La mia carriera da gamer si è svolta prevalentemente su console, a partire da uno smagliante Sega Mega Drive II. Tuttavia non ho mancato qualche sortita su PC, specialmente nella prima infanzia. Ricordo con nostalgia la gioia provata a videogiocare con mio fratello e le nostre cugine sul computer di mio nonno paterno, durante le riunioni di famiglia che avevano luogo ogni sabato sera. Quel glorioso Windows 95 mi ha fatto conoscere tanto le avventure grafiche di LucasArts quanto i 4X di Sid Meier (passando per gli immancabili Campo Minato e 3D Pinball), più qualche oscuro gioco su floppy disc capitato in casa fortuitamente, probabilmente omaggio di riviste di informatica.
Tra essi, il più affascinante era senza dubbio Prince of Persia, un action-adventure a scorrimento 2D dotato di animazioni assolutamente stupefacenti per l’epoca. Perso nei meandri della memoria, il titolo mi riaffiorò alla mente circa 10 anni dopo, all’annuncio dello sviluppo di un nuovo capitolo della saga da parte di Ubisoft. Prince of Persia: Le sabbie del tempo uscì nel 2003 e segnò profondamente gli action-adventure 3D, acclamato come un capolavoro della sesta generazione di console. Riavvolgiamo il tempo alla scoperta della storia della serie, ci sono molte sorprese da scoprire.
Siamo nel pieno degli anni ’80 quando Jordan Mechner, studente di liceo a Chappaqua (NY), inizia a programmare videogiochi con un Apple II comprato grazie ai proventi di fumetti ed illustrazioni venduti a fiere locali. Il giovane studente è certo una mente brillante, tanto da mettere a punto un sistema di rotoscoping (il calco illustrato di una sequenza filmata) con il quale, durante gli anni di studio di psicologia a Yale, immortala filmati in Super 8 di amici e parenti a cui fa compiere azioni e movenze da poter successivamente implementare all’interno dei propri videogame. Il primo risultato di questa sperimentazione è Karateka (Brøderbund, 1984), un fighting game a scorrimento dotato di animazioni dalla fluidità inedita fino ad allora.
Karateka, programmato su Apple II, fu un successo immediato, venduto anche in Europa e convertito in una pletora di versioni. Mechner si mise presto al lavoro su un nuovo titolo, che facesse sempre della fluidità dei movimenti del protagonista il proprio cavallo di battaglia, ma adottasse un differente setting e favorisse gli aspetti avventurosi ed esplorativi. La scelta dell’ambientazione araba fu influenzata dalla fascinazione di Mechner per Le mille e una notte, di cui conosceva i racconti sin dall’infanzia. Karateka fu quindi il viatico per il successivo Prince of Persia.
Francis Mechner, padre di Jordan, imprenditore e pianista di origini austriache, fu arruolato dal figlio per comporre la colonna sonora di Prince of Persia (aveva lavorato anche a quella di Karateka). Jordan, inoltre, perfezionò la sua tecnica di rotoscoping, abbandonando il Super 8 in favore della più moderna tecnologia VHS, e prendendo come modello il fratello David, all’epoca sedicenne, di cui immortalò varie azioni: corsa, salto, arrampicata… alla ricerca di un grado di fedeltà ancora maggiore alla realtà della cinetica umana.
Mechner stesso ha pubblicato questo ed altro materiale sul suo sito personale. Qui sotto la preziosa testimonianza: si tratta di una metodologia di lavoro pionieristica per l’epoca, antenata della moderna motion capture di cui cinema e videogiochi non possono ormai fare a meno. Pensare che sia stata concepita in solitaria da un giovane che realizzava tutto tra le mura domestiche non fa che suscitare ammirazione verso lui e tutta la famiglia Mechner, cui l’industria del gaming sarà sempre debitrice.
