Il 10 novembre 2020, con l’uscita di Xbox Series X e S, l’ottava generazione videoludica si chiuderà ufficialmente dopo circa sette anni di onorata carriera di Xbox One e PlayStation 4, segnando l’atto finale di uno dei periodi più floridi e animati della storia del videogioco e “dando il la” a un futuro fatto di nuove corse all’innovazione di questo campo.
Uno spartiacque importantissimo che lascia ai giocatori di tutto il mondo un medium diversissimo da com’era sette anni fa, con nuove meraviglie, nuovi muri abbattuti, nuove sfide vinte.
A quasi un mese da quel momento, vi invitiamo a seguirci in un piccolo viaggio fra nostalgia e riflessioni sulla generazione appena conclusa per tentare di capire cosa ci aspetta.
Nota bene: gran parte delle immagini presenti nell’articolo hanno l’obiettivo di fotografare alcuni dei momenti ludici e dei giochi di questa generazione che più mi porterò dietro. Non si tratta di una classifica dei “migliori giochi della generazione”, prendetelo più come un “viaggio personale nei ricordi di un giocatore”.
Pronti? Partiamo!
Che le console non servano più soltanto per giocare è vero da molto, almeno vent’anni, con l’avvento della tecnologia DVD su console, ma dopo l’ultima generazione è davvero difficile non pensare alla propria console come il cento della propria casa e, soprattutto, della propria passione.
PlayStation 3 (e parlo di PlayStation in quanto mia console di riferimento) aveva certo anche opzioni per giocare online, quella per accedere a YouTube, ma pochi della mia generazione-forse troppo piccoli all’epoca, forse troppo poco smanettoni- si accorsero di quanto le nostre console stessero diventando uno strumento centrale nella vita quotidiana di alcune categorie di persone.
È difficile rendercene conto, ma prima di questa generazione (o per lo meno fino ai momenti immediatamente precedenti), pochi di noi accedevano a Twitch tramite console, pochi di noi avevano così tanta dimestichezza con certe opzioni, ma soprattutto nessuno di noi poteva utilizzare la nostra console per vedere un’immensità di film e serie con i numerosi servizi come Netflix o Amazon Video diffusi negli ultimi anni.
E, direte voi “Eh ma che c’entra nella nostra vita da gamer?”.
Beh, se la mettete così evidentemente non vi fermate mai abbastanza a pensare a come ci cibiamo delle arti visive che amiamo.
Di fatto, mai nessuno strumento come le console di ultima generazione ha forgiato la nostra mente di spettatori e cultori di opere pop, persone che passano il proprio tempo libero alternando una lunga sessione a Ghost of Tsushima col binge watching della serie del momento, spesso contaminando le esperienze (e le passioni) in modo del tutto naturale.
Sembra strano a dirsi, ma pensateci: c’è qualcosa di più capace di rendere una persona portata ad avvicinarsi alle nostre passioni che avere un hub semplice da utilizzare, rapido nell’uso delle applicazioni e soprattutto in grado di metterti a disposizione Game of Thrones e il tuo gioco preferito con un solo click?
Un vero e proprio media center, parolina anch’essa diventata popolare negli ultimi anni per indicare tutti quei dispositivi che permettono di ascoltare musica, vedere film o collegarsi alla rete in modo semplice e rapido.
Di fatto, negli ultimi sette anni la console è diventata il nostro principale elettrodomestico, l’oggetto che non può mancare in casa, quello da cui dipende gran parte del nostro tempo libero e, per alcuni, lavorativo.
Se qualcuno me l’avesse detto sette anni fa gli avrei probabilmente riso in faccia, ma oggi la console può essere a tutti gli effetti uno strumento di lavoro.
Non si tratta solo del tradizionale “giornalista che per recensire un gioco usa la sua console”.
