Correva l’anno 2005, sul mercato uscirono titoli del calibro di God of War, Call of Duty 2, Age of Empires III e Forza Motorsport. Tra questi si insinuò anche qualche titolo meno noto, come proprio Fahrenheit, un prodotto molto particolare sviluppato da una software house francese, su cui non si erano ancora accese le luci della ribalta, Quantic Dream. Quell’anno ero assuefatto dalla lettura di riviste come Play Generation e proprio su un numero di quel magazine lessi una sorta di anteprima di Fahrenheit.
Se vi siete persi gli articoli precedenti dedicati al retrogaming potrete ritrovarli comodamente tutti a questo link. Troverete Final Fantasy, Resident Evil, Silent Hill e molte altre chicche raccolte solo per voi!
Non lo avevo mai sentito nominare, ma quando i miei occhi caddero sulle parole: thriller, omicidi, investigazione, presi istantaneamente la decisione di acquistare quel nuovo videogioco. Fahrenheit è stato apripista di un nuovo genere, di un nuovo modo di concepire l’intrattenimento nell’industria videoludica. Più grezzo di Heavy Rain e di Beyond: Two Souls, ovviamente, ma in certi aspetti addirittura superiore ai suoi successori.
Fahrenheit: ho ucciso un uomo
Dopo un tutorial molto particolare e l’introduzione, mi ritrovai nei panni di Lucas Kane, un ragazzo normalissimo seduto in una tipica tavola calda di New York, mentre fuori imperversava la neve. L’atmosfera mi piacque al primo impatto. Entrato nello squallido bagno della tavola calda, per seguire il corso degli eventi, mi vedo costretto quasi da una forza soprannaturale ad uccidere un uomo senza un apparente motivo. Lucas, risvegliatosi dallo stato di trance, si rende conto di aver accoltellato e di aver infierito sul cadavere di quel poveraccio.
Cos’è successo? Lucas è uno psicopatico che ha questi momenti di follia omicida? Di tempo per pensare a questi accadimenti non ce n’era perché un poliziotto stava per sopraggiungere. Lo schermo si divise in due per mostrarmi il mio personaggio e il poliziotto che si avvicinava alla scena del crimine. Avevo ora il controllo di Lucas e di fronte a me si presentavano delle scelte. Cavolo, era tutto così… strano. Potevo scappare a gambe levate spintonando il poliziotto sperando che non mi vedesse bene in volto, potevo risedermi cose se nulla fosse successo e continuare a mangiare o ripulire il possibile nel poco lasso di tempo che mi separava dall’entrata in scena del tutore della legge.
Niente panico. Presi il corpo esanime e lo chiusi in uno dei gabinetti disponibili, agguantai poi una ramazza e tolsi le scie di sangue. Che fare ora? Ah, accidenti, avevo del sangue sugli avambracci. Il poliziotto nel mentre avanzava. Lavai tutto interagendo col lavabo. A quel punto, la mia idea era quella di incamminarmi verso l’uscita facendo finta di niente… no, cavolo, avevo dimenticato il coltello, l’arma del delitto. Non c’era più tempo, però. Lo lasciai lì e uscii dal bagno e dal locale. Presi poi la metropolitana per tornare a casa. Scoprii che avrei potuto prendere anche un taxi e che questo avrebbe cambiato gli eventi.
Il poliziotto entrò e vide il cadavere in uno dei bagni. Chiamò la polizia. A quel punto, Fahrenheit mi mise nei panni dei due detective, Carla Valenti e Tyles Miles. Obiettivo? Analizzare la scena del crimine per trovare indizi. Ma io sapevo già chi avesse commesso l’omicidio! Ero stato io! Non capivo. Iniziai a scandagliare la zona. Entrato nel bagno vidi il coltello. Mi dannai per non averlo gettato… ma allo stesso tempo pensai che fosse una cosa buona. In quel momento io ero il detective, non l’assassino.
Interrogai la cameriera che era di turno e le chiesi di recarsi al distretto il giorno dopo per un identikit dell’assassino… mi stavo incastrando da solo. Nella mia mente iniziai a gridare: “A cosa diamine sto giocando?”. E mi piacque tantissimo.
Nuovi concetti, nuove definizioni
Ho voluto scrivere questo racconto delle mie prime fasi di gioco per farvi capire in modo inusuale quanto Fahrenheit abbia significato, in quel contesto, per il mercato dei videogiochi. Si aveva davvero l’impressione di giocare a qualcosa di nuovo, di fresco. Sul piano prettamente estetico e grafico eravamo di fronte a un titolo di buona fattura, ma c’era senza dubbio di meglio in giro e non di poco. Ma non era quello il punto su cui focalizzarsi.
