Come siamo arrivati al battle royale di Final Fantasy VII?

ff7 battle royale

Ormai è da diverso tempo che le varie conferenze legate agli annunci di videogiochi si dimostrano perlopiù deludenti. Il troppo hype spesso è un problema, e in parte è anche colpa del pubblico che si aspetta ad ogni occasione una bomba da sganciare, cosa che non è sostenibile data la frequenza di questi eventi. Se tutti noi abbiamo imparato a convivere con la delusione di una conferenza con annunci sottotono, i fan di Final Fantasy hanno imparato dall’ultimo State of Play che una presentazione può fare anche male al cuore.

L’annuncio di Final Fantasy VII Remake Intergrade è stata solo la punta dell’iceberg che ha trafitto come una stalattite di Sub Zero il cuore dei fan, non tanto per l’esistenza del progetto in sé, ma perché dal trailer è stata ufficializzata la presenza di elementi provenienti da Dirge of Cerberus, spin-off action con protagonista Vincent Valentine uscito nel 2006 su PlayStation 2.

Ora, tutto ciò che fa parte della compilation di Final Fantasy VII, escluso ovviamente il gioco originale, è da dimenticare e chiudere nel vaso di Pandora (salvo rare eccezioni), e quel trailer ha mostrato che quel vaso non solo è stato aperto ma il contenuto ora sta per essere inserito forzatamente nella storia che ha appassionato milioni di fan in tutto il mondo sin dal lontano 1997.

Come se non bastasse, al di fuori dello State of Play sono stati presentati altri due progetti per mobile: Final Fantasy: Ever Crisis, un rifacimento che a quanto pare riproporrà la storia dell’originale Final Fantasy VII e di tutti i capitoli della compilation, compreso Advent Children (sigh) in un RPG che ricorda molto il titolo originale; Final Fantasy VII: The First Soldier, ossia il battle royale di Final Fantasy VII.

Se anche solo un anno fa mi avessero detto che Square Enix stava lavorando a un battle royale di Final Fantasy VII avrei riso in faccia al mio interlocutore prima di dirgli di smettere di pronunciare tali blasfemie, e ancora oggi spero che sia tutto un brutto sogno, ma purtroppo non è così.

La domanda che sorge spontanea è dunque una sola: cos’è successo a Square Enix negli ultimi vent’anni?

Square Enix: dalle stelle alle stalle

Quando si pensa a Square Enix, ai fan di vecchia data viene subito in mente il periodo d’oro degli anni ’90, quando ancora la software house si chiamava Squaresoft e creava alcuni capolavori immortali del genere dei JRPG. Oltre ai vari Final Fantasy ci sono innumerevoli titoli che sono diventati delle pietre miliari da citare: Chrono Trigger, Xenogears, Vagrant Story, Parasite Eve, Front Mission, Final Fantasy Tactics, la serie dei Mana e molti altri.

Tutti titoli che vanno dall’ottimo al capolavoro e che hanno reso Squaresoft una delle compagnie più amate nel mondo dei videogiochi, specialmente dagli amanti dei giochi di ruolo giapponesi. Nel 2003 arrivò poi la fusione con Enix, altro colosso nel campo dei JRPG conosciuta soprattutto per Dragon Quest, e da lì le cose non furono più le stesse.

Molti furono gli addii di personale importante per la compagnia, uno su tutti Hironobu Sakaguchi, il papà della “Fantasia Finale”, che decise di farsi da parte dopo l’enorme insuccesso del film in CG di Final Fantasy, e questo fatto cambiò molto gli equilibri interni e il modo di lavorare della rinnovata azienda.

Final fantasy VII
Gli anni d’oro di Square Enix sono finiti da tempo ormai.

Dal 2003 fino a oggi se pensiamo ai successi di Square Enix viene difficile trovare qualcosa che sia al livello dei migliori titoli degli anni ’90. È doveroso fare un appunto: quando parlo di Square Enix intendo il nucleo centrale composto dagli studi interni che un tempo costituivano il cuore di Squaresoft, dunque senza contare studi acquisiti dopo, come quelli occidentali o quelli con cui hanno collaborato per creare ottimi titoli come ad esempio Nier Automata.

Le IP principali della passata Squaresoft sono cadute nel dimenticatoio, oppure sono state semplicemente sfruttate per porting e remastered spesso nemmeno troppo elaborate.

Le nuove IP provenienti dai team principali di Square Enix non hanno saputo conquistare i giocatori e spesso sono apparsi come semplici esperimenti non continuati, come ad esempio The Last Remnant o The 3rd Birthday, terzo capitolo di Parasite Eve uscito su PSP che snaturava alquanto la serie.

Anche i pochi successi davvero meritevoli come The World Ends with You non sono stati poi valorizzati a dovere (dopo quasi 15 anni è finalmente in arrivo un seguito di cui si sa ancora troppo poco per giudicare).
Molte buone idee, come ad esempio la serie Dissidia, dei picchiaduro atipici nati su PSP che riunivano i personaggi più famosi della saga di Final Fantasy, non hanno saputo evolversi positivamente, ne è la prova l’ultimo capitolo Dissidia Final Fantasy NT, che è stato deludente su tutti i punti di vista.

