Come da titolo, questo articolo contiene spoiler sul finale e sui principali snodi narrativi di The Last Guardian. Ma non solo: viene sviscerata anche la narrativa di Ico e Shadow of the Colossus, con conseguenti spolier anche su questi titoli. Se avete intenzione di giocarli, la lettura dell’articolo è suggerita solo in seguito al loro completamento!
The Last Guardian è la più recente opera di Fumito Ueda, creatore di Ico e Shadow of the Colossus. Il gioco è uscito nel 2016 al termine di una gestazione travagliata che, dopo il primo teaser trailer pubblicato da Sony nel 2009, ha comportato lo spostamento del progetto su PS4 a causa dei limiti tecnici della precedente generazione di console, per la quale era stato originariamente inteso. Tutti e tre i giochi di Ueda sono caratterizzati da una narrativa silenziosa, con dialoghi ridotti al minimo e nessuna descrizione testuale: il compito di ricomporre l’intreccio – spesso evanescente – è lasciato all’immaginazione del giocatore, cui spetta riempire le numerose lacune del racconto con le proprie teorie.
Per me non è importante raccontare i dettagli di una storia. In Giappone abbiamo una forma di poesia chiamata haiku, nella quale le cose non sono spiegate nel dettaglio e in cui si lascia al lettore il compito di capire o usare la propria immaginazione per interpretarne il contenuto.
Fumito Ueda, intervista pubblicata su Gamesindustry in data 18/05/2017.
L’interpretazione di alcuni snodi narrativi è dunque soggetta alla libera speculazione sebbene Ueda, nel corso di varie interviste, abbia suggerito che i tre giochi condividono il medesimo universo narrativo, anche se non c’è assoluta certezza circa la successione temporale degli avvenimenti. La mia ipotesi (che mi sembra anche la più quotata, dopo una sommaria lettura in rete) propende per la seguente cronologia: The Last Guardian, Shadow of the Colossus, Ico. Dunque il gioco di più recente pubblicazione sarebbe il primo in ordine di tempo narrativo, e gli avvenimenti in esso accaduti causerebbero tutti quelli successivi. Ecco perché, prima di parlare del gioco in questione, serve necessariamente considerare i primi due capitoli, che consentiranno di dar credito alle successive speculazioni. Ancor prima che narrativo, il legame fra i tre titoli passa anche per un apparato simbolico condiviso: l’opposizione (ma anche e soprattutto l’interdipendenza) tra “bianco” e “nero”, concetti che in ciascun capitolo assumono differenti declinazioni. Vediamo quali, a partire dal primo gioco pubblicato.
Il protagonista di Ico è un ragazzino con le corna – appartenente ad una progenie maledetta – che viene recluso all’interno di un’enorme fortezza-prigione dai soldati della sua tribù, “per il bene del villaggio”. Il caso vuole che il ripiano su cui è adagiato il sarcofago di pietra in cui Ico viene rinchiuso ceda sotto il peso degli anni: il sarcofago precipita dalla sua nicchia e si apre, liberando il ragazzino, che si trova completamente solo all’interno del gigantesco edificio in rovina. Ben presto Ico incontra una ragazzina, anch’essa prigioniera, che parla una lingua misteriosa.
Dopo averla liberata dalla sua gabbia di ferro, Ico la porta con sé in cerca di una via di fuga, ma il loro cammino sarà più volte ostacolato da una strega oscura, che si proclama regina del castello e madre della ragazza, che chiama Yorda. Quest’ultima possiede il potere magico di sbloccare alcuni sigilli posti a protezione di aree proibite del castello, fra cui il portone principale e la sala del trono. Alla fine Ico riesce a sconfiggere la strega tramite una spada magica e, mentre il castello crolla e si inabissa, Yorda carica l’incosciente ragazzino su una barchetta e gli fa prendere il largo, salvandolo. Per Yorda sembra la fine. Tuttavia nell’epilogo Ico si risveglia su una spiaggia e trova la ragazzina in stato di incoscienza, poco distante da lui. Il gioco si chiude con Ico e Yorda che mangiano delle angurie sul bagnasciuga.
