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Speciali

YouTube e gaming: lo streaming sta facendo male al gioco?

Fondato nel 2005 e protagonista in prima persona della “rivoluzione social” del web, durante i suoi ormai quindici anni di vita YouTube è stato, fra le altre cose, anche promotore della diffusione del videogioco e della sua cultura.

In un social in cui solo l’attenta creazione di contenuti originali poteva far emergere pienamente, streammare giochi ed aprire vlog incentrati sulla critica è stata un’occasione straordinaria molti creators, tanto da far sì che YouTube sia diventata ormai una delle community di videogiocatori più importanti, non senza polemiche e conflitti con il mondo del gaming “tradizionale”.

Una situazione che, alla luce di alcuni episodi recenti, non accenna a cambiare.

Il caso del giorno: “YouTube deve pagare sviluppatori e publisher!”

Tutto parte da un tweet di Alex Hutchinson, creative director di Typhoon Studios (Journey to the Savage Planet), da dicembre 2019 acquisito da Google Stadia, in cui lo sviluppatore ha lanciato una vera e propria bomba a mano con una domanda provocatoria e subito attaccata da giornalisti e influencer:

In pratica: dati i miliardi di dollari generati dai YouTuber specializzati in videogiochi, YouTube stesso dovrebbe pagare sviluppatori e publisher dei giochi trasmessi in streaming in nome della fortuna di questo genere di “show”. Le reazioni non si sono fatti attendere, con risposte di figure chiave del giornalismo videoludico come l’influente Jason Schreier di Bloomberg, tutte di segno negativo rispetto all’idea promossa da Hutchinson.

Alex Hutchinson

Quello che forse era partito-forse-come una sorta di sfogo ha quindi generato una vera e propria ondata di indignazione da parte di vari commentatori che vedono la rivendicazione di Hutchinson come una sorta di insulto, se non come un’assurdità unica, e il rumore è cresciuto così tanto da arrivare anche alle orecchie di Google, proprietaria di Stadia, Typhoon Studio e anche YouTube, ovvero dei protagonisti della vicenda.

E la risposta allo sviluppatore è stata talmente secca da apparire allarmata. In una dichiarazione rilasciata a 9to5Google, sito vicino a Google, un rappresentante del colosso ha commentato che “I recenti tweet di Alex Hutchinson, direttore creativo del Montreal Studio of Stadia Games and Entertainment, non riflettono quelli di Stadia, YouTube o Google”.

A quanto pare, qualcuno non ha gradito.

Uno scenario nuovo

Il punto di vista di Hutchinson è, se andiamo a vedere bene, niente affatto banale, nonché in grado di porre una serie di domande laterali.

Al di là della provocazione, al di là delle reazioni di Google o dei commentatori, la questione toccata è semplice: di fatto, allo stato attuale molti YouTuber stanno utilizzando e probabilmente utilizzeranno anche in futuro i videogiochi come il materiale per costruire vere e proprie “web-serie” realizzate semplicemente streammando o registrando e trasmettendo in un secondo momento le proprie giocate. Una situazione che, in effetti, potrebbe portare diversi YouTuber a monetizzare con video costruiti partendo dal lavoro di programmatori, musicisti, sceneggiatori e altri creativi che infondono il loro talento nel creare dei kolossal videoludici.

Journey to the Savage Planet

Ora, ci sarebbe un primo e in effetti evidente appunto da fare a Hutchinson, e cioè che come altri social e più di altri YouTube è basato su logiche di diffusione e utilizzo delle proprietà intellettuali molto particolari, strutturate sulla costruzione di assist promozionali incrociati fra brand diversi da cui nascono vere e proprie campagne di promozione. Queste oltretutto possono sì nascere dalla spontanea volontà di un creativo di fare contenuto mediante una run a un gioco, ma d’altro canto sono tantissimi i casi di collaborazioni fra publisher e YouTuber di successo che concordano e pianificano una vera e propria campagna social costituita da uno stream.

A livello più profondo, tuttavia, un paio di problemi teorici si pongono comunque, e sono entrambi legati alla concezione di YouTuber videoludico.

Se ci pensiamo, il fenomeno dello streaming di videogiochi è qualcosa che non si era mai visto nella storia del medium, e di fatto anche nella storia di altri media. Non solo perché come detto si tratta di un creativo che monetizza utilizzando tranquillamente creazioni altrui (una nozione da prendere con le pinze, certo), ma soprattutto perché per la prima volta dal suo avvento il videogioco ha perso la sua caratteristica fondamentale-l’interattività-per diventare oggetto di spettacolo passivo.

E qui, forse, arriviamo al nocciolo della questione.

Da giocatori a spettatori?

Sia chiaro: tutti i giocatori, anche quelli che davvero hanno la fortuna di giocare fino in fondo due/tre titoli al mese (si parla di giochi lunghi) frequentano YouTube ogni giorno, seguono influencer per sentire la loro opinione, scavano nella rete alla ricerca di gameplay introvabili e ovviamente lanciano qualche occhiata al walkthrough del gioco del momento. 

Lo fa chiunque, io stesso mi perso per almeno una o due ore a settimana (in toto, sia chiaro) a dare un’occhiata a questa o a quella serie, anche solo per rivivere un bel gioco appena terminato.

L’impressione però è che fra i tanti cambiamenti del videogioco la sua diffusione tramite YouTube abbia fatto slittare molti appassionati dal ruolo di giocatori a quello di spettatori. E questo, come dicevo sopra, è normale e anche interessante, anche in teoria aumenta la cultura videoludica dei giocatori permettendo di avere contezza di giochi che non toccherebbe in prima persona neanche con un dito (un esempio: io con un soulslike).

Se però poniamo questa pratica in un’ottica quasi massiva, con migliaia di piccoli/medi canali al lavoro per emergere e crearsi un seguito giocando a una creazione altrui, per di più riuscendo a monetizzare, ci rendiamo conto come sì, magari le parole di Hutchinson possano sembrare lamentele di una persona coinvolta in prima persona che vede il suo lavoro a tratti danneggiato da persone che assistono alle giocate degli altri e che non acquistano il prodotto, ma una qualche distorsione del “gioco” come medium c’è.

A sancire la sua importanza, YouTube ha intitolato un’intera sua sezione al videogioco

YouTube non ha quindi certo “rovinato il videogioco” portandolo a una dimensione passiva (dirlo sarebbe perlomeno stupido), e dire magari che nessuno gioca più ai giochi per vederli perché pigro (grande luogo comune) è forse troppo. 

Ma ciò che sembra è che accanto a quella del gioco giocato si sia creata anche la sotto-industria del gioco visto, con tanto di “performer” (gli YouTuber) e di canali di distribuzione dedicati (YouTube stesso).

E la domanda rimane: sviluppatori e publisher partecipano a questa festa o rimangono fuori, a vedere? 

This post was published on 28 Ottobre 2020 18:10

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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