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Kingdom Hearts 3 non è riuscito a dare una degna conclusione alla saga di Xeanorth.

Delle IP principali rimaste molto attive mi vengono in mente solo Kingdom Hearts e Final Fantasy. Il primo sappiamo che fine ha fatto. I primi due capitoli di Kingdom Hearts sono piuttosto ben riusciti grazie all’idea di un crossover con i personaggi Disney e una storia molto semplice che racchiude i classici elementi di una battaglia tra il bene e il male.

A livello di narrazione bisogna ammettere che, tolti gli occhiali della nostalgia, presentano dei dialoghi dalla scrittura piuttosto banale e infantile, ma questa strana combinazione di personaggi unita a un buon gameplay aveva creato dei titoli che hanno saputo lasciare il segno, specialmente tra chi all’epoca era ancora molto giovane.

Dopo il secondo capitolo però sappiamo tutti com’è andata a finire. Titoli con parti importanti della storia spacciati per spin-off non fondamentali e distribuiti tutti su console diverse, fino all’arrivo del terzo capitolo nel 2019, che ha chiuso una storia diventata troppo confusionaria per essere capita, in cui anche il gioco per cellulari era fondamentale nell’economia della trama.

Oltretutto, tutta la storia del terzo capitolo è racchiusa in 4-5 ore dove gli eventi si susseguono in maniera troppo affrettata, chiudendo storie rimaste in ballo per anni in maniera banale. Anche il fan più sfegatato si è sentito preso in giro dal finale di questo terzo episodio.

Non voglio poi entrare nel merito del desiderio assurdo del director di Kingdom Hearts, Tetsuya Nomura, di far convergere il cancellato Final Fantasy Versus XIII all’interno della saga come si è palesemente visto nel DLC uscito un anno dopo il gioco originale.

Final Fantasy XV è stata una delle più grandi delusioni degli ultimi anni di Square Enix.

Passando alla saga di Final Fantasy, l’ultimo titolo davvero degno della saga è stato il X. Il XII che è ancora in larga parte salvabile (ma non ai livelli dei capitoli storici), ha avuto i suoi primi problemi quando il director del progetto, Yasumi Matsuno, che già si era occupato di importanti titoli come Final Fantasy Tactics e Vagrant Story, abbandonò la direzione. Ufficialmente si crede che fosse per motivi di salute, ma secondo alcune voci mai confermate ebbe problemi di troppo lavoro e litigò anche con la direzione della compagnia che gli fece cambiare la sua visione iniziale del gioco (Vaan, uno dei protagonisti più mosci della storia di Final Fantasy, non sarebbe mai dovuto esistere secondo l’idea originale del director).

Il tredicesimo capitolo, diretto da Motomu Toriyama, fu un disastro sia per quanto riguarda il gameplay, in quanto il gioco era un unico lungo corridoio fino a quasi la fine, sia per la storia, con personaggi scialbi e una narrazione poco interessante proseguita poi in due dimenticabili seguiti. Il XIV online fu un disastro nella sua versione 1.0 tanto da essere stata quasi ingiocabile.

Final Fantasy XV invece ha preso il posto di Final Fantasy Versus XIII ed è uscito 10 anni dopo l’annuncio della sua prima forma dopo diversi riavvii dello sviluppo. Hajime Tabata tentò di creare un gioco accettabile in circa 3 anni di sviluppo, ma non furono sufficienti e il titolo si presentò con gravi mancanze soprattutto con buchi di trama profondi come una voragine. Solo Final Fantasy XIV si salvò grazie all’intervento di Naoki Yoshida che ricreò da capo il MMORPG rendendolo uno dei successi che attualmente tengono in piedi Square Enix.

L’intervento di Yoshida e i fallimenti continui delle IP principali dell’azienda giapponese hanno cambiato alcune cose al suo interno, e dal 2019 si è rinnovata dividendosi in quattro divisioni chiamate Creative Business Unit ognuna dedicata principalmente a una o più IP.

Ad esempio la prima divisione guidata da Yoshinori Kitase si occupa di Final Fantasy e Kingdom Hearts principalmente; la seconda di Dragon Quest, RPG 2D come Bravely Default e Octopath Traveler e titoli arcade; la terza guidata da Naoki Yoshida si occupa dei MMORPG, quindi principalmente di Final Fantasy XIV e di recente di Final Fantasy XVI. Infine la quarta si occupa della serie Mana, di porting, remastered e dei titoli mobile.

Questo cambiamento sarà davvero in grado di riportare ai fasti di un tempo Square Enix?

Il futuro di Square Enix: darkness o light?

Sono passati solo due anni dalla ristrutturazione interna di Square Enix, e non bastano certo a comprendere la nuova direzione dell’azienda. Dopo aver visto gli ultimi progetti annunciati nell’ultimo anno posso però sbilanciarmi nel dire che al momento si sono viste sia cose molto interessanti che cose per niente positive.