Mechner concluse la programmazione del gioco nel 1989. Distribuito nuovamente da Brøderbund, Prince of Persia fu pubblicato nello stesso anno, e fu convertito in una miriade di versioni, fra cui: NEC, MS-DOS (quella dei miei sabato sera), Amiga, Atari ST, Master System, NES, SNES, Genesis, Game Gear; e in tempi più recenti Game Boy Advance, Nintendo 3DS, Wii e iOS. Niente male per un gioco fatto in casa! Il successo mondiale spinse Mechner a realizzare a stretto giro un seguito: nel 1993 uscì Prince of Persia II: The Shadow and the Flame, un altro buon successo anche se non riuscì a bissare l’exploit dell’esordio.
Nell’antica Persia, il malvagio vizir Jaffar tenta di prendere il potere con un colpo di stato: mentre il sultano è in viaggio, Jaffar rinchiude la principessa in una torre, ed il suo amante (ovvero il protagonista del gioco) nelle segrete del castello. La principessa ha un’ora di tempo per convincersi a sposare il vizir, altrimenti sarà messa a morte. Il nostro eroe ha dunque 60 minuti a disposizione per fuggire dalle segrete del palazzo e sconfiggere Jaffar, salvando così l’amata.
Sta in questa trama basilare la premessa narrativa di Prince of Persia, ma è abbastanza per calarsi nella claustrofobica atmosfera di gioco. Il titolo è adrenalinico: da una parte la corsa contro il tempo, dall’altra l’esplorazione di un enorme dungeon suddiviso in livelli, labirintico e pieno di trappole mortali, in cui affrontare nemici, trovare oggetti, aprire vie di fuga e muoversi con cautela, pena una morte prematura data dalla caduta in un precipizio, il fil di spada avversario, terribili spuntoni che emergono dal pavimento e molto altro.
Prince of Persia combina in modo geniale istanze di generi diversi, racchiuse in un solido impianto action-adventure: ostico in prima battuta, spinge a reiterati tentativi di risoluzione, finché poco per volta, morte dopo morte, si riesca ad orientarsi nei meandri della prigione facendosene una mappa mentale o – perché no? – scritta, e si abbia ragione del gioco, magari divenendo così abili da divertirsi ad effettuare speedrun. Insomma un livello di sfida alto, ma mai frustrante, foriero di grandi soddisfazioni una volta padroneggiato.
Come si vede dal video qui sopra, morire è molto facile nel gioco, e capita di continuo: la poca energia a disposizione (i triangoli rossi a bordo schermo) è completamente azzerata dalla maggior parte delle trappole, che provocano morte istantanea e ripetizione del livello (ma non reset del timer, che continuerà ad avanzare!). I duelli con gli scagnozzi del vizir invece ne fanno perdere uno per ogni colpo subito, così come le cadute da altezze non mortali. Ci si può curare (o aumentare la salute massima) solo per mezzo di rare pozioni rosse sparse in giro per la mappa, e inoltre non esiste alcuna funzione di salvataggio: se il tempo scade, ricominci. Altro che Dark Souls! Per fortuna ci sono record come quello qui sotto a dimostrarci che con un po’ di buona volontà (e qualche glitch) anche Prince of Persia può essere padroneggiato a dovere.
Rispetto al primo capitolo, Prince of Persia II: The Shadow and the Flame apporta miglioramenti a tutto campo, a partire dalla direzione artistica: più colori, più ambientazioni, più dettaglio grafico concorrono a rendere il sequel assai più piacevole a livello estetico. Il gioco è più lungo (si tratta sempre di una prova a tempo ma stavolta si hanno a disposizione 75 minuti) e le mappe più grandi. Il numero e la varietà di nemici a schermo aumenta, così come le trappole mortali e le movenze a disposizione del protagonista, che ora può anche strisciare attraverso stretti cunicoli.
Anche a livello narrativo l’intreccio offre un grado di approfondimento maggiore, pur rimanendo molto basilare: Jaffar non è morto e, assunte le sembianze del giovane eroe, lo fa esiliare con l’intenzione di assumere il suo ruolo di principe e da lì mirare al trono del sultano. Ancora una volta dovremo avere la meglio su di lui, ma non prima di aver fatto un pericoloso viaggio nei luoghi più esotici e misteriosi del regno, guidati da una donna che si rivelerà essere la madre del protagonista, la quale svelerà la sua appartenenza ad una nobile stirpe: il principe ne è l’ultimo esponente a causa del massacro della famiglia ad opera di un’armata delle tenebre capeggiata da una misteriosa strega, supposta nemesi di un terzo capitolo che non vide mai la luce.
