Il titolo Alone in The Dark vi dice nulla? A me, questo titolo porta tanti, terrificanti, ricordi. E’ stato uno dei miei ultimi videogiochi per PS1 e primo survival horror in assoluto. Il survival horror non è mai stato il mio genere preferito, ero una bambina così impressionabile che anche i cunicoli stretti delle piramidi e i sarcofagi abbandonati in Tomb Raider IV: The Last Revelation facevano spaventare. Anzi, più che spaventare, mi trasmettevano un senso di inquietudine che assomigliava ad avere un macigno al centro del petto. Lo stesso macigno l’ho sentito durante le fasi iniziali di Alone in the Dark: The New Nightmare, il quarto capitolo della storica saga che ha debuttato all’inizio degli anni Novanta. Avevo tra le mani un titolo molto importante per l’industria videoludica, un reboot che portava avanti l’eredità di Edward Carnby ed io semplicemente non lo sapevo. Mi intrigava il titolo, malgrado il mio inglese studentesco, “solo nel buio”. Ed è dal titolo che mi sono fatta forza e sono andata avanti, alla scoperta di questo titolo che meritava molto più successo.
Il debutto del franchise avviene nel 1992. Frédérick Raynal sviluppa per la casa francese Infogrames un’avventura dinamica a tema horror, si tratta di uno dei primi esempi di videogioco survival horror in assoluto, un genere poi successivamente consolidato grazie a Resident Evil. Il gioco fu pubblicato per MS-DOS, Mac e 3DO e fu considerato un successo oltre ad essere fautore di un genere allora sconosciuto. Al primo capitolo seguirono altri due, con ambientazione e tematiche differenti.
Il primo capitolo era ispirato alle opere di H.P. Lovecraft, il secondo alle leggende piratesche, pubblicato come Alone in The Dark 2: Jack is Back nel 1994 e un terzo ed ultimo capitolo ha luogo nel deserto del Mojave. Le storie sono tutte ambientate negli anni Venti e il personaggio a capo delle vicende è Edward Carnby, un navigato investigatore americano esperto in fenomeni dell’occulto.
Contrariamente a molti survival horror, i primi tre capitoli hanno un aspetto molto più simile alle avventure grafiche, colorati, con sfondi pre-renderizzati, in cui è possibile muoversi e soprattutto esaminare qualsiasi tipo di oggetto che ci potrà servire più avanti. La caratteristica fondamentale è la risoluzione di enigmi più che eliminare i nemici che ci sono ma in numero molto esiguo. Tuttavia, malgrado la mancanza di scontri come nei successivi capitoli, quello che regnava era un’atmosfera ansiogena e di incertezza autentica, in cui il videogiocatore doveva calarsi nei panni di Carnby e muoversi in location a lui sconosciute.
Questo reboot cavalca molto l’onda lasciata dai survival horror di Capcom e Konami e il risultato è un titolo che un po’ scimmiotta le meccaniche già viste come enigmi e controlli tank già apprezzati in Resident Evil e soprattutto l’introduzione di due protagonisti che svolgono le loro vicende in parallelo incontrandosi e dividendosi nel corso dell’avventura. Edward Carnby non sarà il solo ad addentrarsi a Shadow Island, una strana e lugubre isola apparentemente disabitata, sulle coste del Maine. Ad accompagnarlo c’è la giovane ricercatrice Aline Cedrac. Il duo si reca nell’isola per due obiettivi differenti: Edward vuole esplorare il luogo perché vuole capire cosa è successo ad un suo amico morto sull’isola, per Aline invece, l’obiettivo è scoprire l’identità del padre.
