Con Championship Manager: il calcio come non l’avete mai visto continua la nostra rubrica settimanale #venerdìnostalgia dedicata al retrogaming. Ecco il racconto di un gioco che ha dato vita ad una saga in grado di diventare il punto di riferimento dei manageriali calcistici per quasi un trentennio.
Se vi siete persi gli articoli precedenti dedicati al retrogaming potrete ritrovarli comodamente tutti a questo link. Troverete God of war, Resident Evil, Silent Hill, Winning Eleven e molte altre chicche raccolte solo per voi!
Gli italiani, è risaputo, sono un popolo di santi, poeti e navigatori, o almeno così era in passato. Oggi giorno si potrebbe dire che ogni buon italiano è prima di tutto un esperto di politica, di economia e sicuramente un allenatore provetto. Se per le prime due categorie non esiste una cartina tornasole, per la terza invece, esiste eccome un imparziale metro di giudizio universalmente riconosciuto. Parliamo di Championship Manager, (per noi italiani semplicemente Scudetto) il manageriale di calcio che da quasi trentanni ci permette di sedere sulla panchina della squadra del cuore o delle più forti squadre d’Europa e del mondo. Parliamo del calcio videogiocato come non si era mai visto prima.
Quante volte, da appassionati di calcio, ci siamo sentiti dire che basta un pallone e ventidue giocatori a inseguirlo per farci completamente perdere la testa? Che siano essi reali, visti in tv, o giocati su qualche simulatore? Championship Manager però è riuscito a fare molto di più, ci ha regalato le emozioni del campo da gioco, senza che questo campo lo vedessimo mai. Con la potenza narrativa di una cronaca radiofonica da novantesimo minuto, e le competenze di un manager inglese, è riuscito a portarci in un mondo parallelo dove una scritta al posto di un’altra poteva farci raggiungere il paradiso o sprofondare all’inferno.
Anno di grazia 1992. Paul Collyer e Oliver Collyer sono due fratelli con una passione in comune, quella per il football inglese. Quell’anno pubblicano il primo capitolo di Championship Manager. Nella prima edizione i nomi dei giocatori non sono quelli reali, e al lancio il successo non arriva. Nel ’93 nasce il primo CM con giocatori reali e la neonata Premier League. I due fratelli capiscono di avere per le mani qualcosa di clamoroso, decidono di fare il grande salto e fondano la Sports Interactive. Nel ’95 esce la seconda edizione del manageriale calcistico, che copre le varie annate fino al 98. I database si allargano a dismisura, così come i campionati e le modalità presenti nel titolo. Come un buon vino, più passa il tempo, più la qualità del prodotto aumenta. Il salto vero, quello destinato a cambiare tutto, sta per arrivare.
L’anno è il 2000 / 2001. Quello che viene alla luce in questa stagione calcistica è destinato ad essere ricordato come uno dei più bei videogiochi manageriali calcistici di tutti i tempi. Il gioco è semplicemente perfetto. Nei panni di un allenatore all’inglese, incaricato di gestire il mercato dei trasferimenti, le tattiche, le partite, le finanze del club, dovremo farci carico di una squadra e condurla al successo, scovando nuovi talenti, portando a casa plusvalenze e comprando campioni che si sposino con il nostro credo calcistico.
Il gameplay di Championship Manager è stato a suo modo rivoluzionario. In gioco infatti non ci sarebbe stata alcuna schermata destinata al momento della partita. Avremmo potuto leggere i valori dei singoli giocatori, impostare schemi e formazioni, avanzare offerte di mercato o controllare le finanze, ma mai guardare la partita della domenica. Il match vero e proprio infatti veniva raccontato attraverso delle stringhe di telecronaca, che ci avrebbero informati sulle varie azioni e sull’andamento della stessa. Il resto lo faceva la nostra immaginazione, esattamente come era stato per i nostri padri ascoltando le partite alla radio prima dell’avvento delle pay-tv. Tutto questo senza tralasciare la rivoluzionaria applicazione della “fog of war”.
