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Speciali

Alien: quarant’anni di paura fra cinema e videogioco

Pur arrivato in sordina e non avendo mostrato molto, Aliens: Fireteam, nuovo fps cooperativo ambientato nell’universo narrativo di Alien (qui la news) e atteso per prossima estate, è stata una piacevole sorpresa settimanale.

Impostato come un gioco action di squadra, con piccoli team di tre giocatori che devono sopravvivere a orde di Xenomorfi (gli alienoni della serie cinematografica), Fireteam sembra volersi porre come nuova interessante incarnazione di un brand cinematografico la cui storia è strettamente legata a quella del videogioco per via delle varie trasposizioni susseguite nel corso degli anni, ma non solo.

Oggi, per omaggiare  l’annuncio del gioco, ripercorriamo una storia lunga quasi quarant’anni, che mescola cinema e videogioco senza pietà, per poi tentare di lanciare uno sguardo a quel che ci aspetta.

Aliens: Fireteam (2021)

Alien: un profilo transmediale

Pochi sono i brand della fantascienza/horror che hanno avuto un impatto così profondo sulla cultura pop quanto quello di Alien, una serie che, se negli ultimi decenni ha mostrato scarsa capacità di reinventarsi e incidere, ha letteralmente dominato l’immaginario degli anni ’80 e ’90 grazie ai suoi quattro film principali (se escludiamo i “moderni” e discussi Prometheus e Alien: Covenant).

Alien: lo splendido tributo di Tsueno Sanda per i quarant’anni del primo film (2019)

Fin dal momento del suo esordio con Alien, primo film della serie uscito nel 1979 per la regia di Ridley Scott, la serie ha inventato un nuovo paradigma per la fantascienza, con un mix con l’horror capace di costruire storie incentrate su pochi e mal equipaggiati protagonisti che si muovono in oscure astronavi danneggiate circondati da creature aliene e assolutamente ostili.

Non si trattava di temi del tutto inesplorati per il cinema, in quanto già film come La Cosa dall’Altro Mondo o Il Villaggio dei Dannati avevano tentato contaminazioni fra horror e sci-fi, ma mai di questo tipo.

Si trattò di un vero big bang: nei quarant’anni successivi la saga è proseguita con altri tre film che non solo sono riusciti a sfruttare al massimo la formula base del primo episodio, ma anche a declinarla attraverso tagli autoriali differenti. Con Aliens-Scontro Finale James Cameron fece dell’universo di Scott lo scenario per un thriller d’azione teso e testosteronico, mentre Alien3 di David Fincher (lo stesso che avrebbe poi girato Se7en) quello di un body-horror dalle atmosfere malsane e più vicine a quelle dei primi film i David Cronenberg.

Aliens-Scontro finale

In tutto questo, una serie di romanzi, fumetti Dark Horse, cortometraggi web (come quelli usciti nel 2019 per commemorare i quarant’anni del primo film) ha espanso l’universo attorno ai film e a dargli coerenza narrativa fino a farlo diventare un setting a tutto tondo.

Il tutto mantenendo un’identità solo in parte commerciale, perché i film di Alien non hanno mai mancato di gravitare attorno a quella che potremmo definire la “fantascienza filosofica”. Oltre a essere un grande thriller/horror, il primo Alien era anche un film in grado di affrontare il tema del rapporto fra uomo e macchina e quello fra individuo e sistemi sociali, grazie al suo raccontare una storia fatta di multinazionali che colonizzano lo spazio in cerca di risorse, di cyborg umanoidi (o “sintetici”) che impazziscono e di computer dall’intelligenza troppo potente e ambiziosa.

Una vera e propria serie-simbolo che, nata all’alba del periodo culla del gaming contemporaneo-gli anni ’80-non ha mai mancato di incrociare la sua storia con esso.

Alien e il videogioco: una lunga storia

Come ogni storia videoludica legata a brand di impatto e successo, anche quella di Alien è lunga e ricca di episodi significativi, nel bene come nel male.

Il primo videogioco tratto da Alien è del 1982, e si tratta di un gioco di Fox Video Games (divisione gaming dell’allora 20th Century Fox) che altro non era che una declinazione in salsa “sci-fi/horror” di… Pac-Man.