Mentre stanno per arrivare sul l’isola a bordo di un elicottero, Edward alla guida, perde il controllo del mezzo. I due riescono ad uscire dall’incidente miracolosamente indenni, ma in due luoghi diversi. Alice finirà sul tetto della grande mansion di proprietà dei Morton mentre Edward finirà poco lontano, oltre i maestosi cancelli, nella fitta boscaglia. Inizialmente, per comunicare tra di loro useranno un walkie talkie e una torcia; per il resto, dovranno contare sul loro ingegno e sull’abilità con le armi. Aline sarà già nella villa e – entrando da una finestra aperta – troverà una anziana signora a letto, tale Lucy Morton, circondata da molte candele. Edward, invece, farà un incontro non molto fortunato con uno strano uomo (che finirà con il suicidarsi a termine di un monologo) e poi con “simpatici” cani da guardia della villa di famiglia.
Scegliere i due diversi personaggi non è una questione prettamente stilistica, il gameplay cambia radicalmente. Con Edward si va subito all’azione soprattutto grazie al revolver che ha in dotazione il detective, con Aline invece – alzando l’asticella della difficoltà – si dovrà esplorare la villa solo con l’aiuto della fidata torcia, all’inizio, fuggendo e usando l’ingegno. Proprio in virtù di tali difficoltà, è consigliato l’inizio dell’avventura nei panni del tenebroso Carnby. Quello che aspetta il videogiocatore sono due titoli diversi, due storie diverse ed enigmi differenti per un fine comune ed un’esperienza assolutamente irripetibile e meravigliosa.
Alone in The Dark: A New Nightmare sa dare una esperienza horror assolutamente autentica e realistica, man mano che si andrà a fondo nella villa e nei segreti della famiglia Morton indissolubilmente uniti a quelli dell’isola, più sarà la voglia del giocatore ad andare avanti per saperne di più. I nemici sono inquietanti e vari, gli enigmi mai troppo difficili, ma nella media. Sia Edward che Alina hanno a loro seguito un vasto arsenale e molte altre armi le troveranno in loco, sbarazzarsi dei nemici alle calcagna è puro divertimento e sollievo, senza mai dimenticare che il pericolo non è mai definitivamente scampato perché il pericolo più grande è annidato nella mente dei nostri alter ego.
Alone in The Dark The New Nightmare debuttò su PS1, Game Boy Color e PC quasi vent’anni fa, nel 2001. Per il mercato europeo, il publisher del titolo decise di progettare una versione remastered (uno dei primi esempi di remaster all’inizio degli anni Duemila) anche per PS2. Le differenze si notano soprattutto a livello grafico, con texture squisitamente migliori e modelli poligonali più ridefiniti, migliorando l’esperienza di gioco nel suo complesso. Tuttavia, su PS1 l’esperienza è più intensa e senz’altro nostalgica: grazie alla natura delle sue limitazioni hardware, lo stile retrò da un motivo in più per catapultarsi in questo viaggio dell’orrore. In ogni caso la versione PS1 presenta una grafica molto curata per l’epoca e – se non è ancora bastato il parallelismo con Resident Evil – personaggi tridimensionali si muovono su fondali bidimensionali di ottima fattura, ricchi di particolari.
Quello che resta di Alone in The Dark è la sua eredità di franchise che ha fatto la storia del survival horror ed è – ad oggi – unico esponente occidentale del genere. L’errore – se così volessimo chiamarlo – è non portare novità al genere ma allinearsi ai titoli celebri come Silent Hill o Resident Evil, portando davvero poco di innovativo. E’ stato un po’ come una scelta, da parte degli sviluppatori, improntata sul fatto che “questo prodotto oggi funziona e vende”, senza osare di più. Questo tuttavia non toglie punti a favore del titolo che è un prodotto spaventoso, ansiogeno in cui orrore e mistero fanno da padroni. E’ un titolo da riscoprire in questo autunno abbastanza freddo e pantofolaio, in parte dovuto alla pandemia da COVID-19, ed è azzeccato giocare a questo capolavoro di Infogrames ambientato – guarda caso – nella notte del 31 Ottobre 2001!
This post was published on 16 Ottobre 2020 15:03
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