Il 12 Marzo 2013, Santa Monica Studio pubblicava God of War: Ascension.
Il gioco chiudeva definitivamente l’arco narrativo ambientato nel pantheon greco e costituì l’ultima uscita del fortunato ed acclamato franchise, in esclusiva Sony, su Playstation 3. A differenza di quanto avvenuto con i capitoli principali della serie, o anche con gli altri due spin-off (Chains of Olympus e Ghost of Sparta ), molti guardano Ascension come al titolo meno riuscito della saga.
Oggi, 12 Marzo 2021, in occasione dell’ottavo anniversario del gioco, ci porremo nuovamente le stesse domande che ci ponemmo all’epoca: Ascension è veramente il God of War meno ispirato? C’è qualcosa che non ha funzionato? Oppure, con otto anni di “maturità” in più, possiamo darne una valutazione diversa? Nelle righe che seguono, non solo ripercorreremo la trama dell’ultimo capitolo della serie su PS3, ma andremo anche ad analizzare le cause che portarono ad una valutazione non eccellente e, infine, a cercare di guardare Ascension in un contesto più ampio, soprattutto alla luce della cambio di rotta avvenuto nel 2018.
Partiamo da un’importantissima premessa: God of War: Ascension è il vero incipit delle vicende di Kratos. Nonostante sia stato pubblicato nel 2013, successivamente a God of War III, Ascension è ambientato nei momenti successivi alla rottura del patto di sangue tra Ares e Kratos. Il guerriero spartano si è reso conto che il dio della guerra gli ha fatto versare il sangue della sua stessa famiglia e, per questa ragione, non intende più servirlo. In seguito a questa sua decisione, il Fantasma di Sparta viene raggiunto dalle Furie, che lo faranno prigioniero e si preparano a tormentarlo e torturarlo per tutta l’eternità.
Megera, una delle tre Furie, libera accidentalmente Kratos che, va da sé, inizierà a scatenare la sua rabbia contro tutti coloro che avranno l’ardire di sbarrargli la strada. Da questo momento in poi partiranno tutta una serie di flashback, con lo scopo di mostrare gli istanti subito successivi alla scoperta di Kratos di aver massacrato i suoi familiari e la nascita dei suoi propositi di vendetta.
Probabilmente è proprio nella narrazione che risiede il primo punto debole di God of War: Ascension. Spieghiamoci bene: la trama è simile a quanto già visto nelle precedenti iterazioni (sia principali che secondarie), ma si distingue per la sua non linearità, alternando passato e presente e rendendo più difficile seguire le vicende del protagonista. Un secondo punto debole risiede in Megera, Tisifone e Aletto; le tre Furie, per quanto temibili e perfettamente realizzate, non sono paragonabili né ad Ares né tantomeno a Zeus, la cui aura divina ce li presentava già come nemici potentissimi e che rasentavano l’invincibilità.
Come in ogni God of War che si rispetti, anche Ascension si presentò con un gameplay all’altezza del nome che porta, con diverse nuove feature relative soprattutto ai combattimenti. Per la prima volta, Kratos poteva utilizzare sia le armi trovate nei vari stage di gioco (giavellotti, spade, scudi, ecc.) che impossessarsi di quelle dei nemici. I quattro poteri magici implementavano “attacchi elementali” alle celeberrime Lame del Chaos, che diventavano così ancora più letali.
L’Amuleto di Uroboro, la Pietra del Giuramento e gli Occhi della Verità, infine, riuscivano a sorreggere tutti gli enigmi ed i minigiochi presenti in God of War: Ascension.
Ciò che ha fatto spiccare Ascension fra tutte le incarnazioni del franchise è stata, però, la presenza di un multiplayer, sia cooperativo che competitivo.
Ben cinque modalità online, capaci ospitare fino ad otto giocatori contemporaneamente, con mappe che provenivano direttamente dagli stage più gloriosi della saga; sotto questo aspetto, lo spin-off è riuscito a innovare il franchise lì dove nessuno dei suoi predecessori aveva mai osato (e dove non oserà neanche l’avventura di Kratos in terra scandinava).
