E’ di poco più di una settimana fa la notizia “shock” dell’acquisizione da parte di Microsoft di ZeniMax Media, società “ombrello” che racchiude sotto di sé altre fortunate software house come Bethesda, casa produttrice di The Elder Scrolls e Fallout, Arkane Studios, con la loro indimenticata saga di Dishonored, Tango Gameworks, che ha portato alla luce The Evil Within e molti altri ancora. La trattativa è andata in porto per una cifra considerevole (tutti i dettagli li trovate qui!).
Con la nona generazione alle porte, ci troviamo davanti ad una radicale trasformazione del mercato che non coinvolge solo l’architettura delle console stessa, ma anche il nostro approccio al medium videoludico: il passaggio definitivo tra retail a digitale.
Vi ricordate quando Netflix arrivò in Italia? Il primo approccio alla piattaforma di streaming mi colpì molto: tanti contenuti in un solo abbonamento mensile. Su Facebook, invece, come sempre succede, trovai pareri contrastanti, qualcuno disse che era uno spreco, che Netflix era “una piattaforma utile solo per chi non è andato al cinema negli ultimi tre anni”.
All’edizione degli Oscars dello scorso anno, ben due contenuti prodotti da Netflix hanno ottenuto la nomination per la categoria Miglior Film.
Netflix da essere un semplice ripiego per sopperire alle lacune di coloro che forse erano un po’ pigri per recarsi al cinema, è diventato il cinema stesso. E’ un bagaglio di esclusive, è un nuovo modo per produrre intrattenimento.
Adesso siamo abituati ad avere tutto a nostra portata di mano, senza muoverci di un millimetro da casa, e il lockdown non ha fatto altro che rafforzare questa abitudine che si stava lentamente insinuando nelle nostre vite.
Ora è tutto legalmente usufruibile, in digitale. Le nostre case sono vuote mentre i nostri storage in-cloud strapieni, così come i nostri smartphone. Abbiamo tutto lì, l’eccesso non serve.
Anche nei videogiochi questo sta accadendo e Microsoft ci ha visto giusto, proiettandosi al futuro. Ed è così che quella cifra di 7,5 miliardi di dollari risulta davvero poca cosa considerando che con Xbox Game Pass, Microsoft sta portando il “modello Netflix” nel mondo videoludico. Con un abbonamento è possibile avere tutto e ovunque o quasi. Sulle due versioni di Xbox, su PC, addirittura su smartphone. Un mondo di giochi senza i confini fisici della console. La spesa? Poco più di una ventina di euro al mese.
Il passaggio non è e non sarà così radicale come sembra sulla carta, le software house di ZeniMax continueranno a produrre i loro contenuti anche per altre console, per il mercato retail, ma Microsoft si gioca anche la carta “Game Pass”: senza costi aggiuntivi un giocatore potrà avere un tripla A al day one, senza fila nei negozi e senza svuotare il portafogli. I classici 60-70 euro di un gioco (ora 80 visto la scelta di Sony di portare a questa cifra alcune esclusive) potrà essere investita in quasi quattro mesi di abbonamento, giocando tantissimi titoli, novità ed esclusive, al prezzo di uno.
Sony Playstation ancora arranca da questo punto di vista, il servizio PS Now è ancora acerbo e non è questa la strada che vuole seguire il colosso giapponese. Sony ha sempre deciso di puntare all’esclusività con prodotti unici realizzati da Kojima Productions, Naughty Dog, Insomniac Games o Guerrilla. L’esclusività prima di tutto, proprio come fa Nintendo (che negli ultimi anni si è comunque aperta molto rispetto al passato). Playstation è un marchio che vende, è sinonimo di sicurezza, conosce la domanda di mercato e sa che può soddisfarla. E’ bastato il timido annuncio di God of War II per mandare in visibilio la community.
Non tutti possono permettersi entrambe le console e magari anche un buon PC da gaming. I giocatori hanno quindi tirato le somme: da una parte i patiti dell’esclusiva Sony, dall’altra gli esploratori del servizio digitale offerto da Microsoft, per non parlare di chi ancora nel 2020 combatte una console war infinita e senza senso. Ma cosa pensano gli altri? I casual gamers, coloro che seguono il mercato marginalmente giocando solo i titoli mainstream e i multiplayer, cosa faranno nell’era di un cambiamento così radicale?
Come già anticipato, il retail è duro a morire. Io stessa, lo dico in prima persona, preferisco la versione fisica perché il digitale è un po’ come “non avere nulla”. Siamo figli di una generazione che è stata abituata ad andare in negozio, scegliere videogiochi guardando le custodie e la copertina, sfogliare i manuali di gioco che erano davvero spessi e ricchi di informazioni. Tornando all’esempio di Netflix, non è arrivato dal primo giorno nelle case di ognuno di noi, ma adesso, nel 2020, non possiamo farne a meno. E il mercato videoludico sta andando in quella direzione, lentamente e con tutte le difficoltà di un popolo di giocatori feticisti della custodia, ma presto o tardi raggiungeremo (e oltrepasseremo) il traguardo digitale.
Se è vero che questo modello digitale possa portare notevoli benefici, almeno in termini di quantità/prezzo, rimangono però i dubbi sulla sostenibilità a lungo termine e che porterà necessariamente ad un aumento di prezzo del Game Pass, proprio come successo con Netflix. Sul fronte delle paure invece, oltre alla già citata paura di non possedere nulla, lasciando gli scaffali di casa vuoti per ampliare il catalogo digitale, c’è anche la paura di perdersi in un infinito backlog.
Se il Game Pass dovesse continuare ad arricchirsi ed espandersi alla velocità attuale avremo presto un servizio con molti più titoli di quelli che potevamo impilare nella nostra libreria in attesa di trovare il tempo di giocarli. Scott Pilgrim parlava di “infinito sconforto”, noi parleremo di “infinito backlog”. Un surplus di contenuti che spaventa, che offre al giocatore talmente tante scelte da lasciarlo interdetto. E mentre l’offerta aumenta a dismisura il tempo libero in una stessa giornata sembra essere sempre di meno. Riusciremo a giocare tutto?
This post was published on 29 Settembre 2020 17:09
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