Tale epilogo è quasi certamente un finto happy ending. La sopravvivenza di Yorda al crollo del castello è pressoché impossibile da giustificare. Lo stesso Ueda ha suggerito che tale scena finale sarebbe solamente un sogno di Ico dormiente mentre va alla deriva. Al di là delle speculazioni sul finale, è interessante considerare l’opposizione tra magia bianca, incarnata da Yorda, e magia nera, rappresentata dalla strega. Si tratta di una dicotomia di cui sono però suggerite alcune sfumature. Yorda è un essere di luce, e sembra rappresentare la purezza e l’innocenza. Il suo potere è salvifico per Ico e nocivo per la strega: la spada con cui il ragazzino trafigge la sua nemica è imbevuta della magia bianca che Yorda emana per sbloccare i sigilli del castello; la stessa magia permette di obliterare le Ombre, l’esercito di evanescenti servitori della strega che hanno il compito di rapire Yorda strappandola dalla custodia del protagonista. Eppure Yorda stessa ha un lato oscuro: prima di incontrarla, Ico la sogna in forma di creatura d’ombra, ed è proprio in questo stato che la ragazza si troverà alla fine, quando salverà il nostro eroe svenuto imbarcandolo appena prima del crollo della fortezza. Del resto, la regina dice a Ico che lo scopo per cui Yorda esiste è quello di fungere da vascello per sé stessa: la strega ha infatti intenzione di prendere possesso del corpo della ragazza, quando sarà il momento. Cosa significa questo? Si tratta solo di attendere una sua maturazione anagrafica?
Più probabilmente, la regina intende che arriverà il giorno in cui i poteri magici della ragazza saranno pienamente sviluppati. Allora, combinandosi con lei, la strega potrà ottenere un potere mai visto prima, oltre che un corpo ringiovanito. Insomma Yorda, pur apparendo come un essere sommamente buono, è anche un elemento indispensabile alla realizzazione del piano malefico della strega. Ma come si inserisce in questo piano la questione della maledizione? La strega sembra richiedere al villaggio questi bambini cornuti come tributo, ma cosa se ne fa in pratica? La risposta più semplice è che li utilizzi per generare le Ombre, il suo esercito di servitori: questi minions possono assumere varie forme, ma non sfuggirà al giocatore il fatto che fra di esse ve ne sono di umanoidi e cornute, il che rende l’associazione pressoché immediata. Questa stessa materia oscura ricopre e circonda la regina a mo’ di scudo protettivo, ed è evidentemente in grado di assorbire il potere di Yorda (se Ico non difende la ragazza, le ombre la rapiscono e la trascinano nell’oscurità, causando il game over). Una conseguenza logica è che i bambini servano anche ad un altro scopo: alimentare Yorda stessa.
Quando sconfiggiamo la Regina, infatti, i sarcofagi liberano scariche di magia bianca che investono Yorda (tramutata in statua da un incantesimo della strega): la ragazza si rianima, ma in forma di ombra, proprio come Ico l’aveva sognata a inizio gioco. Poiché sappiamo che la magia bianca serve a spezzare i sigilli magici, il ragionamento è presto fatto: il corpo di luce della ragazza non era che un involucro alla sua vera essenza, che è oscura. Ed è tale perché Yorda non è umana, ma è un essere della stessa natura della Regina, che l’ha probabilmente creata (del resto la chiama “figlia”, pur non essendoci traccia di alcun compagno della strega, che regna solitaria in un castello il cui salone d’onore ospita un unico trono).