Chi ha giocato Fahrenheit all’uscita, o poco dopo, può confermare che la sensazione offerta da quel titolo fosse di libertà e di concreta influenzabilità degli eventi da parte del giocatore. Giocarlo oggi, probabilmente, farebbe saltare fuori tutti gli altarini, i compromessi e le effettive lacune della struttura a bivi del titolo in questione. All’epoca parlare di Fahrenheit significava dover introdurre nuovi concetti, esporre meccaniche che poche altre volte si erano viste. D’altronde, la definizione di film interattivo, che non identifica solo i giochi di Quantic Dream, ma anche quelli che ne prendono fortemente spunto (Until Dawn, Quantum Break, Life Is Strange) è entrata nel linguaggio videoludico proprio dal momento in cui Fahrenheit si è mostrato al mondo.
All’epoca, la percezione che si ebbe di questo titolo è che David Cage avesse deciso di togliersi di dosso i panni da regista e di porgerli al giocatore. Ogni sequenza aveva il sapore di un ciak appena avviato. Eravamo sia attori, sia registi, ma non onniscienti. Infatti, solo dopo aver preso una decisione eravamo in grado di capire se avessimo fatto bene o se avessimo dovuto optare per qualcosa di diverso. Il copione si formava pian piano dinanzi a noi e potevamo essere semplici esecutori o artefici di un nuovo percorso narrativo.
Omicidi Maya e poteri sovrannaturali
Non abbiamo negato difetti più o meno gravi nella struttura narrativa e ludica di Fahrenheit. Ebbene, la trama stessa presta il fianco a qualche contestazione. All’inizio sembra tutto rose e fiori, il paradiso per gli amanti di racconti gialli e del mistero. Che cosa poteva scalfire un plot all’apparenza perfetto? L’aggiunta di elementi sovrannaturali. Andiamo con ordine.
La trama, come abbiamo accennato, narra le vicende di Lucas Kane, un ragazzo con una vita normale, che commette un brutale omicidio in uno stato di semi-incoscienza. I due detective Carla Valenti e Tyler Miles vengono chiamati a investigare su un caso che sembra uno dei tanti. Il setting è una New York immersa nella neve e braccata da un freddo glaciale che cresce di giorno in giorno senza tregua (da qui il titolo Fahrenheit, l’unità di misura della temperatura).
Quello che sembrava un caso isolato, diventa routine. Altri omicidi vengono commessi, ma noi sappiamo che in quei casi Lucas Kane non c’entra nulla, perché il gioco non ci mette nei suoi panni mentre li commette. C’è un serial killer? È un caso di isteria di massa? Tra interrogatori, rilevazioni sulle scene del crimine, raccolta e analisi delle prove e visite in luoghi tipici della letteratura e della cinematografia thriller e poliziesca, la trama ci immerge pienamente in un’atmosfera unica. Fino a quando non entrano in gioco i Maya. Le vicende prendono una piega del tutto inaspettata quando i protagonisti scoprono che tutto ciò che sta accadendo, compreso il freddo, riconduce a un’antica leggenda Maya.
Entrano in scena poi altri personaggi che rompono del tutto il realismo che fino a quel momento l’aveva fatta da padrone. L’Oracolo, un essere con poteri senza pari, e la bambina indaco. Secondo questa leggenda, compiacendo il dio Quechnitlan (rappresentato come un serpente) con dei sacrifici (gli omicidi), questo aprirà le fauci e darà accesso a visioni straordinarie. L’Oracolo è un antico sacerdote Maya che fa commettere gli omicidi a persone ignare, tra cui Lucas, per scoprire, attraverso il dio, dove si nasconde la bambina indaco. Il concetto di bambini indaco esiste davvero e appartiene alla subcultura New Age e sta a indicare bambini con poteri paranormali. L’Oracolo vuole scoprire la sua posizione per ottenere doti onnipotenti.
Immaginate ora di andare a vedere Il silenzio degli innocenti al cinema e di ritrovarvi, dopo poco più della metà, a guardare Matrix. Bello, per carità, ma sono due film completamente diversi. Questo avviene in Fahrenheit nelle battute finali. David Cage sembra non essere riuscito a equilibrare le due componenti, anche se io personalmente avrei preferito un gioco “total realism”. Fahrenheit non è un gioco perfetto, non è un capolavoro, ma questo non inficia il significato che ha avuto nel panorama videoludico.
Solo i capolavori cambiano la storia? Fahrenheit è la prova che la risposta è “no”. Il videogioco di Quantic Dream è stato un precursore, ha lasciato un’eredità e per questo va ricordato come uno dei titoli più influenti della storia dei single player.