Oltre al quintetto iniziale, poteva essere indicata anche una riserva, che poteva partecipare solo in caso di problemi tecnici di uno dei titolari e che, una volta entrata avrebbe dovuto rimanere in game fino alla fine della partita.
Il mio momento arrivò durante una delle partite di ESL più difficili che il mio clan avesse mai deciso di affrontare. Quella sera giocavamo contro un clan russo tra i primi cinque al mondo. Noi schieravamo il nostro team titolare, con i cinque giocatori più forti del clan e probabilmente tra i più forti d’Italia. Io, invece, facevo lo spettatore non pagante in quanto prima riserva.
La prima mappa che giocammo era Bloc, quella scelta da loro. Per chi non fosse avvezzo, Bloc era una mappa per cecchini, con due palazzi più o meno speculari e una piazza in mezzo. Dopo 19 round su 24 noi ne avevamo vinti 5, e stavamo andando pure bene per gli standard internazionali. I russi erano di un’altra categoria. Ad un certo punto in chiamata TeamSpeak scatta il panico, uno dei nostri incursori smette di parlare e si disconnette da CoD.
Crash.
Mentre il round inizia 4 contro 5, io rusho a prepararmi: esco dal server su cui mi stavo allenando, loggo xFire e mi catapulto in game. Quel round stava andando male, e per puro miracolo riesco ad entrare un secondo prima che il quarto membro del nostro team venisse ucciso. Ero da solo, contro tutti e 5 i russi. Inoltre ero in svantaggio, i russi sapevano benissimo dove sarei spawnato e avrei dovuto piantare la bomba o ucciderli tutti e 5 per vincere. Inutile dire che nessuno, tantomeno il mio team, avrebbe creduto che sarei riuscito a far qualcosa.
Dal mio canto io sapevo dove due di loro fossero, visto che i miei compagni appena morti mi avevano indicato le loro posizioni. Erano entrambe vicini la mia porta, e forse sorpresi dalla mia rapidità li infilai tutti e due in poco tempo.
3 contro 1.
Procedetti verso l’uscita opposta rispetto a quella naturale che avrei dovuto/potuto usare seguendo le due uccisioni. Mentre mi giro noto che uno dei tre rimasti si stava avvicinando per coprire l’uscita che non avevo usato, e con un colpo ben assestato di Desert Eagle riuscì a portare a casa anche lui.
Su TeamSpeak il team è in visibilio.
“Regà, è impazzito!” urla il cecchino mentre si gusta la scena.
Ora eravamo 2 contro 1, ed io potevo andare su uno dei due target a piantare la bomba.
Su TS scegliamo l’obbiettivo velocemente, col tempo che stava per scadere.
Corsi verso di esso, sapendo più o meno dove mi avrebbe potuto aspettare un eventuale avversario. Mi affacciai prima verso la porta che si usava per coprire il bersaglio, e non vidi nessuno. Corsi verso la bomba, facendo la classica finta che fa scattare il rumore (insegnatami dal vecchio Max Payne, una faina di CoD e uno dei capi clan), e puntai di nuovo la pistola verso quella porta. Stavolta il bastardo si affacciò, cadendo nella finta.
Headshot, ed uno contro uno.
Avevo pochi secondi e potevo solo piantare la bomba, non c’era modo di cercare l’ultimo rimasto. Ma non servì. Come iniziai a piantare la bomba, sentì un colpo di pistola in cuffia, e poi buio. Avevamo perso il round.
Inutile dire che in nessuno dei round successivi, ne in Bloc ne sulla mappa scelta da noi, riuscì anche solo lontanamente a ripetere un exploit di questo tipo. Perdemmo miseramente il match, contenti di aver dato un minimo di filo da torcere a gente che era, senza tanti giri di parole, di un altro livello. La passione per CoD durò ancora un paio di anni, prima di essere distrutta dal numero crescente di cheater e di persone che abbandonarono il gioco per i successivi capitoli.
La fine di un’era
Ammetto di sentirmi vecchio quando ripenso a quei momenti.
Non tanto per il gioco, che ha ormai i suoi anni ed è stato anche rimasterizzato.
Mi sento vecchio perché nel mondo degli FPS non esiste più nulla di altrettanto libero.
La risposta di Activision anni dopo fu quella di far uscire un nuovo Modern Warfare senza server dedicati, e con un perk che dava la possibilità di utilizzare due P90 contemporaneamente.
Dato che il P90 era bandito in qualsiasi server del primo Modern Warfare, pubblico o privato che fosse, il messaggio era proprio: noi facciamo cosa ci pare, vaffanculo ai giocatori.
Una cosa del genere la presi sul personale, e decisi che non avrei mai più comprato un titolo Activision.
Ad oggi gli FPS sono tutti hero-based, da Overwatch ad Apex Legends, e per i vecchi come me non c’è soddisfazione. Noi giocavamo hardcore, se ti sparavo io tu morivi, se mi sparavi tu morivo io.
Non servivano eroi, poteri, combo.
Ognuno aveva la sua arma e viveva (e moriva) di quella. Dubito che in futuro qualcuno si getterà mai di nuovo su modalità di gioco simili a quella del primo Modern Warfare.
Era tanto divertente quanto poco remunerativa, soprattutto rispetto ai modelli moderni con eroi e pupazzetti.
Per me l’età d’oro degli FPS online, nata con Quake 3 Arena, è morta con Modern Warfare. Me ne rimarrà un bel ricordo, e l’effimera soddisfazione di aver, per una volta, spaventato i russi.