Il fatto che l’esistenza di Yorda sia in parte o totalmente dipendente dai bambini sacrificati emerge dall’analisi di alcune linee di dialogo tagliate dal gioco finale, in particolare uno scambio di battute tra Yorda e la Regina, nel quale la prima esprime la volontà di abbandonare il castello, preferendo la morte all’idea di sopravvivere grazie al sacrificio degli innocenti:
I’m not coming back. You’ve got it all wrong, Mother. I’m going to live the way I want to. Even if I have to pay for it with my life. It’s far better than surviving on the sacrifices of an innocent people.
Yorda – dialogo tagliato da Ico e recuperato dal dataminer einstein95.
La compresenza di luce ed oscurità nello stesso individuo è il nucleo centrale dell’intera poetica di Ueda: bianco e nero non sono categorie impermeabili, esiste una zona grigia rappresentata da ogni creatura vivente, che li racchiude entrambi. Ecco perché Yorda, bianca all’esterno, è nera all’interno (pure, in questo stato salva la vita di Ico nel finale), ed allo stesso modo la regina, avvolta in un manto nero e circondata da effluvi di oscurità, ha un volto candido come quello di Yorda: che il suo sia un tentativo estremo di ricostituirsi come unità di luce ed ombra, ovvero come essere completo, dopo che per qualche ragione ignota si era scissa in due entità separate? Non è dato saperlo, ma è lecito supporlo dato che il tema della dualità sarà centrale anche nelle successive opere di Ueda.
È in arrivo sulle nostre pagine un articolo dedicato alla spiegazione del finale di Shadow of the Colossus; aggiungerò un collegamento diretto quando sarà pubblicato, invitando alla lettura chiunque non abbia conoscenza approfondita della narrativa di gioco. Qui è sufficiente ripetere brevemente alcuni punti chiave: il protagonista Wander entra nella Terra Proibita, portando con sé il corpo inerme dell’amata Mono. Antiche leggende narrano che in quella Forbidden Land sia possibile resuscitare i morti. Dormin, il Dio che abita il tempio proibito, vuole stringere un patto con Wander: se il ragazzo abbatterà i 16 colossi che abitano quella terra, Dormin resusciterà la fanciulla. Ogni uccisione comporta la fuoriuscita di energia oscura dal corpo dei colossi, energia che viene assorbita da Wander. Il piano di Dormin è chiaro: incarnarsi nel ragazzo, assumendo finalmente una forma fisica. Il suo piano è però sventato da Lord Emon, che arriva proprio in quel momento al tempio, con guardie al seguito.
Lo sciamano lancia un potente incantesimo di luce che risucchia il demone oscuro, obliterandolo, ma fa anche crollare il ponte di accesso alla Forbidden Land, ora isolata per sempre. Proprio quando tutto sembra finito Mono apre gli occhi, viva. C’è anche un’altra sorpresa: al posto di Dormin e di Wander, entrambi svaniti, è comparso un neonato cornuto. Mono lo prende tra le sue braccia e, assieme al destriero Agro, ascende fino al giardino segreto del tempio, un Eden in cui i tre sono accolti da alberi da frutto e animali inoffensivi: la vita è tornata a fiorire in quelle lande desolate.
Una vita per una vita, anzi due: l’abbattimento dei colossi provoca la ricostituzione della forma fisica di Dormin, che era stato diviso in 16 parti e reso inoffensivo; tuttavia il rituale ha anche riportato in vita Mono; c’è però da chiedersi se essa sia veramente la stessa ragazza che Wander ha conosciuto ed amato. Dormin stesso, infatti, è un’entità duale: parla di sé al plurale e la sua voce è doppia, maschile e femminile. Come la regina di Ico, anche Dormin consiste di una parte di ombra, imprigionata nei colossi, ed una di luce, attraverso cui comunica con il protagonista. É dunque lecito ipotizzare che, nel momento in cui l’Ombra si incarni in Wander, la Luce prenda possesso del corpo di Mono. Ciò è più di un sospetto, dal momento che nel corso della prima interazione tra Wander e Dormin, quest’ultimo irride il ragazzo ed il suo proposito di riportare alla vita l’amata:
Le anime che sono andate perdute non possono essere più recuperate… non è forse questa la legge dei mortali? Tuttavia con quella spada… potresti riuscirci. (…) Ovviamente a patto di fare ciò che ti chiediamo.
