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Speciali

Bloober Team e il suo approccio al genere horror prima di The Medium

Il 28 gennaio verrà rilasciato su PC e Xbox Series X/S The Medium, l’ultima fatica di Bloober Team (sarà disponibile anche sul Gamepass). Un altro tassello si andrà ad aggiungere al genere horror che nel panorama videoludico ha avuto un’impennata dopo un periodo di magra a cavallo della settima e l’inizio dell’ottava generazione.

Dead Space e The Evil Within sono stati in tal senso molto importanti per non far cadere il genere nell’oblio, soppiantato dall’action anche in saghe che poi sono tornate sui loro passi (Resident Evil), mentre altre pian piano scomparivano (Silent Hill). Attualmente, però, è nella scena indie che spesso e volentieri vediamo le migliori produzioni, grazie a singoli titoli che si lasciano ricordare per molto tempo (Detention, Lone Survivor) e a team che ciclicamente propongono nuove storie di paura da raccontare.

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Oltre a Supermassive Games che propone un videogioco horror più vicino agli stilemi del cinema, i dev che personalmente apprezzo di più sono tre: Bloober Team, Red Barrels e Frictional Games.

Il nome di Red Barrels è legato alla serie Outlast, forse anche troppo, nel senso che il curriculum del team è composto da tali voci: Outlast, Outlast: Whistleblower (un DLC), Outlast 2 e una serie di fumetti, The Murkoff Account, che approfondisce la lore del gioco. Lo sviluppatore canadese sembra essersi posizionato in una comfort zone da cui forse sarebbe meglio uscire proponendo contesti narrativi e scenici diversi (anche se la rappresentazione del lato malato e perverso della religione di Outlast 2 rimane tra le migliori di sempre).

Frictional Games invece ha esplorato più universi, inserendovi delle meccaniche subito riconoscibili e facilmente riconducibili al team svedese. Dopo i Penumbra, il grande successo è arrivato con Amnesia, serie che porta la paura dell’ignoto di stampo lovecraftiano nelle case dei giocatori, la cui ultima incarnazione è lo splendido Amnesia: Rebirth. Frictional con Soma poi cambia le carte in tavola sapientemente affrontando tematiche a tratti spirituali ma in un contesto sci-fi decadente.

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Arriviamo ora a Bloober Team, casa di sviluppo polacca fondata nel 2008 che, nonostante abbia anch’essa puntato su dinamiche riconoscibili e distintive, è uscita dalla sua comfort zone toccando vari universi e prova a fare il salto con l’ambizioso The Medium.

Il lato oscuro dell’arte

La storia artistica di Bloober Team non comincia con Layers of Fear, infatti dal 2010 al 2015 furono sviluppati titoli molto diversi da come ce li aspetteremmo ora, come Music Master: Chopin, un videogioco musicale che lasciava già presagire la predilezione del team per l’arte.

Nel 2014 l’horror inizia a fare capolino con l’action contaminato da elementi strategici Basement Crawl, ma è nel 2016 che Bloober inizia la sua ascesa nei cuori degli appassionati del genere: quell’anno esce Layers of Fear che poi riceverà un sequel nel 2019.

In entrambi i capitoli la narrazione affonda le proprie radici nell’arte, nel primo abbiamo una delle rappresentazioni più antiche dell’ingegno umano, la pittura, in Layers of Fear 2, invece, una delle più recenti, la cinematografia. L’importanza e la preminenza che Bloober Team dà all’arte nei suoi giochi possono essere viste quasi come una sorta di passaggio di testimone, cioè le varie forme artistiche già riconosciute universalmente come tali che cedono il passo o, più moderatamente, accompagnano il medium videogioco nella sua salita verso l’identificazione come espressione artistica.

I due LoF dimostrano che un dipinto o un film, per quanto potenti esteticamente, possono trasmettere non solo bellezza e armonia, ma anche pazzia e inquietudine. Se così non fosse non riterremmo arte Saturno che mangia i suoi figli di Francisco Goya, Incubo di Heinrich Füssli e Freaks di Tod Browning.

I protagonisti sono un pittore maledetto che, alla ricerca dell’ispirazione perfetta che gli renda possibile dipingere la sua opera magna, un capolavoro immortale, cade nella spirale della follia, costringendosi a ricordare eventi tragici del passato e disegnando orrori e deturpazioni su tela, e un attore ossessionato dal riuscire a entrare nel personaggio che, di scena in scena, scende sempre più nella profondità dei meandri della sua psiche disturbata da accadimenti passati che lo hanno segnato per sempre.

Questi contesti narrativi come si configurano in termini di gameplay, o meglio, di approccio al genere horror? Con una caratteristica che ha reso Bloober Team uno dei migliori esponenti del genere: il disorientamento. I titoli Bloober hanno un comune denominatore che è rappresentato dalla volontà di frastornare il giocatore, di convincerlo a non fidarsi di ciò che vede e sente. Stanze che cambiano a ogni giro di telecamera, porte che scompaiono, oggetti che cambiano posizione nello scenario, loop di eventi che confondono il giocatore che pensa di essere già passato per quel corridoio, queste sono le dinamiche che Bloober usa per approcciare al genere, riducendo al minimo altri escamotage, come i jumpscare (che non sono da demonizzare) o la folta presenza di nemici.