“Nel 1992, dopo l’uscita di Prince of Persia, andai a Parigi con l’intenzione di prendermi un anno sabbatico dall’industria dei videogames. Ironicamente, ciò mi portò alla realizzazione del mio titolo più ambizioso”. Così Mechner a proposito di The Last Express, avventura grafica sviluppata dalla sua neonata software house Smoking Car Productions e primo tentativo dell’artista nel campo del 3D, a cui dobbiamo velocemente accennare. L’ambizione del progetto è evidente, a partire dallo sforzo compiuto per ricreare fedelmente le estetiche art nouveau di inizio ‘900, epoca in cui ha luogo la storia, ambientata a bordo dell’Orient Express a ridosso dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Lo studio mette a punto un sistema di rotoscoping evoluto realizzato a partire da riprese in studio (il più diretto ascendente del motion capture), indispensabile per animare decentemente in tre dimensioni. Il sistema di eventi adattivi, che modifica le azioni dei personaggi in base a quelle del giocatore, comportò una sfida enorme a livello di scrittura: Mechner, da sempre appassionato di cinema e aspirante sceneggiatore, portò l’intreccio ad un tale livello di approfondimento da generare uno script di 800 pagine, realizzato con l’aiuto di Tomi Pierce, co-writer dell’opera. Qui sotto un affascinante behind the scenes.
The Last Express fu pubblicato nel 1997 da Brøderbund, ed il modesto successo di pubblico (principalmente legato a vicissitudini del publisher, che fu acquisito da The Learning Company interrompendone così la stampa) costrinse Mechner a chiudere l’azienda da poco fondata. Il titolo ha comunque suscitato consensi nella critica e negli anni è riuscito a trovare il suo pubblico. Ciò che più mi interessa sottolineare del gioco è una sua caratteristica di gameplay, ovvero il viaggio nel tempo: in qualunque momento il giocatore può mettere in pausa il gioco (che scorre in tempo accelerato 6x rispetto al reale tempo di percorrenza della tratta dell’Orient Express) e riavvolgere il tempo ad un momento precedente, per interagire nuovamente con personaggi ed eventi già accaduti, andando quindi a modificare gli esiti successivi. Correggere i propri errori riavvolgendo il tempo… Vi ricorda qualcosa?
Le scarse vendite di The Last Express scoraggiarono Mechner, che voleva abbandonare l’industria. Red Orb Entertainment, succursale di Brøderbund, aveva altri piani: Mechner fu arruolato come sceneggiatore e designer nella squadra di sviluppo di un nuovo capitolo del franchise di Prince of Persia, il primo in 3 dimensioni. I lavori proseguirono tra molte difficoltà economiche, e con tempi di sviluppo insufficienti.
Prince of Persia 3D è pubblicato nel 1999 in uno stato appena accettabile, tra animazioni legnose, bug non risolti, telecamera problematica ed un gameplay esplorativo alla Tomb Raider che contribuì a far perdere d’identità il brand. L’anno successivo uscì il port per Dreamcast: sebbene leggermente migliorato, il gioco non decollò nemmeno lì, e il fallimento generale della console SEGA contribuì ad affossare ulteriormente le vendite.
Insomma la serie sembrava ormai al capolinea, e Mechner voleva era deciso a dedicarsi ad altro. Senonché nel 2001 Ubisoft acquisì il il catalogo dei giochi della serie. L’IP era ancora di proprietà di Mechner, che nel 2001 fu quindi contattato dal presidente di Ubisoft Yves Guillemot per sondare la possibilità di collaborare alla realizzazione di un reboot della serie con un gioco innovativo, ad alto budget, che fosse all’altezza del suo nome. Come fare a dir di no?