Dormin – Dal primo dialogo tra Wander e Dormin.
Dormin quindi non dice esplicitamente di avere il potere di ridare vita ai morti. La battuta “Potresti riuscirci”, che in inglese ha invece forma impersonale (“it may not be impossible”), indica infatti che sia il rituale stesso a provocare la resurrezione: della ragazza e di Dormin stesso, come abbiamo visto. Il patto che Dormin propone a Wander sarebbe quindi doppiamente ingannatorio: non solo cela a Wander la controindicazione della sua possessione da parte dell’entità oscura, ma anche il fatto che la Mono “risorta” non sarebbe affatto la fanciulla amata, bensì la componente femminile dello stesso Dormin. Questa supposizione accrediterebbe ancor più la fan theory che riconosce in Mono la regina di Ico, inesorabilmente legata tanto all’oscurità quanto ai bambini maledetti, la cui stirpe ha origine proprio nel finale di Shadow of the Colossus.
Riguardo al fatto che Shadow of the Colossus sia un prequel di Ico, non vi è praticamente dubbio. Come sappiamo Fumito Ueda è estremamente restio a fornire qualsiasi informazione circa l’interpretazione dei suoi giochi o anche solo i collegamenti narrativi fra di essi. Tuttavia, nel corso di un’intervista ha ammesso sia che entrambi i giochi condividono lo stesso storyworld, sia che il bimbo del finale sia il capostipite della stirpe dei bambini maledetti, il che basta a collocare la narrativa del gioco in un tempo precedente ai fatti svoltisi in Ico. Resta invece qualche dubbio circa il “destino maledetto” di Mono profetizzato da Lord Emon, che ne ha resa necessaria l’uccisione. Si potrebbe pensare che Emon presagisse la futura trasformazione di Mono in strega ed abbia perciò deciso di sacrificarla, inconsapevole però che proprio questa decisione avrebbe scatenato gli eventi che avrebbero portato all’avveramento della profezia stessa. Il gioco non approfondisce questo aspetto della vicenda, destinato a rimanere il più misterioso e aperto alla libera interpretazione.
NB: nel gioco la parola “Trico” indica sia la bestia co-protagonista dell’avventura, sia ciascun individuo della stessa specie, configurandosi quindi sia come nome proprio che come nome generico. Per evitare problemi di comprensione del testo, ho deciso di adottare la seguente distinzione: “Trico” per il co-protagonista e “trico” per qualsiasi altro esemplare.
Un ragazzo senza nome si risveglia in un luogo ignoto: una grotta semibuia, al cui centro vi è un’enorme catena. In breve tempo il ragazzo si rende conto che alla catena è legata una enorme “bestia mangia-uomini: Trico”. La bestia, una chimera con caratteristiche che ricordano cani, gatti e uccelli, sanguina per delle lance conficcate in vari punti del corpo. Con titubanza il ragazzo libera la bestia dalla catena e dalle lance. Piano piano i due collaborano per esplorare la grotta. Il ragazzo capisce ben presto di trovarsi molto lontano da casa: Trico infatti lo ha rapito, strappandolo al suo villaggio natale nel corso di una sortita notturna. In volo lo ha portato nel Nido, un enorme cratere dalle pareti rocciose insormontabili per gli esseri umani, che ospita al suo interno delle strutture artificiali in rovina, opera di una civiltà sconosciuta. Ormai prossimo alla meta, Trico è però colpito da un fulmine, che ne provoca la precipitazione.
