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Speciali

Speciale Still Life, un delizioso thriller horror di Natale

Ah, il Natale, periodo splendido, fatto di alberi addobbati, film Disney alla tv, relax, infinite partite alla propria console, e… e a volte, parliamoci chiaro, di fin troppa sdolcinatezza.

Oggi, per celebrare la “festa più importante dell’anno”, vi proponiamo una piccola retrospettiva su un gioco che di natalizio ha ben poco, nonostante sia ambientato nei giorni della festività: seguiteci alla (ri)scoperta di Still Life, punta-e-clicca horror del 2005, che ci porta al centro di una vicenda davvero torbida e tremenda che all’epoca dell’uscita non mancò di convincere pubblico e critica.

Una storia di case addobbate a festa, coraggiosi investigatori e serial killer spietati.

Pronti?

Partiamo.

Fra orrore ed esoterismo

Still Life-edito da Microids- è da ricordare sia per suoi meriti artistici che indagheremo fra pochissimo, sia perché di fatto si colloca in un periodo molto interessante nella storia delle avventure grafiche (di fatto, il loro periodo di massima gloria, tendente però al tramonto).

Partendo “dalla fine” della nostra analisi, possiamo dire che Still Life non è un gioco perfetto: ha un finale tagliato un po’ con l’accetta, non ha particolari elementi di gameplay che gli permettessero di emergere nel marasma di altri titoli dello stesso genere e in fondo, agli occhi attenti di un appassionato di criminologia e narrativa horror, aveva una storia che può dirsi non originalissima.

Tuttavia, se giocato all’epoca della sua uscita (2005) tutti questi lati deboli sarebbero stati largamente trascurati grazie a uno script ben strutturato e, soprattutto, coinvolgente.

Still Life era il sequel di un altro piccolo gioco Microids, ovvero Post Mortem, punta e clicca di un paio di anni prima ambientato nella Parigi degli anni ’20 e incentrato su un’avventura da brividi del detective privato Gustav McPherson.

Arrivato nella capitale francese per sbarcare il lunario come investigatore e al tempo stesso pittore amatoriale, il buon Gustav veniva presto incaricato di indagare sul duplice omicidio di una coppia, sorpresa da un maniaco nella sua camera d’albergo. Da quello che sembra un normale-per quanto terribile-caso di omicidio-scaturisce presto una storia a base di esoterismo e misteri angoscianti, da vivere attraverso l’asfissiante prima persona sulla quale è strutturato il gameplay.

Una storia semplice, breve e deliziosamente gotica, al quale seguiva quella che ne sembra una sua perfetta evoluzione.

Non solo Still Life ci rimetteva nei panni del detective McPherson qualche anno dopo la sua indagine a Parigi, intento a dover dare la caccia a un assassino a Praga, ma intramezzava questa storia in costume con un’altra vicenda di detection, ambientata ai giorni nostri. Si trattava della storia di Victoria, nipote di Gustav e agente di polizia alle prese con una serie di omicidi nella Chicago del 2004, una vicenda che presto finisce per intrecciarsi con quella vissuta dal nonno ottant’anni prima.

A legare in qualche modo i due casi, una serie di dipinti maledetti.

Un Natale rosso sangue

Still Life aveva quindi al suo interno tutti gli elementi primari del punta e clicca classico (un cast di personaggi ben architettato, uno sviluppo basato sulla risoluzione di enigmi e una scrittura solida), conditi soprattutto da un’atmosfera molto particolare data dalla curiosa scelta dei due filoni narrativi intrecciati.

In pratica il gioco era suddiviso in capitoli, uno ambientato nel passato e uno nel presente, alternati.

Se la storyline di Gustav ci portava vicino alle atmosfere di romanzi come From Hell di Alan Moore, con una Praga di inizio anni ’30 lugubre, spettrale e caratterizzata da povertà e malcostume diffuso (si indaga su un assassino di prostitute), quella di Victoria seguiva un modello narrativo sempre affascinante e perfetto per fare da cornice a una storia da cardiopalma, ovvero quello di un tranquillo Natale sconvolto da una serie di crudeli omicidi avvenuti in città. Si trattava di una caratterizzazione davvero coinvolgente, che riguardava entrambi i piani narrativi e che non mancava di emozionare.

In poche parole, tutti gli elementi del gioco collaboravano alla costruzione di una storia cinematografica che pescava dal meglio della narrativa thriller americana (da Il Silenzio degli Innocenti a Seven, passando per i romanzi di James Patterson) per coinvolgere il giocatore nel migliore dei modi.

Ciliegina sulla torta, l’approfondimento dei due protagonisti, entrambi molto sviluppati e dotati di relazioni credibili che li accompagnavano nel corso del gioco: da una parte quella di Gustav con la dolce amante, una delle prostitute minacciate dall’assassino di Praga, dall’altra quella di Victoria col padre, dal quale va a stare per il periodo natalizio.

Tutti piccoli elementi che, intrecciati, davano davvero l’idea di essere al centro di una storia convincente.

I legami con Jack lo squartatore

Nota molto poco natalizia, ma che a questo punto aggiunge a questa retrospettiva un po’ di sale in più, è il legame apparente della storia di Still Life con una delle vicende criminali più famose, misteriose e inquietanti della storia contemporanea, quella di Jack lo squartatore.

Leitmotiv di Still Life è, come accennato, il legame degli omicidi con un’inquietante serie di dipinti alquanto gory che fa la sua comparsa sia nella Chicago del 2004 che nella Praga del 1929, dipinti che rappresentano soggetti misteriosi e conturbanti in qualche modo legati alla morte.

Si tratta di un’escamotage narrativo che prende il “la” da un fatto storico, o meglio da una delle teorie investigative e cospirazioniste sull’identità di dello squartatore di Whitechapel, serial killer attivo a Londra nell’autunno del 1888 protagonista di una marea di opere di finzione che hanno speculato sulla sua identità.

Tante sono state le teorie sull’identità dell’assassino, fra le quali quella che lo identificava in Walter Sickert, famoso artista vittoriano le cui opere ricordavano per certi versi alcune scene dei crimini, un’ipotesi ricca di problematiche, punti deboli e carenze, ma che Still Life decise in qualche modo di omaggiare nella sua lore facendo di uno dei sospettati delle morti (sia nel passato che nel presente, grazie a un palese ammiccamento alla teoria dell'”eredità criminale”) un noto pittore.

Una citazione d’autore per un videogioco che naviga letteralmente nella storia del crime movie e del romanzo thriller, nonché nella storia della criminologia mondiale.

This post was published on 25 Dicembre 2020 13:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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