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Shadow of the Colossus| Spiegazione del finale

Tanti sono i racconti videoludici che nel corso degli anni hanno provato a farci entrare nella mente di un eroe impegnato in un’impresa straordinaria fatta di coraggio e spirito di sacrificio dalla quale può dipendere il destino di varie persone, quello di un popolo o, semplicemente, quello della propria amata.

Shadow of the Colossus, epico e anomalo open-world di Fumito Ueda uscito per la prima volta nel 2005 e tanto amato da meritarsi varie remastered e persino un remake, è una di queste storie. Anzi, quasi sicuramente una delle migliori del suo genere, merito della bellissima combinazione fra un setting affascinante, un gameplay accattivante e peculiare e uno stile narrativo poetico e malinconico.

Una formula perfetta con una ciliegina sulla torta davvero invitante: uno dei finali più emozionanti e per certi versi enigmatici della storia del videogioco, che tenteremo di analizzare in questo approfondimento.

Preparate il vostro cavallo migliore e affilate la spada: il nostro viaggio comincia!

Shadow of the Colossus: la trama

Correre come il vento verso la madre di tutte le sfide

La storia di Shadow of the Colossus è la storia di Wander, un giovane guerriero di un mondo fantastico del quale non ci viene raccontato molto, ma che sembra simile alla nostra età degli eroi, a cavallo fra preistoria e prime civiltà.

La vicenda di SotC è facile da spiegare e gran parte della trama ci è chiara già a partire dalla bellissima intro. Quando lo conosciamo, Wander sta viaggiando sul suo cavallo, Agro, in direzione di un tempio sperduto in una landa desolata e ricca di rovine di una civiltà che sembra caduta da molto tempo.

Il Sacrario del Culto, enigmatico tempio al centro della storia

Ha con sé qualcosa, qualcosa al quale tiene molto e che una volta arrivato al tempio adagia con rispetto quasi solenne su un altare nella sala principale: è un corpo avvolto in un sudario, il cadavere di una bellissima giovane che l’eroe sembra guardare con sguardo innamorato e rammaricato. È il corpo di Mono, una ragazza del suo villaggio che, possiamo intuire da qualche indizio sparso, è stata sacrificata dai religiosi del villaggio per qualche motivo.

Lo scopo di Wander viene svelato da un flashback e dall’intervento di una strana entità che sembra vivere nell’antico tempio, Dormin: Wander sembra deciso a mettere in atto un rituale che prevede l’uccisione di sedici creature mitologiche sparse nel vasto territorio attorno al tempo, sedici colossi che Wander dovrà raggiungere, scalare, uccidere.

Wander e Mono in una fanart di Lucky Channel (https://www.zerochan.net/user/Lucky_Channel)

Un rituale al termine del quale Wander otterrà ciò che più brama: far tornare Momo nel mondo dei vivi.

L’avventura di Wander è straordinaria.

Nel corso di un indimenticabile viaggio nelle lande desolate, il giocatore affronta i colossi in una serie di battaglie emozionanti contro le sedici creature, battaglie che fanno sorgere sentimenti contrastanti nel giocatore: all’adrenalina dello scontro e all’entusiasmo per vittoria si aggiunge a volte una certa malinconia e forse l’impressione che la nostra avventura non sia poi così positiva e gloriosa come può sembrare.

Alcuni dei colossi infatti non hanno soltanto un aspetto non così “ostile” come sembra, ma addirittura a volte non possono neanche reagire ai nostri attacchi.

Warden, eroe solitario per antonomasia

L’impressione che abbiamo a un certo punto è addirittura che la nostra impresa avrà conseguenze molto più problematiche di quel che pensiamo, soprattutto quando cominciamo a vedere alcuni segnali strani: la voce di Dormin lancia segnali sempre più enigmatici, strani cavalieri mascherati si avvicinano al tempio (probabilmente in cerca di Wander e della ragazza, Mono) e soprattutto il fatto che ogni volta che abbattiamo un colosso una strana melma nera abbandoni le sue spoglie e si insinui nel nostro corpo, facendoci cadere in un torpore profondo e poi risvegliare nel tempio.

Uno strano cammino che prosegue fino all’abbattimento del colosso Malus, una sorta di enorme torre vivente la cui sconfitta richiede a Wander (e al giocatore) uno sforzo immane prima che l’eroe si ritrovi di nuovo nella sala del tempio.

Shadow of the Colossus: il finale

Wander però non è solo: con lui ci sono gli strani cavalieri mascherati, le ombre scure dei Colossi abbattuti e, soprattutto, la linfa scaturita dalle creature ha ormai fatto diventare la pelle del nostro eroe scura e mortifera. È allora che il destino dell’eroe si compie: la linfa nera fa sì che Wander diventi Dormin, un mostruoso colosso dalle fattezze di minotauro che ha in sé gli spiriti di tutti i suoi sedici “fratelli minori”.