Ora il ragazzo è determinato a scalare la torre più alta di queste antiche vestigia, in cerca di una via di fuga verso l’esterno. Trico, ormai affezionatosi al nostro protagonista, lo aiuterà nell’impresa. Il nostro eroe scoprirà di poter utilizzare la coda della bestia come un’arma: tramite l’utilizzo di un artefatto misterioso a forma di scudo, rinvenuto all’interno di quella che sembra essere la camera sepolcrale di un antico abitatore del Nido, il ragazzo è in grado di far scaturire dall’estremità della sua coda un raggio energetico dal potere distruttivo, che permetterà di farsi largo tra ostacoli ambientali, automi che tentano a più riprese di fermarli ed altri esemplari ostili di trico. Giunto sulla cima della torre, il ragazzo si imbatterà in ciò che lui chiama “Signore della Valle”: un nucleo energetico che controlla tutti i trico tramite degli impulsi radio: la torre infatti non è altro che una gigantesca antenna, retaggio di un popolo ancestrale, forse extraterrestre, dalla sofisticata tecnologia.
Il Signore della Valle, dunque, utilizza i bambini rapiti come fonte di energia e i trico per approvvigionamento e attacco: nel finale del gioco le bestie assaltano Trico, a cui è amputata la coda. Quando tutto sembra perduto, il nostro protagonista usa proprio la coda mozzata della bestia per indirizzare una scarica energetica contro il Signore della Valle, che ne viene distrutto. L’antenna crolla e le bestie cadono inermi, liberate dal controllo mentale. Trico raccoglie le sue ultime energie per salvare il piccolo amico e ricondurlo al villaggio natìo. Qui il ragazzino, semi-incosciente e raccolto dai nativi, ordina a Trico di andarsene, per la sua stessa incolumità. Trico vola via e i due non si rivedranno mai più. Si arriva così ad un tenero epilogo in cui, molti anni nel futuro, al villaggio viene rinvenuto, sotto strati di fango, lo scudo magico che doveva essersi perso nei concitati momenti del salvataggio di cui sopra. Il ragazzo, divenuto ormai adulto, riconosce subito l’oggetto, e lo innalza al cielo. Molto lontano, nel Nido ancora intatto, nel buio della grotta dove tutto ha avuto inizio, quattro grandi occhi baluginano nell’oscurità: Trico è vivo, e fortunatamente non è solo.
The Last Guardian è un racconto fiabesco dalla trama estremamente lineare e ben più esplicito dei due giochi precedenti. Il suo finale, inoltre, è inequivocabilmente un lieto fine, del resto non c’è nemmeno un vero e proprio villain nel gioco – si tratta in definitiva di spegnere un apparecchio rimasto acceso. Allora cosa c’è da spiegare? Dal punto di vista dell’intreccio, assolutamente nulla: gli eventi sono chiari ed esaustivi. Rimane tuttavia da indagare la correlazione tra questo gioco e i precedenti: The Last Guardian appartiene allo stesso universo narrativo di Ico e Shadow of the Colossus? Se sì, dove si colloca temporalmente? Gli eventi narrati da questo gioco hanno delle ripercussioni sui precedenti e/o viceversa? Speculiamo!
Nelle prime battute del gioco recuperiamo lo scudo magico all’interno di quella che ha tutta l’aria di essere una camera sepolcrale. Una misteriosa energia sembra permeare l’intero spazio, sotto forma di luce azzurrognola. Che il luogo sia pregno di energia è suggerito dalla presenza di una piscina rotonda, del tutto simile a quella presente nel tempio di Shadow of the Colossus, utilizzata da Lord Emon nel rituale di segregazione di Dormin. Dunque chi è l’essere sepolto nella tomba? Può avere un collegamento con Dormin? Ci sono vari indizi che suggeriscono una correlazione.