Sviluppato da Ubisoft Montreal, Prince of Persia: Le sabbie del tempo è pubblicato nel 2003 divenendo un instant classic, almeno in Europa dove l’azienda piazza 2 milioni di copie in meno di un anno. Il gioco fa incetta di premi, e a posteriori è evidente la sua influenza sul futuro dei videogames: i due cardini del suo gameplay, la manipolazione del tempo e l’esplorazione acrobatica, sono i concetti alla base di Assassin’s Creed (2007), che è la sua più palese filiazione. Ma i suoi crediti arrivano fino al panorama indie, ad esempio nel caso di Braid (2008), che fa della manipolazione temporale lo strumento di risoluzione dei suoi puzzle.
Le sabbie del tempo crea inoltre il “brand Prince of Persia”, dando vita ad un franchise che estende la sua licenza a fumetti, giocattoli ed il film omonimo (2010), di cui lo stesso Mechner cura la storia e la produzione esecutiva. Un successo clamoroso: ricordo bene come, nel giro dei miei amici gamers, tutti lo avessimo giocato o provato da qualcuno che ne possedeva una copia. Prince of Persia: Le sabbie del tempo divenne per qualche anno l’action-adventure per antonomasia.
Prince of Persia: Le sabbie del tempo è un’avventura in terza persona che mescola platforming, rompicapo ambientali e fasi di combattimento, rispettando fedelmente la formula ibrida che lo ha sempre contraddistinto, aggiornata ad un gameplay fluido dalla grafica 3D all’avanguardia e condito da una narrativa fiabesca semplice ma efficace, che peraltro cancella il vecchio stereotipo della damsel in distress per affiancare al principe una co-protagonista forte e volitiva.
Il gioco implementa la meccanica della manipolazione del tempo in vari modi, tutti divertenti e originali per l’epoca: a livello esplorativo/difensivo, essa consiste nel riavvolgimento degli ultimi secondi di gameplay (fino a 10) per correggere eventuali errori mortali (per esempio, la caduta in un precipizio); a livello offensivo, nell’attivazione di una sorta di bullet time in cui infierire sui nemici rallentati o freezati. L’utilizzo di queste tecniche consuma le unità di sabbie del tempo a disposizione, che possono essere ripristinate sconfiggendo nemici.
Un grande sforzo è stato fatto per implementare la novità della telecamera dinamica, che passa senza soluzione di continuità dalla prima alla terza persona, da libera a vincolata, in perfetto equilibrio tra fruibilità e spettacolarità. L’altro aspetto a mantenersi ancora oggi notevole è la qualità delle animazioni dei personaggi, da sempre fiore all’occhiello della serie, unite stavolta ad una spettacolarità delle manovre di movimento acrobatico, dalla corsa sulle pareti ai salti da un muro all’altro, oltre a più classiche manovre di arrampicata e manipolazione di oggetti e leve. Proprio questa sorta di parkour videoludico è uno dei maggiori lasciti al futuro franchise di Assassin’s Creed.
Dato l’exploit de Le sabbie del tempo, Ubisoft si mise subito al lavoro per serializzare la sua nuova IP. Senza ulteriore coinvolgimento di Mechner fu realizzata una trilogia principale tramite lo sviluppo di due sequel, Prince of Persia: Spirito guerriero (2004) e Prince of Persia: I due troni (2005), più lo spin-off Battles of Prince of Persia (2005) e il midquel Prince of Persia: Le sabbie dimenticate (2010). Nessuno di questi ha avuto l’impatto del primo titolo a livello di influenza sull’industria. Ciononostante l’accoglienza del pubblico è stata in larga parte favorevole: il franchise ha piazzato decine di milioni di copie nel mondo (non ci sono numeri però definitivi ufficiali).