Ancora una volta però, nonostante i punti a favore e le novità elencate, erano presenti anche dei difetti. Rispetto alle precedenti iterazioni della saga, God of War: Ascension presentava i combattimenti più facili in assoluto, alternati a degli enigmi in cui, però, morire era facilissimo. Lo stesso multiplayer online, pur essendo una novità assoluta per il franchise, voleva ricollegarsi alla trama principale del gioco, riuscendoci però solo in parte. La sensazione di molti, condivisa anche da chi vi scrive, è che quella feature fosse un vero e proprio esperimento, inserito in un genere di videogame da sempre “allergico all’online” e che in questo modo, forse, intendeva mascherare delle lacune a livello narrativo.
Da appassionato della saga, più volte mi sono posto questa domanda ed oggi, a ben otto anni di distanza, ho individuato tre risposte.
La prima “colpa” di Ascension è stata quella di essere uscito dopo God of War III.
La terza main entry del franchise rappresenta forse il punto più alto mai toccato da Santa Monica Studio, e tentare anche solo di eguagliarne il successo sarebbe stata un’impresa improba per chiunque. Come ampiamente sottolineato in precedenza, lo spin-off non è affatto un brutto gioco, ma non regge il confronto con la cavalcata finale di Kratos.
La seconda “colpa” di Ascension, invece, risiede nella sua fanbase.
Questa, ad oramai tre anni di distanza dalla conclusione della vendetta del Fantasma di Sparta, già si stava preparando ad un God of War IV. In base a quanto ora detto, è stata tanta la delusione quando gli appassionati realizzarono che tutto ciò su cui avrebbero potuto mettere le mani era un “semplice” spin-off, che copriva degli eventi già tutto sommato noti e che forse non suscitavano chissà quale interesse.
La terza ed ultima “colpa” è tutta di natura tecnica.
Santa Monica ci ha sempre abituati a dei continui balzi tecnici con ogni suo gioco; nonostante Ascension possa vantare forse la miglior grafica che un God of War abbia mai avuto su PS3, non si avverte quel “salto tecnologico” chiaramente percepibile nelle precedenti incarnazioni del franchise. Ma non è tutto: il gameplay stava iniziando a mostrare i segni del tempo. Se il capitolo conclusivo della saga greca aveva rappresentato lo zenith tecnico della serie, è con il titolo in questione che questo approccio inizia a sembrare “vecchio”, facendo nascere l’esigenza di una boccata di aria fresca.
Devo farvi una confessione: acquistai il gioco al day one (rigorosamente in versione Collector’s Edition) e ricordo benissimo la delusione che avvertii una volta raggiunti i titoli di coda. Tuttavia, in occasione del suo ottavo compleanno, non posso non tornare almeno parzialmente sui miei passi: God of War: Ascension non era assolutamente un brutto gioco, semplicemente non poteva rispettare le altissime aspettative miei e dei fan.
E dirò di più: God of War: Ascension ha dei notevolissimi meriti.
Il mezzo passo falso di Sony ci ha fatto capire che la saga greca era oramai conclusa e che, pur continuando a spremerla, non sarebbe uscito fuori niente di rilevante. In secondo luogo, Ascension ha reso chiaro quanto fosse grande la necessità di “chiudere con il passato“, non sono dal punto di vista narrativo, ma anche e soprattutto tecnico. Non aveva più senso riproporre ulteriormente delle meccaniche hack ‘n slash, ma si doveva cercare una strada diversa, esplorando nuove soluzioni e “nuovi territori”.
Per farla breve, il più grande merito di God of War: Ascension è stato quello di aver involontariamente gettato le basi per il God of War del 2018, preparando l’audience a qualcosa di veramente “nuovo” e “fresco”.
Proprio per questa ragione io ti ringrazio, God of War: Ascension, e scusami se in passato sono stato troppo duro nel giudicarti, ma il tempo è sempre galantuomo, ed ora sei stato collocato nel posto che ti spetta di diritto: a metà strada tra l’Olimpo e il Valhalla.
This post was published on 12 Marzo 2021 10:00
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