L’anagramma di “Dormin” è “Nimrod”, nome del leggendario re biblico responsabile della costruzione della Torre di Babele. Tuttavia è evidente che l’antico re biblico sia stata fonte d’ispirazione anche per The Last Guardian. Il parallelismo tra la Torre di Babele e la colossale torre di comunicazione è palese: oltre ad essere l’edificio più alto di tutti è anche l’emittente di un segnale radio che chiama a raccolta i trico. Nella tradizione veterotestamentaria, Nimrod è anche descritto come sovrano cacciatore e conquistatore. In effetti vari elementi in cui ci imbattiamo nel corso dell’avventura fanno pensare di trovarsi di fronte ad un enorme arsenale da battaglia, retaggio di un popolo guerriero: i trico sono animali manipolati e corazzati, trasformati in vere e proprie armi viventi, ed inoltre tutta la valle è popolata da automi guerrieri, oltre che probabili operai e costruttori di tutti gli edifici.
Nella Divina Commedia, inoltre, Dante descrive Nimrod come un gigante (rifacendosi ad una tradizione radicata in epoca medievale), e non c’è dubbio che le dimensioni del sarcofago su cui è adagiato lo scudo siano fuori misura per un essere umano. Secondo altre fonti, Nimrod avrebbe sposato la leggendaria regina mediorientale Semiramide, dando vita a Tammuz, dio mesopotamico associato al raccolto, al pascolo dei bovini ed alla fertilità animale e vegetale. Che ciò abbia ispirato Ueda per il finale di Shadow of the Colossus, con la “rinascita” di Wander/Dormin in forma di bimbo con le corna e la presenza, in cima al tempio, del giardino segreto, unico rigoglio di vita nella desolazione della Forbidden Land? Insomma gli indizi suggeriscono un’identificazione tra le figura del gigante di The Last Guardian e Dormin!
Dunque dove si colloca temporalmente la narrativa di gioco? In base a tutto ciò che è stato detto, le vicende di The Last Guardian non possono che avvenire prima di quelle di Shadow of The Colossus. Ciò sia per lo stato di conservazione delle strutture e degli edifici che incontriamo in TLG, assai più integri delle rovine di SotC, sia per il fatto che Dormin è annientato alla fine di quest’ultimo. Ci sono poi altri fattori che finora non abbiamo considerato: in TLG non c’è traccia di bambini con le corna, né è in alcun modo menzionata una maledizione. Inoltre, gli uomini non sembrano essere mai entrati in contatto con alcuna forma di magia, cosa che avviene per la prima volta al termine del gioco, con il ritrovamento dello scudo. Noi giocatori siamo a quel punto consci che la “magia bianca” non è altro che una forma di energia sintetizzata dai macchinari del Nido. Ma è evidente che i personaggi del gioco non sono in grado di capire tutto ciò, e agli occhi loro e del protagonista i poteri misteriosi dello scudo e delle strutture artificiali incontrate non possono che essere magici.
Lo stesso Signore della Valle, come lo chiama il ragazzino, non è altro che un nucleo energetico che alimenta l’antenna di trasmissione: l’equivalente di una grossa batteria, dalla quale non traspare alcuna forma di intelligenza (stessa cosa per la “magia nera”: non sarebbe altro che un diverso tipo di energia, potremmo dire di polo opposto rispetto a quella bianca, utilizzata con funzione isolante; essa infatti ingloba il nucleo energetico e ne previene urti e danneggiamenti), ed una simile forma di accumulatore di energia si ravvisa tale e quale in Ico, precisamente nelle sfere poste al di sopra del portone di ingresso del castello.
Probabilmente l’energia accumulata serve ad alimentare il sarcofago in cui riposa il gigante, sospeso forse in uno stato di ibernazione. Possiamo fantasticare sfrenatamente sul perché del suo stato: si tratta di una creatura aliena, precipitata sulla Terra a bordo della sua navicella, il cui impatto ha dato origine al gigantesco cratere? Oppure è solo uno dei tanti individui appartenenti ad una razza ancestrale che abitava il pianeta fin da tempi remoti e che si è ormai pressoché estinta, con qualche ultimo superstite che ha tentato di ritardare il più possibile la propria scomparsa? Quest’ultima ipotesi spiegherebbe la presenza di molteplici siti tombali (la piscina di TLG non può essere la stessa di SotC, a meno che non siano passati addirittura milioni di anni, durante i quali la morfologia del territorio è cambiata completamente) e la loro trasformazione in luoghi di culto da parte degli umani. Quello che è evidente è che The Last Guardian sia un invito a riflettere sui rapporti tra natura e tecnologia, sottolineando opportunità e rischi della seconda applicata alla prima. La tecnologia è infatti moralmente neutra: la sua positività o meno sta nell’intenzione di chi ne fa ricorso.