Bloober è fautore dunque di una paura maggiormente indotta dal giocatore stesso, che cresce quando aumenta anche il tasso di suggestionabilità dell’utente.

Cyberpunk per stomaci (e occhi) forti

Nel 2017, Bloober Team decide di abbracciare una tematica che, negli ultimi anni, sta tornando in auge nel videogioco (grazie anche a CD Projekt Red, altra software house polacca): il cyberpunk. Esce Observer – recentemente è stata rilasciata la versione redux per le console della generazione appena iniziata – che pur ricalcando le orme di Layers of Fear, ci mette molto del suo per ampliare il senso di turbamento del giocatore.

Observer è un thriller dall’atmosfera noir e dalle ambientazioni e dai temi tipici della letteratura distopica e della fantapolitica. Grande rilevanza hanno le opere di Philip K. Dick (Il cacciatore di androidi), Harlan Ellison (Non ho bocca e devo urlare) e George Orwell (1984), inserite in un contesto che ci vede impegnati a risolvere il mistero di alcuni omicidi su cui sta indagando Daniel Lazarski, un detective che può utilizzare le più moderne tecniche di investigazione, tra cui spicca il Dream Eater, con il quale è possibile hackerare impianti cerebrali (anche di cadaveri) al fine di ottenere informazioni.

Observer affronta tutti i gli argomenti più importanti del genere come le IA, il decadentismo di un futuro che ha portato innovazioni tecnologiche ma anche grandi disparità sociali, il transumanesimo, implementandoli nel canovaccio blooberiano del “niente è come sembra”. Stavolta, però, le tecniche di disorientamento vengono amplificate, forse anche esageratamente. Non si tratta più di suggestionabilità, ma proprio di fastidio vero e proprio che il giocatore avverte in molte sequenze.

Questa sensazione è data da effetti visivi e sonori molto marcati e disturbanti, effetti luce e particolari movimenti di telecamera che, in caso di motion sickness abbastanza accentuata, possono portare a percepire davvero un malessere fisico. È possibile che durante queste scene, i più fotosensibili debbano interrompere la sessione per qualche minuto perché Bloober Team ha sperimentato in Observer un modo più diretto per frastornare il giocatore, rendendolo partecipe delle inquietudini del protagonista, in preda ad allucinazioni e ingabbiato nelle memorie delle vittime.

La strega di Blair fa inciampare Bloober?

Un passo falso o una produzione al di sotto delle aspettative può capitare in qualsiasi momento e anche Bloober Team non è stata immune all’inciampo che è avvenuto nel 2019 con il rilascio d Blair Witch.

L’apparato narrativo di una leggenda come quella della strega di Blair sarebbe stato un materiale perfetto per Bloober Team che, tuttavia, non è riuscito a sfruttarlo appieno a causa di scelte di design e di gameplay alquanto discutibili. La sensazione generale che se ne ha è quella di un titolo a cui gli sviluppatori si sono approcciati nel modo sbagliato, volendo farne un contenitore di meccaniche già viste negli altri loro giochi, senza la volontà di inserire idee più specifiche e adatte alla storia che si stava raccontando. La trovata più interessante rimane senza dubbio quella dei filmati rivelatori, attraverso i quali, fermando al momento giusto è possibile risolvere enigmi e trovare indizi.

In Blair Witch, la dinamica del disorientamento viene espressa, pur non mancando tutti gli altri tratti distintivi delle produzioni Bloober, nel modo più classico: la dispersività. La foresta che ci troviamo ad esplorare è fitta e sembra tutta uguale, portando il giocatore a perdersi, ma questa meccanica risulta il più delle volte noiosa e frustrante.

Non mancano poi loop interminabili (la scena del cane ferito e tutta la sequenza della casa diroccata) che ormai appaiono come una riproposizione ridondante di ciò che già sappiamo di Bloober Team.

D’altronde, come abbiamo già detto, inciampare una volta può capitare, ma il team polacco ha promesso grandi novità per The Medium con l’intenzione di riportare la qualità dei suoi titoli su certi standard.

The Medium infatti potrà vantare, grazie alla maggior potenza di calcolo di Xbox Series X/S, la Dual Reality, una dinamica di gioco molto ambiziosa che consentirà al giocatore di esplorare e risolvere enigmi attraversando nello stesso momento, senza tempi di caricamento, sia il mondo spirituale sia quello materiale.

Per capire quanto Bloober riuscirà a rivoluzionare il genere con la Dual Reality, è necessario aspettare il 28 gennaio. Attendete prima della sua uscita, la nostra recensione.

This post was published on 5 Gennaio 2021 12:00

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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