Sì, esatto: nei panni di Ripley, la tostissima protagonista della serie, il giocatore doveva sopravvivere all’inseguimento degli Alien all’interno di un complesso labirinto, esattamente come in Pac-Man.

Se quest’operazione oggi fa sorridere per la sua ingenuità (ma sempre dei primi anni ’80 parliamo), già la successiva avventura testuale del 1984, anche questa intitolata Alien, sembrava cominciare a capire di avere fra le mani materia narrativa adattissima a giochi profondi e incentrati sulla storia, e proponeva una formula di gioco che sembrava a metà strada fra un gioco da tavolo digitale e un’avventura narrativa. Nei panni dell’equipaggio dell’astronave Nostromo, eravamo chiamati a difenderci dallo Xenomorfo gestendo al meglio il nostro velivolo e i suoi locali interni attraverso una mappa navigabile e vari menù gestionali. Un’impostazione “strategica” che sembra curiosamente ricordare quella di un altro gioco “ad ambientazione fantascientifica” contemporaneo, Among Us.

Il resto degli anni ’80 e dei primi ’90, caratterizzati cinematograficamente da Aliens: Scontro Finale (1986) e Alien3 (1992) è all’insegna di questo tipo di trasposizioni in action game che puntano a ricreare le atmosfere dei film giocando nel campo dell’action a scorrimento, almeno fino al 1996, quando si ha quella che potremmo definire la più matura delle prime trasposizioni di Alien, Alien Trilogy, che ripercorre gli eventi di tutti e tre i film della serie adottando un’impostazione FPS.

Per la prima volta, l’Alien videoludico imboccava la strada della “modernità”  giocando con maggiore profondità sul fatto di mettere il giocatore a contatto con un ambiente fortemente ostile grazie allo strumento della prima persona.

Alien Trilogy

La scelta funzionava, tanto che nel 1999 il team inglese Rebellion Developments decise non solo di sfruttarla per un nuovo titolo slegato dai film, ma soprattutto per una sorta di folle omaggio tout-court alla fantascienza horror: Alien vs Predator, gioco d’azione/horror che, ispirato da alcune saghe a fumetti di Dark Horse Comics basate sull’ipotesi di un incontro fra Alien e Predator, riuniva due delle più importanti “mostri fantascientifici” degli anni ’80 sotto lo stesso tetto.

Gioco commemorativo e cinefilo per eccellenza, Alien vs Predator era strutturato in due campagne parallele che omaggiavano i due franchise in maniera originale, mettendoci nei panni di esemplari dei due iconici mostri.

Un successo incredibile, che portò a una sorta di corto circuito in seguito al quale la 20th Century Fox si convinse a produrre un film-spin-off basato su AvP, con nel cast anche Raoul Bova (ahinoi).

Il periodo maturo: Colonial Marines e Alien: Isolation

A partire dal 2010, il franchise di Alien subisce un tentativo di rilancio, ancora una volta con risultati altalenanti.

Se nel 2012 è lo stesso Ridley Scott a provare a riportare la saga al cinema attraverso una sorta di nuovo corso con Prometheus, titolo che tenta di amalgamare la mitologia di Alien con le teorie della cospirazione simil-rettiliane (spaccando critica e pubblico), un anno dopo Aliens: Colonial Marines tenta di trasporre l’architettura narrativa del secondo episodio della saga in un fps tattico sviluppato da Gearbox Software, purtroppo destinato al mezzo fiasco a causa di una trama non d’impatto, di problemi di IA e soprattutto di una generale mancanza di mordente.

Aliens: Colonial Marines

Un’idea sulla carta ottima, ma concretizzata in maniera davvero scarsa e solo dopo un developement hell di circa dieci anni.

Risultato migliore per Alien: Isolation, uscito nel 2014 e molto più “corazzato” sia da un punto di vista narrativo che di gameplay. Ambientato fra Alien e Aliens-Scontro Finale, Isolation ci metteva nei panni di Amanda, figlia di Ellen Ripley impegnata a cercare la madre dispersa nello spazio dopo gli eventi del primo film, all’interno della stazione spaziale Sevastopol.

