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Speciali

La mafia può essere un gioco | Lettera aperta al deputato Miceli

Onorevole Carmelo Miceli,

Le scrivo a mezzo stampa perché questo sia un messaggio pubblico e chiaro per lei, ma soprattutto per il suo Partito, il Governo intero, l’Opposizione e tutti i Parlamentari presenti e passati che finora non hanno mai alzato un dito in favore dei videogiochi in Italia.

Nella giornata del 26 luglio si è espresso sui social in merito a un videogioco la cui pubblicità su Facebook l’ha infastidita. Per senso di completezza verso i lettori del nostro portale, riporto per intero il messaggio qui, qui e nell’immagine sottostante.

Non posso entrare nei meriti dei compiti che deve svolgere un componente della Commissione Antimafia, né sono in grado di giudicare come combattere la criminalità organizzata perché non ne sono un esperto. Tuttavia, dopo aver letto il suo post, da cittadino italiano, da appassionato di videogiochi, da articolista videoludico e da Dottore in game design sono profondamente indignato e arrabbiato. Io così come tanti nostri lettori e colleghi, fruitori del medium videoludico e lavoratori dietro le quinte dell’industria italiana dei videogiochi.

Com’è possibile che in piena crisi, dopo il periodo terribile che abbiamo passato tra morti e malati e con un tracollo economico all’orizzonte, la preoccupazione di un Parlamentare sia censurare un giochino parodistico di cui, per caso, ha visto la pubblicità su un social network? Un membro della Commissione Antimafia non ha cose più importanti da fare piuttosto che scrivere assurdità sui social che fomentano solo commenti di scherno?

A difesa dei videogiochi

La cosa più triste è che nell’esatto momento in cui lei parlava di cose che non conosce su Facebook, una figura illustre del mondo dei videogiochi, Hideo Kojima, autore giapponese di capolavori visionari come Metal Gear Solid e Death Stranding, è entrato a far parte della giuria di uno dei festival artistici più importanti al mondo quale la nostrana Mostra del Cinema di Venezia, dando un duro colpo a un tabù che, anche grazie a lei, Onorevole, qui in Italia fatica ancora a rompersi: i videogiochi sono una forma d’arte.

Magari non sarà l’esatto caso di questo passatempo sciocco a tema mafia che ha trovato su Facebook, uno dei tanti giochini innocui in cui può imbattersi sul mercato e che vengono utilizzati nei momenti di noia, ma il punto della questione è un altro: siamo nel 2020 ed è giunta l’ora di smetterla di demonizzare i videogiochi.

È arrivato il momento di capire che un videogioco, così come un film, un giornale, un quadro o un qualsiasi altro medium non è in grado di farci diventare assassini, mafiosi, criminali, né eroi, piloti, investigatori o allenatori di Pokémon.

Certo, il videogioco ha in sé la componente interattiva che amplifica la sensazione di immedesimazione, e per questo con soggetti intellettivamente più deboli come i giovanissimi o altre categorie a rischio c’è bisogno di una necessaria protezione, ma questo è un problema che nulla ha a che fare con la censura da lei paventata, e che di certo non può essere risolto da una scenata sui social da chi non conosce l’argomento né gli studi portati avanti da decenni.

Lei che è nella Commissione Antimafia sa sicuramente meglio di chiunque altro che fenomeni come la criminalità organizzata vengono provocati da contesti e meccanismi molto più grandi di un giochetto su cui un utente passa massimo 10 minuti della sua vita come MafiaCity, e per questo motivo le auguro di lavorare al meglio con i suoi colleghi nel contrastarla, per il benessere di tutti.

Le faccio notare anche che giocare richiede una partecipazione attiva alla fruizione di un prodotto o di un’attività sociale, e per questo motivo il giocatore, mediante l’atto di giocare, ragiona. Se lei è in grado di guardare passivamente un film o di leggere un libro e fare le sue considerazioni, si fidi che è perfettamente in grado di attivare la propria mente in una fruizione che richiede più impegno e responsività come il gioco, senza subire alcun tipo di lavaggio del cervello.