Nel manuale Sulla guerra di Carl von Clausewitz del 1837 la “fog of war” veniva descritta come una zona incerta all’interno di una battaglia. Una nebbia per colpa della quale le decisioni che potessero portare a vincere o perdere una guerra sarebbero state incerte. In un gioco di strategia sarebbero le porzioni di mappa volutamente oscurate per non farci sapere cosa ci attende. Questo concetto fu esteso a Championship Manager oscurando parte di valori dei giocatori meno conosciuti. Per scoprire tutte le carte in tavola, infatti, ognuno di noi avrebbe dovuto sguinzagliare osservatori, comprare talenti alla cieca, oppure affidarsi alle dritte di amici e conoscenti, sempre alla ricerca di nuovi crack di mercato. Il secondo successo di CM fu quello di creare una fittissima rete di appassionati pronti a scambiarsi consigli e dritte come un Monchi o un Marotta “de noantri”.
Prima di Championship Manager difficilmente avremmo pensato di poter esultare come pazzi davanti ad una scritta illuminata da due colori. Era quello infatti il segnale distintivo di una rete. La telecronaca ci descriveva in poche righe l’evolversi dell’azione, esplodendo infine di gioia nel vedere lo schermo illuminarsi. Con il passare degli anni gli sviluppatori hanno anche introdotto i falsi gol, annunciati con tanto di scritta lampeggiante e poi corretti dalla chiamata di un fallo o di un fuorigioco. Il tutto accompagnato da rumori di sottofondo presi direttamente dagli stadi.
In questi anni si era ancora lontani dalle moderne simulazioni in 3D, dagli omini virtuali da osservare mentre si muovono in campo. Al tempo ci bastava qualche rozzo dato sul possesso palla, sui passaggi completati o sbagliati, qualche freccia per impostare un lavoro di copertura o di spinta e la percentuale della forma fisica. Con gli anni il gioco si è evoluto sempre più, fino a diventare una vera e propria simulazione totale del calcio. Quel sapore di radiocronaca dei primi capitoli però, è difficilmente eguagliabile da qualsiasi simulazione moderna. Arrabbiarsi per un: “il pallone sorvola la traversa” o “ha sbagliato da pochi passi”, sono emozioni che difficilmente possono essere spiegate a chi non le ha vissute.
Tutto la grandezza di Championship Manager è racchiusa nei suoi database, nell’enorme mole di lavoro compiuta negli anni per trovare e associare un valore ad un numero sempre maggiore di giocatori e di talenti in tutto il mondo. Man mano che il gioco ha incontrato il successo del pubblico si sono allargate le schiere di collaboratori e scout in giro per il mondo. Nei forum iniziarono a comparire i primi miti e le leggende. Un diciassettenne Robben scoperto per caso, un Daniele De Rossi pescato nelle giovanili della Roma. Alex McLeish, ex allenatore del Glasgow Rangers ha raccontato che il figlio, appassionato del gioco, gli consigliò di comprare un ragazzotto argentino del Barcellona B che, nella simulazione, andando avanti con gli anni sarebbe diventato il più forte giocatore del mondo. Quel ragazzo di nome faceva Leo.
Ovviamente non tutti i fenomeni del gioco sono poi diventati fenomeni anche nella realtà, basti pensare ad un certo Freddy Adu o a Simone Pepe, ma per darvi un’idea della reale potenza di questo simulatore, vi basti pensare che Lutz Pfannenstiel, scout del club di Bundesliga Hoffenheim, ha confessato a TalkSport: “Io e un collega lo notammo su Football Manager, poi dopo il lavoro necessario ci siamo presentati al Figueirense con 4 milioni di euro. Tanti, se si considera che arrivava dalla seconda divisione brasiliana. La gente pensava che fosse un giocatore pronto, vista la cifra spesa. Alla fine lo abbiamo venduto a 42 milioni più bonus, quindi penso che sia andata bene”. Questo giocatore, trovato con CM, è l’attuale finalista di Champions League Firmino.
This post was published on 18 Maggio 2018 12:00
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