Se i due sequel principali si sono limitati ad aggiungere poche novità e rifiniture dalle meccaniche di gioco dell’originale (enfasi sul combat system e atmosfere dark nel secondo, inserimento di QTE nel terzo), spin-off e midquel hanno tentato strade diverse, dal gioco a turni basato su carte di Battles a meccaniche rhythm-action basate sulla corretta combinazione di power-ups in Le sabbie dimenticate. Nel corso di un decennio la serie Ubisoft ha tenuto compagnia a milioni di giocatori e rinnovato una IP storica, rendendole giustizia. Quasi sempre, almeno…
Nel 2008 Ubisoft decide che sì, è il caso di fare un nuovo reboot del franchise, scrivendo una storia e dei personaggi totalmente inediti ma mantenendo le basi di gameplay che hanno decretato il successo della serie: il nuovo Prince of Persia è pubblicato nel 2008. Il design artistico passa da un’impostazione realistica e spigolosa ad una fiabesca e morbida, coadiuvata dalla renderizzazione poligonale in cel shading, e tutta l’atmosfera di gioco è più solare che in passato, con una storia più picaresca che epica (il protagonista non è più un principe, ma uno straccione in cerca di fortuna) ed un’accessibilità che si traduce in un livello di difficoltà tarato verso il basso, eliminando di fatto la possibilità del game over: a seguito di un errore potenzialmente fatale, la co-protagonista del gioco interviene salvando il protagonista e garantendo così infiniti tentativi al giocatore. Infine, è eliminata qualsiasi meccanica riguardante la manipolazione del tempo, da sempre caratteristica peculiare della serie, contribuendo ad un processo di perdita di identità del capitolo in questione.
Questo nuovo Prince of Persia edulcorato in atmosfere e meccaniche di gioco fu accolto con sentimenti contrastanti da pubblico e critica: pur apprezzando generalmente il desing artistico e dei personaggi, furono molte le critiche riguardanti l’estrema facilità del gioco, dal livello di sfida praticamente nullo: un totale cambiamento di prospettiva dalla filosofia del gioco originale, non digerito da buona parte della community (personalmente ho detestato il titolo, abbandonandolo dopo poche ore di prova). Le recensioni si mantennero generalmente alte nel giudizio numerico (sebbene senza lambire l’eccellenza), ma le vendite non ingranarono mai, nemmeno con la pubblicazione di un sequel per Nintendo DS Prince of Persia: The Fallen King (2008) e del DLC Prince of Persia: Epilogue nel 2009.
Un’intera generazione di console è passata senza che il brand fosse riesumato. Ora, dopo un decennio di silenzio e a ridosso della nona generazione di console, ecco il gradito annuncio all’Ubisoft Forward: al momento dell’annuncio Prince of Persia: The Sands of Times Remake ha una data di uscita fissata al 21 gennaio 2021 su PS4, Xbox One e PC. Sviluppato da Ubisoft India, il titolo ha buone chances di fungere da apripista per un futuro capitolo next-gen. Trattandosi di un remake, lo studio ha la possibilità di aggiornare il gameplay modificando o aggiungendo meccaniche inedite, insomma sperimentando per un ipotetico nuovo nuovo titolo.
Solo che qualcosa va storto, il progetto probabilmente è fuori dalla portata di un team ancora alle prime armi come è la divisione indiana di Ubisoft, e il gioco manca la data di uscita prevista. Ancor peggio, per moti mesi non viene fornito nessun aggiornamento rispetto allo stato dello sviluppo, che alcuni iniziano a dare per spacciato. Bisogna attendere la primavera del 2023 per avere un aggiornamento sui lavori: lo sviluppo del remake è stato affidato ad un altro team, nientemeno che Ubisoft Montréal, una delle divisioni più grandi ed importanti dell’intera azienda, che ha sviluppato alcune delle IP più famose della compagnia come Splinter Cell, nonché il Sands of Time originale. Un gradito ritorno a casa insomma, accompagnato dal rilascio di un trailer che mostra però un titolo sensibilmente differente dall’originale, tanto dall’essere diventato un gioco completamente nuovo, intitolato Prince of Persia: The Lost Crown.
Con una nuova data di uscita fissata al 18 gennaio 2024, i fan del principe più famoso della storia dei videogiochi possono attendere con rinnovata fiducia un capitolo che promette di essere al contempo vecchio e nuovo.
Al termine di questo lungo excursus su una delle serie più influenti nel panorama degli action-adventure, si può guardare al futuro con la ragionevole solida certezza di vedere presto nuove incarnazioni del principe più famoso della storia dei videogiochi.
This post was published on 13 Settembre 2020 11:07
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