I videogiochi e qualsiasi altro medium possono affrontare qualunque tema, anche quello mafioso, purché i messaggi veicolati, se ce ne sono, non diano chiavi di lettura inconfondibilmente sbagliate. E in ogni caso, al netto delle dovute protezioni delle categorie a rischio, ci pensa il fruitore del medium a interpretare il messaggio ricevuto. È così che funziona la comunicazione dall’alba dei tempi, altrimenti non avremmo quadri di nudi, né film gangster o libri horror.

Un gioco come MafiaCity, per esempio, messaggi non ne ha: si tratta di un banalissimo passatempo a tema gangster il cui unico scopo è intrattenere. Quanti di noi da bambini hanno giocato a guardie e ladri in cortile con i propri amici? Un intrattenimento ludico del genere ci ha reso forse dei criminali? MafiaCity, per il suo essere parodistico e in terza persona, si fidi, ha ancora meno potere persuasivo di guardie e ladri. È anche per questo motivo se la stragrande maggioranza dei commenti sotto i suoi post prendono in giro lei e il suo Partito.

A questo punto mi sento di consigliarle un paio di videogiochi che trattano l’argomento mafia in maniera più approfondita di questo MafiaCity in cui si è casualmente imbattuto, opere che attraverso la continua interazione spingono il giocatore a ragionare sul fenomeno criminale.

Alcuni consigli per approfondire il tema mafioso nei videogiochi.

Ci sono tanti giochi che affrontano la criminalità organizzata, come il tanto discusso GTA che nella sua parodia della violenza e dell’arroganza della società statunitense, molto spesso tocca anche l’italica (o italo-americana) mafia, o la serie di Yakuza che si focalizza sulla criminalità organizzata giapponese.

Al di là di GTA e Yakuza, dei videogiochi d’oltre-oceano mi sento di consigliarle la trilogia di Mafia, un must, e in particolare il primo capitolo che tornerà sul mercato in una veste grafica e tecnica rinnovata il 25 settembre, giudicato da molti un caposaldo della storia dei videogiochi. 

L’ovvia ispirazione del videogioco Mafia è quella dei film gangster americani, che come certamente saprà non sono stati in grado di trasformare i suoi miliardi di spettatori in criminali poiché si tratta di opere di finzione. Ci pensa se qualcuno criticasse Sergio Leone per i mafiosi in C’era Una Volta in America?

Mafia: The City of Lost Heaven e capitoli successivi.

Tornando all’argomento trilogia di Mafia, ogni gioco esplora le negatività della criminalità organizzata, facendola vivere al giocatore dal suo interno, in prima persona. Ad esempio, il primo capitolo in particolare dipinge forse la modalità più comune con cui si può cadere nella trappola-mafia: trovarsi in un posto in cui esiste.

Molto brevemente: il tassista italo-americano Tommy Angelo si ritrova casualmente coinvolto in uno scontro tra bande, e per proteggersi da una di queste è costretto a entrare a far parte di quella rivale. La catena di eventi che si sussegue, che ribadisco sarà vissuta in prima persona dal giocatore, porterà Tommy Angelo a fare scelte scellerate e a mettere in pericolo perfino sé stesso e le persone a lui più care.

L’indubbia qualità tecnica del gioco, il pathos della narrazione, la bravura dei doppiatori e la libertà concessa al giocatore portano a doversi interrogare sulle azioni che si stanno compiendo, sul valore dell’amore e dell’amicizia rispetto a quello dei soldi e del potere, e su tutte le altre problematiche sociali e morali derivanti dall’avere a che fare con la criminalità organizzata.

Wheels of Aurelia

Restiamo in Italia. La casa di sviluppo Santa Ragione qualche anno fa ha pubblicato quello che sembrava un giochetto leggero, ma che in realtà poi si è rivelato una piccola perla del mercato videoludico Made in Italy. Wheels of Aurelia, col pretesto di essere un racing game simpatico dai colori vivaci che porta il giocatore ad attraversare in strada l’Italia degli anni ’70 da Roma a Ventimiglia, racconta il travagliato periodo storico degli Anni di Piombo.