Il risultato dell’operazione è stato definito uno dei migliori giochi dedicati ad Alien, con una componente survival-horror di tutto rispetto e una fedele ricreazione delle atmosfere del film originale, anche grazie a una speciale opzione grafica che restituisce gli effetti della pellicola dei film anni ’70.

Alien: Isolation

Alien: l’impatto sul videogioco

Se la storia videoludica del franchise di Alien è ricca, ampia e ha dato ai giocatori avventure indimenticabili, diverso e forse ancor più interessante è un altro discorso, ovvero quello dell’influenza dei film di Alien sul videogioco survival horror.

Se infatti spostiamo lo sguardo dal racconto della cronistoria della saga a quello del suo impatto iconografico sulla cultura pop, è difficile non vedere tracce della caccia degli Xenomorfi a Ripley in moltissimi giochi.

Doom 3

Potremmo citare produzioni recenti e in qualche modo figlie alla lontana di Alien come The Last of Us, in cui gli infetti più pericolosi si muovono sulla mappa con un approccio predatorio che deriva in qualche modo dai film della serie, così come buona parte dei survival horror.

Se Alien ha dato un apporto al modo di raccontare storie thriller per immagini, questo è nel modo in cui ha messo su schermo ambienti claustrofobici, creature disgustose, sapienti utilizzi di luce e ombra volti ad aumentare la tensione nello spettatore, tutti elementi che ritroviamo in saghe come Resident Evil o ancora nei cari vecchi F.E.A.R.

Dead Space

Tuttavia, andando nel concreto, a prendere saldamente fra le mani e rielaborare lore e mood di Alien troviamo per esempio Doom (e in particolare Doom 3, il più horror della serie “classica”), con i suoi minacciosi abissi metallici infestati, la serie di System Shock e, ovviamente, Dead Space, che di fatto puntato tutto sulla riproposizione di inquadrature, atmosfere, suggestioni, della saga horror fantascientifica per eccellenza.

Se poi guardiamo ad Aliens-Scontro Finale e al suo mettere in scena epici scontri fra colonial marines iper-corazzati e orde di nemici spietati, il pensiero non può non andare a Gears of War e alla sua serie, che come il film di Cameron è costruita sulla fascinazione per una fantascienza sporca, brutale, ma genuinamente eroica.

Infine, discorso a parte su Ripley, tosta protagonista della serie che, grazie a un’interpretazione di Sigourney Weaver che ha fatto la storia del cinema di genere, ha dato l’ispirazione per innumerevoli eroine del videogioco, come la Jill Valentine di Resident Evil.

La speranza in Fireteam

Se guardiamo in prospettiva il cammino di cui abbiamo fin qui parlato, Aliens: Fireteam appare un gioco davvero a suo modo necessario.

Dopo quasi quant’anni di videogiochi sul franchise di Alien, Isolation sembra aver dato una versione videoludica del progetto finalmente moderna, con un perfetto intreccio fra origini cinematografiche e gameplay maturo che rendeva finalmente giustizia a un racconto genuinamente survival horror com’era il primo Alien.

Uno splendido Xenomorfo in Fireteam

La ciliegina sulla torta sarebbe ora quella di rendere giustizia anche ad Aliens, film action sopraffino, divertente, tutto scrittura-di-ferro-e-spettacolarità, che tanto ha donato al suo genere e anche al videogioco (vedi sopra, alla voce “Gears of War”).

Al momento sappiamo molto poco di Fireteam, i gameplay sembrano suggerire un gioco molto tradizionale e non certo di rottura, concepito quasi come un calco brandizzato di altri titoli come Left 4 Dead, ma forse è esattamente quel che deve essere: il tentativo di omaggiare un classico del passato con una struttura di gameplay facilmente riconoscibile e gestibile, in grado di attrarre le simpatie dei fan e rinvivire i fasti di un intero brand.

Ci riuscirà?

I mezzi tecnologici ci sono tutti.

Incrociamo le dita.

This post was published on 6 Marzo 2021 16:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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