Natale, virus, pandemie e mitocondri. No, non sto parlando del Covid-19 o della variante inglese! Nel 1998 tutto quello che oggi ci risuona familiare e quotidiano era alla base della trama di uno dei più riusciti JRPG dell’era Playstation: Parasite Eve.
Parasite Eve è un’opera ambientata a New York durante la sera della Vigilia di Natale del 1997 e ciò lo rende perfetto da giocare proprio durante queste vacanze natalizie.
“Come on, baby. Light my fire”
Una New York innevata, il grande albero adobbato al Rockefeller Center – scenario simbolo del Natale statunitense – creano un connubio perfetto per questa avventura sicuramente sui generis ispirata al romanzo che porta lo stesso nome, scritto da Hideaki Sena.
Uno dei progetti più ambiziosi di Squaresoft, che fino ad allora pubblicava prodotti “simili” tra di loro, riesce a mischiare un gameplay simile a Final Fantasy ad atmosfere horror e misteriose tipiche di un Resident Evil, uscito qualche anno prima.
La protagonista del gioco (che avrà due sequel) è Aya Brea, giovane poliziotta newyorkese di lontane origini giapponesi, vive in prima persona l’attacco da parte di strane creature, in grado di produrre energia dai mitocondri degli esseri umani, durante un concerto alla Carnagie Hall, in cui è stata invitata per un appuntamento galante. Queste creature, chiamate “Eve“, hanno il potere di manipolare i mitocondri nelle cellule tanto da scatenare un vero e proprio “corto circuito”: gli esseri umani colpiti da tale manipolazione prendono fuoco, letteralmente.
Uno scenario quasi apocalittico e lontano dal brio natalizio rende Parasite Eve un jrpg unico nel suo genere ed uno dei pochi giochi di ruolo Squaresoft ad essere ambientati in epoca contemporanea.
Mana e proiettili
Il gameplay è tra i più innovativi dell’epoca, con una barra azione che, una volta piena, dava la possibilità di attaccare i nemici con un sistema di mira ben congeniato. La pistola in dotazione di Aya funziona contro le abominevoli creature grazie ai vari tipi di proiettili efficaci su diverse categorie di nemici.
Grazie al suo battle system, Parasite Eve fu uno dei celebri esempi di action rpg ad introdurre meccaniche survival horror al suo interno. Il suo sequel, Parasite Eve II, introdusse qualche anno dopo differenze sostanziali a livello di gameplay, diventando sempre più simile ai titoli survival più celebri dell’epoca, Resident Evil e Silent Hill, senza dimenticare le sue peculiarità da gioco di ruolo.
É doveroso citare che, negli stessi anni, si affermò sul mercato Koudelka, videogioco di ruolo con atmosfere lugubri e gotiche, ambientato in un monastero gallese, fu uno dei pochi titoli ad unire gioco di ruolo di stampo giapponese ad atmosfere horror, ma rimaneva un titolo jrpg a tutto tondo, con un sistema a turni abbastanza ferreo e poco innovativo. Parasite Eve, invece, è un unico nel suo genere perché è un brand che è riuscito ad unire, egregiamente, due generi molto differenti allora in voga.
Il feeling ansiogeno e competitivo non sparisce nel corso della narrazione, nell’arrivo in villaggi o foreste incantate, ma prosegue per tutta la durata della trama. L’atmosfera di pericolo imminente coinvolge il videogiocatore e non ci sono mercati o accessori magici pronti ad aiutarlo. Nuovi oggetti offensivi e curativi possono essere trovati in armadietti, casseforti o semplicemente droppati dai mostri sconfitti.
Parasite Eve è perfetto da riscoprire proprio durante le vacanze, considerando la breve durata del titolo. Essendo un titolo uscito sul finire degli anni Novanta, aspettatevi una grafica in linea con altre produzioni Squaresoft del tempo, Parasite Eve presenta personaggi 3D che si muovono su sfondali prerenderizzati, molto simili a quelli visti in Final Fantasy VIII e IX.
La riscoperta dei capolavori del passato grazie a internet ha dato a Parasite Eve, e altri titoli dell’epoca, una nuova rinascita. Parasite Eve entra in diritto nell’Olimpo delle migliori opere create da Squaresoft in virtù del fatto che gli sviluppatori scelsero, per il titolo, di spostare l’asticella verso un tipo di videogioco più cinematografico del solito.
Parasite Eve non perde tempo e adotta una narrazione per certi versi hollywoodiana, con ritmi serrati e colpi di scena. A differenza dei Final Fantasy, non è un JRPG memorabile per la sua longevità: dalle otto alle dieci ore per il suo completamento, lontano dalle cifre tipiche di un gioco di ruolo. Le avventure di Aya Brea seguono un impostazione da copione, non esistono tempi morti e tutto si sussegue rapidamente nel corso delle quattro giornate di caos a Manhattan.
L’unica cosa che ha fermato gli sviluppatori sono state proprio le limitazioni hardware di Playstation, seppur ricco di cutscene in CGI e dialoghi (purtoppo non doppiati). La critica, infatti, all’epoca notò il grande silenzio che dominava l’opera dato dalla mancanza di un doppiaggio che avrebbe arricchito la componente cinematografica del titolo.
Tuttavia, non tutti mali vengono per nuocere: per contro, Parasite Eve presenta un’ottima colonna sonora curata da Yoko Shimomura, che successivamente creò le musiche per il ben più celebre Kingdom Hearts.
A completare il dream team di Parasite Eve, altri nomi illustri quali Takashi Tokita, director di Final Fantasy IV, Chrono Trigger e Toshihiko Maezawa, battle designer di Super Mario RPG. Non proprio gli ultimi arrivati.
La grafica e il sistema di gioco che lo avvicina, per certi versi, a Resident Evil e l’ambientazione newyorkese fedele alla realtà sono stati motore del successo del titolo fuori dai confini del Sol Levante, diventando il videogioco Playstation più venduto nei bimestre Settembre-Ottobre 1998.
Come era solito in quegli anni, Square decise di non pubblicare il titolo in Europa, che comunque fece successo grazie alle copie importate dagli Stati Uniti. Questo permise alla software house nel 2000 di pubblicare, anche sul suolo europeo, il sequel.
Meglio non giocare col fuoco…
Malgrado le lodi della critica e il successo di pubblico, complici le critiche al terzo capitolo della serie uscito su PSP, Square Enix (come successo per altre sue storiche IP) pare essersi dimenticata del suo horror/rpg. Malgrado la dimenticanza da parte di Square, Parasite Eve negli anni è diventato un piccolo videogioco di culto.
Basti pensare che la band americana Bring Me To Horizon ha pubblicato una canzone, omonima, ispirata al videogioco. Non è un caso isolato, nella loro discografia è presente la canzone Shadow Moses dedicata a Metal Gear Solid, uscito sempre nel 1998.
Il titolo, attualmente, si può comprare su PS Store, nella versione per PS3 o PS Vita.
La storia di Aya Brea necessita di una versione per lo meno restaurata e disponibile sulle console di nuova generazione proprio come altri capolavori che hanno popolato la scatoletta grigia sul calare degli anni Novanta. Per il resto, non avete più scuse: Parasite Eve può essere il vostro gioco perfetto con cui passare queste strane vacanze natalizie messe in ginocchio dalla pandemia da COVID-19.