I dialoghi e le corse in auto sono scusanti per mostrare al giocatore l’assurda vivacità sociale e politica del nostro Paese in quell’epoca, attraverso personaggi stereotipati e dialoghi in stile fumettistico. La mafia è solo uno dei tantissimi argomenti di discussione del gioco, ma tra il rapimento di Aldo Moro e gli attentati terroristici chi può dire se la criminalità organizzata non sia stata partecipe anche di certi avvenimenti?

Sebbene Wheels of Aurelia non sia propriamente un gioco a tema mafia, la narrazione fa un’accurata ricostruzione storica di quegli anni tormentati che ha vissuto l’Italia, dando al giocatore una panoramica più ampia del contesto in cui cose come la criminalità organizzata hanno potuto proliferare e crescere senza grandi problemi, approfittando della precaria tenuta sociale del nostro Paese e delle difficoltà della vita quotidiana.

Giochi come Wheels of Aurelia donano consapevolezza storica ai giocatori che ci si immergono, e a volte, per la loro natura interattiva e giocosa, opere del genere funzionano anche più dei libri di testo delle scuole.

1977: Radio Aut

Lei, Onorevole Miceli, è siciliano e quindi il titolo di questo videogioco dovrebbe suonarle familiare. Radio Aut era la radio di Peppino Impastato, compianto eroe palermitano che ha perso la vita nella lotta contro la mafia, infiltrata nella sua stessa famiglia.

Si tratta di un videogioco molto basilare, creato in 48 ore dal game designer Alex Camilleri, ora in forze negli studi di Frictional Games (Amnesia) in Svezia, durante una Global Game Jam a Malmö, una competizione amichevole che annualmente vede tutto il mondo sfidarsi in due giorni nella creazione di videogiochi sotto un tema comune.

A differenza dei videogiochi più usuali, 1977 Radio Aut non è affatto intrattenimento, ma una testimonianza sotto forma di gioco del fatto che “la mafia è una montagna di merda“. Per comprendere meglio il gioco, oltre a consigliarle di giocarlo attraverso questo link, le lascio la descrizione che ne fa Alex Camilleri.

Per moltissimo tempo ho sognato di realizzare un gioco anti-mafia sulla Sicilia. Credo sia importante utilizzare il medium del videogioco come veicolo di cultura capace di oltrepassare i confini che separano i nostri paesi. Nonostante i miei migliori sforzi, tonnellate di appunti e costante ricerca, mi sono sempre sentito profondamente sopraffatto dalla complessità di questo tragico capitolo di storia, e ho spesso avuto paura di non riuscire a presentare il tutto con il dovuto tono. Lo scorso weekend, durante la Global Game Jam 2018, ho deciso di dover usare un approccio diametralmente opposto, facendo qualcosa di molto piccolo e molto semplice, e usarlo per raccontare la storia di uno dei miei più grandi eroi, Peppino Impastato. Questa è 1977: Radio Aut, la storia di un bambino nato in una famiglia mafiosa ma che ha deciso di spendere la sua vita nel combatterla con ogni mezzo possibile.

A proposito di videogiochi italiani

Le ho appena mostrato 3 tipi di videogiochi completamente diversi tra loro, che affrontano la questione mafia in modalità differenti. Sono solo alcune delle tante possibilità in cui può imbattersi impugnando un gamepad, esattamente come una possibilità scialba ma legittima e per niente pericolosa è quella di MafiaCity.

Il motivo per cui le ho portato proprio due esempi italiani in contrasto con un gioco “Tripla-A” americano è proprio per farle notare la differenza tecnica e grafica. Gli Stati Uniti hanno forse l’industria del videogioco più sviluppata al mondo, ma sono tanti i paesi che partecipano attivamente a quella che ormai è la più grande e redditizia industria dell’intrattenimento. E noi? Dove si colloca l’Italia nel mercato globale dei videogiochi?