La riflessione circa opportunità e rischi correlati alla tecnologia è evidenziata dal nocciolo del gameplay: la collaborazione tra il ragazzino e Trico. L’animale è infatti sia una risorsa che un’arma, sia docile che distruttivo. Il controllo mentale operato sui trico permette di disporne come agenti di morte, ma in teoria permetterebbe anche il loro utilizzo a fin di bene. In ogni caso è evidente come Ueda giudichi negativamente l’applicazione della tecnologia per imporre il controllo su esseri viventi da parte di terzi. Il compito dei trico è l’approvvigionamento di energia tramite il rapimento di bambini destinati ad essere “spremuti” per estrarne la preziosa energia bianca, e gli stessi trico sono sacrificabili quando non più responsivi ai comandi e dunque “inutilizzabili”. Ma ecco un esempio di applicazione positiva della tecnologia: le corazze che rivestono i trico sono estremamente simili a quelle che ricoprono i colossi, che come sappiamo sono involucri per i frammenti in cui è stato diviso Dormin. É dunque chiaro che i colossi siano una creazione umana, a partire dalla tecnologia aliena/ancestrale rinvenuta fortunosamente in un tempo successivo al finale di TLG.
In questo caso però il fatto che i colossi siano armati e pericolosi non è per una funzione di arma da guerra, bensì per autodifesa: la loro creazione in assetto da combattimento è volta esattamente ad impedire la loro distruzione, preludio alla ricostituzione di Dormin. La creazione dei colossi è insomma propedeutica al mantenimento della pace e alla salvaguardia della vita del villaggio. Dunque il raffronto tra TLG e SotC è esemplificativo dell’idea della neutralità della tecnologia propria della poetica di Ueda.
Abbiamo abbastanza elementi per divertirci a tentare una sintesi: tanto tempo fa un popolo di giganti abitava il mondo. Dotati di raffinate tecnologie, i giganti erano in grado di estendere il proprio controllo su qualsiasi creatura vivente, magari addirittura di tentare con successo esperimenti di ingegneria genetica [il bestiario fantastico che accompagna i titoli di testa di TLG potrebbe essere interpretato come un catalogo dei successi dei giganti in questo campo]. Inesorabilmente però, la gloria del mondo passa: per motivi ignoti il popolo si estingue, ma almeno un individuo riesce a sopravvivere in stato di ibernazione. Dormin si rende conto di poter sopravvivere reperendo energia vitale da una specie in particolare, che ha fatto capolino nel mondo: gli inermi umani, per i quali anche un singolo trico rappresenta un invincibile bestia mangia-uomini.
Questi popoli primitivi, si abituano a considerare l’occasionale rapimento di bambini da parte delle bestie come un sacrificio necessario al mantenimento dello status quo, forse anche a giudicarlo un volere divino. Questo finché la singolarità degli eventi narrati in TLG cambia le carte in tavola: gli uomini hanno finalmente accesso a quella che loro considerano magia. Nel corso di decenni, forse secoli, esplorano il pianeta e lo dominano, riscoprono antichissime piscine di energia, vestigia dei sepolcri dei giganti, e vi edificano attorno templi per svolgere riti sacri. Nel Nido, nel frattempo, l’energia è venuta a mancare. Il sarcofago non può più alimentare il gigante dormiente, quindi si apre per rilasciarlo. Dormin si risveglia, debolissimo, informe, un essere che brama disperatamente di risucchiare energia vivente per non soccombere. Attacca gli umani, che ne sono atterriti, finché uno sciamano, il più edotto nelle arti magiche, riesce a sconfiggerlo con l’aiuto di una spada imbevuta di magia/energia bianca.