Oggi Internet, Twitch, lo streaming in generale, hanno fatto sì che le console siano diventate anche un vero e proprio palcoscenico per web star-recensionisti, opinionisti, YouTuber, anche in questo caso in un modo molto più immediato rispetto al passato.
Se fino a sette anni fa lo streammare un gioco su Twitch o YouTube poteva essere un’attività di nicchia e l’unico vero punto di contatto fra gioco e rete era giocare in multiplayer (pratica sociale che oggi non a caso è diventata estremamente popolare e diffusa e meriterebbe un capitolo a parte), oggi vari analisti arrivano a mettere in evidenza come giocare non sia l’unico modo per partecipare e fruire un grande titolo: di fatto, possiamo seguire una run a The Last of Us Parte II o God of War senza neanche prendere in mano il controller.
E questo il tutto anche grazie all’opzione “share” inclusa nella nostra console e alle estensioni preposte a questo obiettivo.
Cominciamo ad avvicinarci al nocciolo della questione: né internet né le nostre comode “stazioni di divertimento” con dentro servizi e videogiochi esisterebbero se le console non avessero fatto il grande salto di qualità che hanno compito fra settima e ottava generazione.
Anche senza entrare in dettagli tecnici, anche senza sciorinare in modo pedissequo caratteristiche tecniche di vario tipo, appare evidente che le nostre console sono diverse dal passato,più potenti, più performanti, più ambiziose.
Parlo da giocatore.
Mi è bastato, qualche mese fa, accendere di nuovo la PlayStation 3 per qualche sessione di retrogaming ben fatto per rendermi conto dei suoi anni, di quanto pur essendo straordinaria per l’epoca oggi possa apparire gretta, immatura, perfettibile.
E’ vero, si tratta di impressioni che fra sette anni ci apparterranno anche guardando la generazione in arrivo con gli occhi di quella dopo e sono soprattutto sensazioni che si alimentano di situazioni contingenti, ma sarebbe forse ingiusto non focalizzare l’attenzione su quanto questa generazione abbia profondamente cambiato le “macchine da gioco da salotto”.
A dircelo è ovviamente la potenza dei giochi, con una forbice fra PC e console che pur rimanendo larga si è comunque tanto accorciata da permettere di dare per scontato che un gioco tripla-A sia multi-platform, creando una platea di consumatori molto più ampia rispetto al passato.
Ma se questo processo appare più il completamento di un percorso iniziato nella scorsa generazione, quello della digitalizzazione dei giochi e la letterale esplosione degli store digitali appare del tutto inedito e dà vita a processi tutti in divenire. Gli store digitali stanno prendendo centralità, con una determinazione tale da spingere sia Microsoft che Sony e versioni all-digital delle loro console, una cosa che sembrava assolutamente impossibile fino alla generazione scorsa, ancora dominata dal retail e fondata sul culto del binomio console-disco.
E cosa porta una console senza dischi? Semplice: una console che eroga servizi di gaming costruiti sulla base di quelli di streaming, primo fra tutti un Gamepass che inizia sempre più a mostrare l’ambizione di voler superare la sua stessa piattaforma di partenza, Xbox, per diventare qualcosa di totalmente inedito, un abbonamento che vomita letteralmente giochi in faccia all’utente a prescindere dalla piattaforma utilizzata (ne ha parlato la nostra Pia in questa bella story a inizio settimana).
Gli scaffali delle nostre camere e dei nostri salotti sono sempre meno pieni di giochi, film in blue-ray o DVD e CD musicali, ma le librerie virtuali dei nostri dispositivi sono grondanti di file di giochi, film e brani musicali.
Un bel modo per risparmiare spazio in casa, non c’è che dire.
E infine, loro, le star d’eccezione: i giochi.
La storia del medium è stata segnata da una costante ascesa, da investimenti in produzioni sempre più grandi, da una potenza visiva sempre più maestosa e, infine, da una parola magica, ovvero maggiore immersività.
