Oltre il velo
Nel 1997 ebbi un’epifania: mio padre portò me e mio fratello al cinema vedere Batman e Robin. Mentre scorrevano i titoli di coda, chiesi a mio padre il significato di una parola che non avevo mai sentito (avevo 7 anni): “doppiatori”. Oltre allo shock di apprendere che Arnold Schwarzenegger non parlasse veramente in italiano, e che quella che sentivo non fosse la sua vera voce, quel momento mi si è cristallizzato nella memoria come l’attimo in cui ho iniziato a rendermi conto di “cosa ci fosse dietro” alla lavorazione di un film.
Per quanto riguarda l’industria cinematografica, c’è ormai una certa consapevolezza generale circa l’impegno di uomini e mezzi necessari alla produzione: da quando esistono i DVD, ad esempio, siamo stati esposti a video di “making of” che ci hanno permesso di sbirciare dietro le quinte e familiarizzare con gli addetti ai lavori. I “mestieri del cinema” sono nozioni note al grande pubblico, che ha familiarità con le parole “regista, attore, direttore della fotografia, fonico, make-up artist, montatore” eccetera. Da questo punto di vista l’industria videoludica custodisce invece conoscenze ben più esoteriche: le stesse testate videoludiche, cartacee prima e online poi, hanno impiegato molti anni a passare dalla quasi amatorialità dei consigli per gli acquisti al professionismo giornalistico dell’approfondimento sull’industry, ma la mia sensazione personale (non basata su analisi statistiche ma unicamente sulla percezione e le esperienze sociali) è quella di una ignoranza ancora molto diffusa rispetto ai “mestieri del videogioco”, un universo di professioni molto diverse, punto di arrivo di altrettanto differenti background conoscitivi. In questo senso è assolutamente lodevole l’iniziativa editoriale curata dall’AIV (Accademia Italiana Videogiochi) e edita da Dino Audino, che con “I mestieri del videogioco. Le figure professionali di un mercato del lavoro in espansione” costituisce il proverbiale faro nella nebbia per chiunque voglia approcciare questo mondo da un punto di vista maggiormente consapevole.
Tetris
Creare videogiochi è un gran casino: servono un sacco di soldi e un sacco di gente. Vero, non è sempre così, e gli esempi di produzioni indie costituite da due o anche una sola persona si sprecano, almeno negli ultimi 10 anni (o agli albori del medium, quando i videogiochi erano conosciuti solo da chi li programmava). Tuttavia il libro in oggetto precisa di offrire una panoramica “di massima” dell’industria, prendendo come riferimento quelle produzioni sufficientemente grandi da richiedere la compartimentazione dei lavori in reparti specifici, a partire dai 3 soggetti fondamentali che costituiscono la filiera: produttori, sviluppatori e distributori, 3 soggetti che possono in alcuni casi compenetrarsi, ma che svolgono comunque funzioni ben distinte in momenti diversi della produzione. Dei 3, il libro si premura di illustrare nel dettaglio il reparto di sviluppo, che è ovviamente il cuore creativo del videogioco in sè, il laboratorio che riunisce scienziati di diversa specializzazione per sintetizzare un composto che mescoli grafica, animazione, cinematografia, musica, vfx e codice di programmazione: il videogioco, merce e arte, prodotto di intrattenimento e patrimonio culturale, passatempo e frammento di vita. Risultato finale di un abile (o a volte fallimentare) gioco a incastri dove ogni tile deve combaciare alla perfezione con le altre per dar vita ad un mosaico unitario, lottando contro mille ostacoli (scadenze, fondi, aspettative della fanbase, interplay tra i reparti) per anni prima approdare al risultato finale.
Chi scrive cosa
Il libro è un agile volumetto di poco più di 100 pagine, suddiviso in 4 sezioni principali, afferenti ai 4 macro-reparti di uno studio di sviluppo: il design, la programmazione, la grafica, la comunicazione. All’interno di ogni sezione vi sono singoli capitoli dedicati alle principali figure professionali che operano in quei settori: game/level/narrative designer per il reparto design; gameplay/A.I./network programmer per il reparto programmazione; 2d/3d/vfx/lightning artist per il reparto grafica; community manager e marketer (più un excursus sul giornalismo) per il reparto comunicazione. Oltre alla presentazione generale di Luca de Dominicis, fondatore di AIV, ogni capitolo è curato da un diverso docente, solitamente un professionista del settore con diversi anni di esperienza in materia: ad esempio il capitolo sul ruolo del level designer è scritto da Tommaso Bonanni, creatore dell’apprezzato Downward; oppure la figura del community manager è illustrata da Stefano Cozzi, per anni a capo dei community team europei di LoL e WoW. La scrittura è sempre semplice, chiara, scorrevole, ed ogni capitolo approfondisce quel tanto che basta a farsi un’idea generale dei compiti di ciascun reparto e ciascuna carica professionale presentata, per alcune delle quali viene anche data qualche dritta riguardo l’avviamento al lavoro.
In definitiva, I mestieri del videogioco è un testo indicato sia ai neofiti sia agli hardcore gamer; sia a chi è semplicemente curioso di sapere qualcosa di più delle figure professionali che si celano dietro al codice di programmazione, sia a chi sta pensando di fare della sua passione videoludica un lavoro ma non sa bene da che parte cominciare. Un libro interessante per i gamers di ogni età e magari anche per chi questo mondo non lo conosce bene e vuol farsi un’idea di che cosa ci sia dietro a quel giochino che ha installato quasi per caso sul suo cellulare e chi gli tiene compagnia tutte le mattine in metropolitana, riuscendo chissà come a regalargli qualche minuto di sano divertimento.