Lo sciamano smembra il corpo di Dormin in 16 parti e, ricorrendo a tutta la sua sapienza, imbriglia ciascuna parte in un involucro senziente e corazzato, sigillato dalla magia bianca e in grado di difendersi: sono i colossi, entità attorno a cui vengono edificate strutture di difesa affinché Dormin non possa liberarsi mai più. Col passare degli anni, però, la terra inaridisce, le risorse scarseggiano, e gli umani sono costretti ad abbandonare quei territori in cerca di posti più ospitali. Si decreta che nessuno dovrà mai più mettere piede in quelle che verranno d’ora in poi definite Terre Proibite. Passano le generazioni e si perde molta della conoscenza antica, ma la prescrizione continua a valere. Tuttavia, l’attuale sciamano Lord Emon è turbato: presagisce sventura proveniente da una ragazza del villaggio, di nome Mono. Non c’è altro da fare, bisogna agire: Mono è sacrificata per il bene del villaggio. Ma Lord Emon non ha tenuto conto di un giovane ragazzo innamorato della fanciulla, disposto a sacrificare tutto e tutti pur di riaverla: Wander.
Wander sconfina nelle Terre Proibite, e Dormin trova finalmente l’occasione che cercava. Inganna il ragazzo, che distrugge i colossi e permette a Dormin di reincarnarsi, seppur in forma duale, in Wander e Mono. Emon ricorre ad un rituale d’emergenza che annichilisce l’Ombra di Dormin, riducendolo ad un innocuo bimbo cornuto. Dormin/Mono, forse guidata da un residuo di amore della fanciulla di un tempo nei confronti dell’amato Wander, riesce a far pervenire il neonato al villaggio degli umani, salvandolo. Per farlo sfrutta i varchi scaturiti dai punti di intersezione energetica aperti in quelle lande, già utilizzati da Wander come mezzo di teletrasporto.
Passa ancora molto tempo. Dormin/Mono ormai è vecchia, corrotta dallo spirito del gigante bramoso di riacquisire l’antico potere, di riunirsi in un’unica entità. Ma sarà davvero possibile? La sua componente oscura, ormai diluita in generazioni di umani, sembra irrecuperabile: la stirpe maledetta è condannata a trasmettere il seme oscuro del gigante di generazione in generazione attraverso i bambini con le corna. Forse è proprio questa la chiave: presentarsi agli umani come Regina, farsi costruire un castello dietro la promessa di occuparsi di quei bimbi maledetti, farseli portare ogni volta che ne nasce uno, incanalare la loro energia all’interno di un involucro senziente, in attesa del momento propizio per tentare un’operazione di alta tecnologia: ricostituirsi come Dormin riunendo la sua dimensione di Luce a quella di Ombra, ovvero Yorda e la Regina. Ma sappiamo che il destino, nei panni di Ico, ha deciso diversamente.
Al termine di questo excursus sulla narrativa dei tre giochi, è ovvio che qualsiasi tentativo di sintesi deve essere inteso per puro diletto: nonostante alcuni punti fermi, questa ricostruzione è in buona parte dovuta alla mia personale inventiva, e non è né più né meno valida di numerose altre teorie fioccate nel corso degli anni, che un lettore appassionato può divertirsi a rintracciare sul web. Uno dei motivi di maggior fascino delle opere di Fumito Ueda è la peculiarità di essere opere narrativamente aperte, le cui suggestioni estetiche ed i numerosi spunti di riflessione tematici sono stati in grado di alimentare per anni (e continueranno senz’altro a farlo in futuro) l’immaginazione di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di immergervisi.
This post was published on 12 Febbraio 2021 11:00
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