Alla fine della scorsa generazione i nostri giochi erano encomiabili “macchine per divertirci”, avevano introdotti già molti elementi di innovazione in grado di creare l’avvicinamento fra PC e console al quale facevamo riferimento più su portando in modo maturo su PlayStation o Xbox giochi come un Call of Duty (per esempio).
In questa generazione il processo si è completato, e al contempo ne è iniziato un altro forse più ambizioso: a partire da un videogioco non riuscito come The Order: 1886, la forbice a essersi sempre più assottigliata è quella fra videogioco e cinema, nel senso più alto della parola.
Se fino a una generazione fa il videogioco aveva tentato di scimmiottare con fatica film e serie tv, lentamente negli ultimi anni abbiamo visto i game designer adottare tecniche registiche cinematografiche (come Cory Barlog in God of War), far rinascere generi come filmgame e avventure narrative (è il caso di produzioni come Until Dawn o Life is Strange) e soprattutto tentare costantemente di unire gameplay e narrativa in modo “organico” (The Last of Us Parte II).
Un’evoluzione naturale per un pubblico sempre più serial-addicted e appassionato dei grandi spettacoli Marvel.
Certo si tratta di un’arma a doppio taglio: non è un mistero che l’ingente utilizzo di risorse per arrivare a risultati straordinari come questi tripla A abbia fatto storcere il naso a molti dirigenti come Jim Ryan, che è arrivato a dire che il modello non è sostenibile e che in futuro progetti come quello di Druckmann non siano più realizzabili.
Che il futuro ci porti a giochi più contenuti e basati su tecniche di racconto più modeste e sulle meccaniche ludiche?
E il sempre più grande ricorso a remastered next-gen (vedi Marvel’s Spider-Man) avrà l’obiettivo di supplire a questa futura minor disponibilità di kolossal, come dicevamo in quest’articolo?
D’altro canto, non è un caso che questa generazione abbia avuto un’altra faccia, quella degli indie sempre più presenti sulla scena mainstream, che hanno quasi invaso tutti i servizi di gaming facendo nascere community sempre più folte, toste e appassionate, che si distaccano dai giochi più blasonati per andare in cerca della chicca, del gioco di nicchia, della ripresa di stilemi vecchi come il platform in 2D.
E’ un paradosso, ma più la tecnologia avanza, più i nostri videogiochi diventano film interattivi nel miglior senso del termine, più parte del pubblico ricerca giochi più piccoli che privilegino tecnica, difficoltà e un po’ di pixel art.
Non so per voi, ma per me, dopo anni intensi come quelli che abbiamo passato, è davvero difficile pensare a come potranno andare le cose nei prossimi anni, quali innovazioni tecniche o di modo d’uso prenderanno piede e a come cambierà ancora la nostra vita da giocatori.
La mia impressione, del tutto personale, è che se vedremo cambiamenti essi saranno cambiamenti di perfezionamento, che completeranno una serie di processi che già sono in atto.
Vedremo giochi più veloci, vedremo interfacce più rapide, colpi d’occhio ancor più impressionanti e forse stringeremo fra le mani controller in grado di darci maggior partecipazione a quel che accade sullo schermo (il feedback aptico di PS5 è senza dubbio una delle cose che più voglio provare), ma forse la vera innovazione sarà altrove.
Se cambiamo la prospettiva, se guardiamo ai servizi, le cose cambiano e nascono nuove domande. Passeremo davvero dal giocatore su console al giocatore su servizi di gioco “immateriali”? La console war finirà, lasciando campo alla “service war” (che al momento vedrebbe Microsoft in vantaggio schiacciante)?
Non lo so, non so come il futuro si evolverà e che giocatori saremo fra sette-otto anni. So tuttavia una cosa: la generazione che si sta concludendo ce la porteremo nel cuore per molto tempo e gli renderemo grazie per molti anni a venire.
E ne avremo sempre bei ricordi.
This post was published on 3 Ottobre 2020 9:00
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