L’IIDEA, associazione che rappresenta l’industria dei videogiochi in Italia, ha evidenziato un giro d’affari pari a 1 miliardo e 787 milioni di euro nel 2019, con un tasso di crescita dell’1.7%. Quanti di questi soldi circolano nel nostro territorio per finanziare nuovi progetti videoludici Made in Italy? Non ho trovato dati sui numeri, ma le assicuro che sono molto pochi.

L’Italia è una grande consumatrice di videogiochi, ma in quanto a produzione non è al passo col resto del mondo. Al netto dei tanti talenti e dei progetti di qualità che in questi anni si sono affacciati sul mercato, l’industria italiana è composta per la maggior parte da un tessuto di piccole case indipendenti che faticano a portare avanti i propri progetti perché non ha alcun supporto economico dalla politica che dovrebbe occuparsi del suo sviluppo. Certo, c’è chi riesce a godere di un giusto e meritato successo con idee geniali e impegno incontestabile, ma pensi alla vivacità che potrebbe avere il nostro territorio se ci fosse il supporto economico della politica. Stiamo pur sempre parlando del settore dell’intrattenimento più grande e redditizio al mondo.

Il First Playable Fund stanziato per sostenere la produzione dei videogiochi post-covid è stato un primo passo, ma troppo piccolo per sostenere un mercato enorme, molto competitivo e in continua crescita. Fossi in lei, invece di portare un’interrogazione parlamentare su un videogioco che ha meno influenza di guardie e ladri sui più giovani, mi interrogherei sui motivi per cui la produzione dei videogiochi è così scarsamente considerata dalla politica.

Guardi cosa è successo in Polonia negli ultimi anni, per esempio, dove una singola casa videoludica, CD Projekt RED, grazie al suo successo, ha convinto gli investitori sul territorio a finanziare l’intera industria. Adesso la Polonia è uno dei paesi più competitivi e sempre più progetti e sviluppatori di videogiochi si affacciano sul mercato globale.

Se le dà fastidio un giochetto come MafiaCity, le consiglio a questo punto di chiedere al Governo di stanziare qualche fondo per la produzione di videogiochi che sensibilizzino l’utenza all’argomento lotta alla mafia invece di ricorrere alla censura. Le assicuro che in un periodo storico in cui le pensioni hanno superato gli stipendi, troverebbe una sicura adesione a un’iniziativa del genere, così magari ragazzi come Alex Camilleri non devono emigrare dalla vostra Sicilia fino in Svezia per trovare lavoro nel campo in cui si sono specializzati, e possono contribuire a portare soldi nelle casse dello Stato e a far crescere la nostra industria.

I videogiochi non sono solo il futuro, sono il presente.

Confido che questa lettera abbia stimolato lei e chiunque l’abbia letta a considerare il videogioco non solo come arte e intrattenimento, ma anche come una grande opportunità di crescita culturale ed economica.

Distinti Saluti,
Un videogiocatore indignato

This post was published on 27 Luglio 2020 13:25

Alessandro Colantonio

Game designer in erba e chitarrista a tempo perso. Nasce all'ombra del Vesuvio nel 1991, muove i suoi primi passi nel mondo dei videogiochi su un Windows 95 all'età di 5 anni, e diventa presto un Allenatore di Pokémon. Bazzica tra radio web e band durante i suoi studi universitari tra Napoli, Roma e Milano, si parcheggia nella fan-community di Pokémon Milennium dove instaura il suo regime dittatoriale da caporedattore, costruendo una macchina da recensioni e contatti e diventando inconsapevolmente PR. Oggi, oltre a prestare le sue dita a Player.it per articoli, recensioni e approfondimenti, figura anche come streamer di Twtich, content creator di TikTok e PR abusivo. I suoi generi preferiti sono i gestionali, gli strategici, i tattici e i GDR. Ma essendo un accumulatore seriale di videogiochi, cerca sempre di giocare ogni titolo che gli capita sotto mano. Ha una perversione per le pratiche fandom, i cani e la birra artigianale. Adora D&D, va in ira e carica.

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