Una delle notizie che ha accompagnato, e sta tuttora accompagnando, il nostro cammino verso la next gen è rappresentata dall’aumento dei prezzi dei videogame che approderanno su Xbox Series X/S e, soprattutto, su Playstation 5. Sony aveva dichiarato che, per coprire i sempre più consistenti costi di sviluppo dei tripla A, era necessario accrescere il costo del “biglietto d’ingresso“, portandolo a 70$ per i videogame di terze parti ed a 80$ per le esclusive PS5.
Inutile dire quanto tutto ciò abbia causato non poche discussioni nel pubblico dei giocatori che, come ampiamente prevedibile, non hanno preso esattamente bene l’idea di spendere quasi dieci euro in più per avere accesso ai tripla A. A quanto ora detto, si aggiunge l’offerta sempre più conveniente e allettante del Game Pass, che sembra avvicinarsi sempre più all’optimum videoludico.
La domanda che in molti si stanno ponendo è: questo aumento dei prezzi è veramente la fine del formato retail? Probabilmente no, soprattutto stando alle parole di un analista del calibro di Mat Piscatella.
Intervenuto al podcast Virtual Economy, Piscatella ha affermato come il prezzo dei videogiochi sia rimasto invariato praticamente dal 2005, anno in cui Call of Duty 2 fu il primo gioco ad essere messo in vendita a $59.99. Se è vero che l’aumento di prezzo ha tutte le giustificazioni di questo mondo, ciò che Piscatella evidenzia è la presenza di un’ampia fetta di consumatori che non si porrà il minimo problema a pagare una cifra più elevata.
Piscatella, da buon analista, fa riferimento al concetto economico del “perceived value“. Un videogame o, meglio ancora, un franchise videoludico, come tutti i beni di consumo, è percepito in maniera diversa dal pubblico, a seconda sia di quelli che sono i suoi attributi concreti, che da altri valori astratti, come la convenienza, la sicurezza, la qualità del servizio, e via discorrendo.
Sotto questo aspetto, quindi, serie come Call of Duty e FIFA risentiranno in minima parte di questo aumento dei prezzi, in quanto la loro utenza è prettamente rappresentata da consumatori inframarginali.
Si tratta di consumatori abituali, che già hanno acquistato il prodotto in precedenza e che, percependo la qualità del servizio, accetteranno di buon grado di pagare una cifra più elevata, soprattutto se la qualità promessa dal publisher, in questo caso, è superiore rispetto agli standard del passato.
Sono tante le imprese ed i marchi che, su questi due concetti, hanno costruito le loro fortune, e Playstation è sicuramente da annoverare tra questi.
In tanti si chiedono quale possa essere l’effetto dell’aumento di prezzo dei tripla A, soprattutto alla luce dell’acquisizione di Bethesda da parte di Microsoft, che rende l’offerta del Game Pass ancora più appetitosa di quanto già non fosse in precedenza.
La risposta a questa domanda, alla luce di quanto detto in precedenza, potrebbe essere molto più banale di quanto sarebbe lecito attendersi. Piscatella conclude infatti dicendo che, nella gran parte dei casi, i gamer di tutto il mondo accetteranno di pagare i $70 dollari per i loro giochi preferiti; magari li pagheranno malvolentieri, brontolando un po’, ma alla fine li pagheranno.
C’è inoltre da non sottovalutare un altro elemento: l’importanza della volontà dei consumatori. Qualora i giocatori non comprassero in maniera significativa i tripla A al day one, questi finirebbero inevitabilmente col calare di valore.
D’altra parte, come lo stesso Phil Spencer ha ribadito in una recente intervista, l’industria può mettere i prezzi che più ritiene opportuni, ma saranno sempre i consumatori a decidere se quei prezzi sono giusti o meno.
Insomma, alla fine della fiera, emerge con ancora più forza uno dei concetti che dovremmo conoscere meglio: il giocatore ha ed avrà sempre l’ultima parola.
This post was published on 23 Settembre 2020 9:22
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