La critica specialistica non ha dubbi: con l’arrivo su Sky di Romulus, serie spin-off de Il Primo Re, la serialità televisiva italiana ha fatto un piccolo balzo in avanti verso la tanto agognata e inseguita “sprovincializzazione”, inseguita fin dai tempi di Romanzo Criminale grazie a serie come Gomorra o Suburra.
Una buona “conferma” per il successo de Il Primo Re, forse primo vero “film-di-genere” del cinema italiano da molti anni a questa parte, che dà nuova linfa a un filone per molto tempo inesplorato rispetto a categorie di film più “nazional-popolari” come drammi e commedie.
Ma Romulus e Il Primo Re sono anche prodotti che fanno sorgere suggestioni sul destino del “racconto di genere”, e da qualche giorno chi scrive ha una solo domanda: dopo la rinascita di televisione e cinema “epici”, riusciremo a vedere presto un grande videogioco italiano in grado di raccontare quel genere di storie a un pubblico internazionale e quanto più vario possibile, sull’onda dei vari Assassin’s Creed o Ghost of Tsushima?
Proviamo a ragionarci, e a capire perché potrebbe essere un’ottima idea.
Per i pochi che ancora non lo sapessero, Il Primo Re (2019) è un film di Matteo Rovere incentrato sulla narrazione del mito delle origini di Roma adottando un’ottica brutale, “realistica” e orgogliosamente epica che si avvicina all’estetica di opere come Game of Thrones e Spartacus (la serie TV), non tanto dal punto di vista della messa in scena della violenza quanto da quello del tono epico ma “sporco”, un’epopea fatta di saangue e fatica.
La Roma delle origini proposta da Rovere sembra permettere la nascita di un vero e proprio universo di narrazioni in cui si incrociano e possono incrociarsi decine di racconti, fra “letture ufficiali” e “versioni apocrife”. Questo grazie al fatto che una versione “canonica” di quella storia non può esistere: l’età è troppo arcaica e completamente estranea alle fonti storiche per far sì che ciò avvenga.
È per questo che quell’universo potrebbe rappresentare terreno fertile anche per molti altri prodotti di intrattenimento, dai romanzi (esistenti in un’abbondanza persino esagerata) fino ai videogiochi.
E anzi fare un (nuovo e grande) videogioco italiano, di ambientazione storica, con personalità forte analoga a quella di brand come quello de Il Primo Re-Romulus, potrebbe essere una vera manna dal cielo, non solo per i giocatori.
Quando ho visto i trailer delle prime puntate di Romulus, il mio pensiero è andato quasi d’istinto a una delle novità ludiche del 2020, Ghost of Tsushima, gioco candidato al GOTY che, pur essendo programmato da un team statunitense, è riuscito a omaggiare l’epopea del Giappone Feudale attraverso una ricostruzione iconografica straordinaria.
I risultati sono stati da un lato la nascita di un ottimo gioco, e dall’altra una rinata attenzione del pubblico internazionale per l’epopea dei samurai.
Sembra addirittura che l’apparato turistico del luogo, convinta dalla perfezione della ricostruzione ambientale di GoT, abbia sponsorizzato il gioco di Sucker Punch e lo abbia utilizzato per promuovere l’immagine dell’isola sulla quale si sviluppa la vicenda.
Un successo che ha evidenziato bene quanto i giocatori abbiano fame di epopee storiche che li immergano in altre epoche e mondi. E si tratta di una conferma, in fondo, perché l’importanza di questo genere di narrazione è chiara fin dal 2007, data d’arrivo di Assassin’s Creed sul mercato.
Vedendo esiti così importanti, non è strano chiedersi se il miracolo potrebbe funzionare anche per un gioco ambientato nell’Antica Roma, un setting che è stato trasposto in formato videoludico poco e in modo confuso. Se ci pensiamo, l’assenza di un vero kolossal ad ambientazione antica Roma “su modello GoT” è una mancanza curiosa. Per quanto l’ambientazione sia satura e sia stata fin troppo affrontata al cinema fin dai suoi albori, si tratta di un tema evergreen, importante e che, come Il Primo Re e Romulus hanno dimostrato, può adattarsi a una narrazione che non sia una tronfia riproposizione di un peplum anni ’50 o una copia senza personalità de Il Gladiatore di Ridley Scott.
Lasciamo perdere la pretesa di puntare a un complesso open-world in cui guidare un legionario romano o un abitante della Roma delle origini in una provincia romana (cosa che siamo certi non infastidirebbe nessuno), basterebbe anche solo un solido action che permetta al giocatore di “onorare” quelle atmosfere in maniera convincente.
In passato team stranieri ci hanno provato, a dire il vero in maniera un po’ svogliata, come ci ricordano prodotti a dir poco problematici come Ryse: Son of Rome o giochi di decine d’anni fa come Shadow of Rome.
Visti gli esiti modesti, che siano proprio i team di casa nostra a dover tentare il “colpo grosso”?
La sfida è chiara: portare un immaginario collettivo che molti potrebbero amare all’interno del videogioco, e farlo in modo massiccio, che rimanga nella storia e che attragga giocatori da tutto il mondo.
Gli studi italiani impegnati nell’industria sono tanti, sono spesso agguerriti e ricchi di idee e capacità, e a fare il miracolo basterebbe una collaborazione con i team dietro Il Primo Re e Romulus.
Certo non si tratterebbe semplicemente di confezionare l’ennesimo gioco in costume senza personalità o un gioco didattico, ma di costruire un vero blockbuster in grado di lasciare il segno, di raccontare un’epopea e di creare un fandom vasto e fedele. Si tratta di costruire un protagonista carismatico come un Jin Sakai o un Arthur Morgan (RDR2), di cucirgli attorno un setting evocativo (anche a costo dell’infedeltà storica), di buttare giù una sceneggiatura che peschi dai più importanti film sulla Roma antica ma che abbia il coraggio di vivere sulle sue gambe.
E non è facile.
Il problema certo sono i costi di un’operazione del genere, ma soprattutto trovare il coraggio di impegnarsi in essa, e qui il discorso diventa lungo e legato a parole come “questioni di mentalità” o di “ottica”.
Un articolo di Business Insider di settembre spiegava come l’Italia investa ancora troppo poco in un’industria che sta macinando guadagni in maniera straordinaria (come ci raccontava Alessandro in questo bel report sulla crescita del settore nel corso del 2020), parlando di “occasione mancata” da parte del nostro Paese, non ancora deciso a investire in maniera massiccia nell’industria del videogioco.
Una dinamica culturale per certi versi analoga a quella del cinema, ambito nel quale abbiamo dovuto attendere anni prima che si capisse il valore dell’avere una produzione pop, rappresentata da film come Lo chiamavano Jeeg Robot, Il Primo Re o i recentissimi Freaks Out e Diabolik.
Ora che in quel ramo le cose sembrano andare meglio, e gli studi italiani iniziare a rendersi conto che “film di supereroi” o “film d’azione” non sono affatto sprechi di risorse, forse è il caso che qualcuno ai piani alti cominci a guardare al videogioco in maniera davvero interessata.
L’alternativa, in questo caso specifico, è lasciare la narrazione della Storia e del territorio fuori dalla sfera “pop”, la più “accessibile” e “di pubblico dominio” che ci sia.
Abbiamo già perso qualche treno per strada.
Questo è da non perdere.
This post was published on 22 Novembre 2020 11:41
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