Fondamentalmente il problema principale di Square Enix è quello di non aver mai provato a creare nuove figure in grado di sostituire per competenze e capacità dei mostri sacri come Sakaguchi o Kitase, spesso perdendo anche elementi di talento. Uno di questi, ad esempio, è Tabata, responsabile per essere riuscito a partorire un pulcino da quella montagna di sterco che sembrava inizialmente FF XV. Per tale progetto le colpe di Tabata sono minime e anzi, egli è riuscito a renderlo quasi accettabile. Probabilmente se avesse potuto mettere le mani sul gioco fin dall’inizio ci saremmo ritrovati tra le mani un videogioco di ottima fattura, considerando il livello qualitativo dell’altro suo progetto (Type-0).

Questi problemi nella successione dei talenti ancora oggi si vedono chiari come il sole: Hideo Baba, veterano della serie dei Tales of di Bandai Namco è arrivato a Square Enix nel 2017 ed è andato via due anni dopo senza nemmeno aver potuto realizzare un titolo.

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Lo sviluppo della storia del Remake di FFVII è preoccupante.

Al momento sappiamo che la seconda parte del Remake di Final Fantasy VII avrà come director Naoki Hamaguchi, già co-director del primo capitolo, un volto nuovo si potrebbe dire, dato che è in Square dal 2006.

Final Fantasy VII Remake dal punto di vista tecnico e del gameplay era un gioco davvero ben fatto, con un combat system da sogno che riusciva a unire perfettamente azione e turni. Il problema stava però nella parte narrativa, o meglio, fondamentalmente nell’ultimo capitolo di questa che sembra cambiare in maniera inconcepibile la storia. Dietro tutto questo c’è Tetsuya Nomura, che, anche se non sarà più director, continuerà a supervisionare tutta la parte narrativa di Final Fantasy VII Remake e di altri progetti affini.

Parliamoci chiaro: Nomura ha azzeccato in parte i primi due Kingdom Hearts, e già il secondo con i Nobody iniziava ad avere una storia un po’ troppo confusa e con qualche problema di continuità.

Dopo questi non ha più azzeccato nulla.

Ho già accennato a Kingdom Hearts in precedenza e non mi ripeterò, ma lui avrebbe dovuto occuparsi di Versus XIII e sappiamo come è andata a finire poi con il XV.

Ha gestito la compilation di Final Fantasy VII inserendo elementi degni dei peggio filler di un Naruto o di un One Piece, come la presenza del cantante giapponese Gackt in Crisis Core (si parla di una venerazione da parte di Nomura per questo cantante secondo delle voci mai confermate…) o l’assurda trama di Dirge of Cerberus, e infine ora ha ideato i cambiamenti peggiori visti nella storia di FFVII Remake e ha contribuito a creare il battle royale di Final Fantasy VII.

Sembra evidente che rappresenti un problema il suo potere decisionale all’interno dell’azienda, soprattutto quando alcuni veterani come Kitase, director del FFVII originale, e Shinji Hashimoto, Brand Manager della serie Final Fantasy, sembrano disinteressarsi totalmente a cambiamenti così drastici fatti a quello che è il gioco più amato in assoluto della storia di Squaresoft.

FFVII Battle royale
Purtroppo non è un incubo, il battle royale di FF VII esiste…

Fortunatamente non tutto sembra perduto e il sedicesimo capitolo è stato affidato al team di Yoshida, con director Hiroshi Takai, che sembra promettere bene da quel poco che si è visto (maggiori dettagli in quest’altro articolo). Anche Forspoken, conosciuto fino a pochi giorni fa come Project Athia, realizzato dal team Luminous Productions, ex team responsabile di Final Fantasy XV ha del potenziale per essere un buon titolo. Questo titolo sfrutterà nuovamente il Luminous Engine da cui il team ha preso il nome, e il breve trailer mostrato di recente all’evento di presentazione di Square Enix sembra mostrare un gameplay interessante. Bisognerà attendere ulteriori informazioni per capire quanto sarà valido questo titolo in arrivo nel 2022. Square Enix inoltre continua anche a portare dei buoni progetti legati a RPG più classici, come il recente Bravely Default II e il futuro Project Triangle Strategy, titoli interessanti influenzati chiaramente dai titoli della vecchia Squaresoft dei tempi d’oro.

Final Fantasy XVI è l’ultima speranza di vedere un bel ritorno della serie.

Square Enix, nonostante la ristrutturazione interna, ha ancora molto da dimostrare ai suoi fan. La gloria ottenuta tra gli anni ’90 e gli inizi del 2000 ha fatto vivere di rendita la compagnia per 20 anni, con molti fan che davano per certo che il nome Final Fantasy fosse garanzia di qualità.

Dopo i fallimenti del XIII, della primissima versione del XIV e del XV i rapporti con la loro fanbase storica si sono incrinati sempre più, e ormai per molti di essi un gioco Square Enix non è sinonimo di qualità, anzi. Finché continueranno a uscire titoli irrispettosi della storia della compagnia e delle persone che la hanno sempre supportata, il futuro non sarà affatto roseo. La speranza è che il ritorno di titoli di qualità, non fatti soltanto per sfruttare un brand famoso, come tutti noi ci auguriamo possa essere FFXVI, possa riportare la compagnia a ritornare sulla giusta strada.