Warden, tramutato nella reincarnazione di Dormin, scatena la sua furia

Da eroe qual era, Wander si ritrova improvvisamente “villain”, fatto che costringe gli incappucciati a confinarlo all’interno di una fonte all’interno del sacrario del culto e a fuggire.

Mentre la disperazione assale il giocatore, tuttavia, accade ciò che ha sperato per tutto il gioco: l’impresa non è stata vana, Mono torna alla vita e, assieme ad Agro (sopravvissuto per miracolo a una rovinosa caduta) se ne va da questo luogo sacrilego, ma non prima di aver fatto una scoperta straordinaria.

Nella fonte all’interno della quale Wander è stato confinato, ora prosciugata, trova infatti un bambino, un neonato con un paio di strane corna che spuntano dal cranio.

Mono, al termine del gioco, stringe il bimbo nato dal sacrificio di Wander (fan-art di maekakekamen)

Che sia Wander, reincarnato in una nuova, innocente vita dopo aver salvato Mono? Non lo sappiamo, ma lieti assistiamo al trio che assiste al ritorno di animali e vegetazione all’interno del sacrario, come se la fine dei Colossi avesse riportato la vita in questa landa desolata.

Shadow of the Colossus: la spiegazione del finale

Cos’è successo a Wander?

Cos’è la strana linfa nera che, scaturita dai Colossi, lo fa infine diventare a sua volta uno di loro, anzi forse una letale fusione di tutti loro?

Una risposta ce la dà Lord Emon, il comandante dei soldati che giungono al tempio per fermare il rituale di Wander: “Sei stato usato”.

Già, la verità è questa: l’impressione è che l’entità conosciuta come Dormin abbia utilizzato Wander per far sì che uccidesse i sedici colossi con un obiettivo occulto, ovvero far sì che la loro linfa vitale si incarnasse nel giovane guerriero e andasse a creare una sorta di uber-colosso. Un uber-coloso che altro non è che Dormin stesso.

Ma la storia di Warden non è quella di uno sconfitto, un perdente, tutt’altro. Il suo cammino lo porta alla distruzione, certo, ma anche a riportare in vita la donna che ama.

L’impresa di Warden è quindi una grande storia sull’amore e sull’ossessione che può scaturire da quest’ultimo: per quanto puro, mosso da nobili intenzioni e da un intento nobile, Warden emerge come un un eroe tragico, vittima della sua stessa nobile missione.

Alla fine, tuttavia, la salvezza dell’amata redime Warden, cancella il peso della sua ossessione e persino quella dei suoi atti, sospesi fra eroismo e un quasi perverso antropocentrismo. Per arrivare al suo scopo, Warden ha infatti dovuto sacrificare delle creature viventi e quasi sacre, un atto che può sembrare dissacrante.

Shadow of the Colossus: un’interpretazione biblica

C’è poi, tra le pieghe di questo racconto, anche un significato un po’ più “occulto”, anzi diciamo pure biblico, legato all’identità di Dormin e alla missione che dà a Warden. 

Se infatti facciamo il tentativo di leggere il nome “Dormin” al contrario, ecco apparire davanti a noi “Nimrod”, nome del re babilonese che nell’Antico Testamento viene punito da Dio per la costruzione della Torre di Babele, l’enorme costruzione progettata dagli umani con l’ambizione di radunare tutti gli esseri umani e le genti e di spingersi verso il cielo, raggiungendo Dio.

Un atto che fa sì che i popoli si mescolino e con loro le varie lingue. Nel racconto biblico l’impresa viene però punita da Dio stesso, il cui comandamento agli uomini era piuttosto quello di diffondersi per tutte le terre e di mantenere le proprie diversità linguistiche. Per questo motivo Dio fa crollare la torre, mentre Nimrod viene punito in modo spietato e i frammenti del suo corpo sparsi per il Mondo.

La Torre di Babele secondo Pieter Bruegel il Vecchio (1563)

Un destino simile a quello dell’entità Dormin, i cui pezzi sono stati sparsi per il mondo, inseriti nei corpi dei sedici colossi.

Che la torre di Dormin non sia altro che la Torre di Babele?

A suggerircelo potrebbero essere altri due indizi.

Il primo è il fatto che, sempre secondo tradizione, dopo la sua morte Nimrod si sarebbe tramutato nel Dio del Sole e che nel gioco Dormin appare da un’apertura del soffitto del Sacrario, sotto forma di raggi del sole.

La seconda è nello strano linguaggio usato dai personaggi durante tutto il gioco, che altro non sarebbe che la lingua nata parlata dagli abitanti della Torre di Babele.

This post was published on 24 Febbraio 2021 11:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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