«Io combatto per ristabilire il mio onore. Al contrario di te, a cui hai rinunciato per paura», disse Lupo in tono freddo, stringendo l’elsa decorata di Kusabimaru.
Jin, udendo quelle parole, alzò lo sguardo. La maschera dello Spettro gli stava troppo stretta. La tolse lentamente. «Se tu sapessi quello che ho visto e perché ho agito in questo modo, capiresti le mie scelte. E non sono poi tanto diverse dalle tue, Shinobi del Drago.»
In questo ipotetico dialogo tra Lupo e Jin, notiamo due uomini completamente diversi ma simili nel loro fine. Vediamo perché analizzando i due giochi di cui sono protagonisti Ghost of Tsushima e Sekiro: Shadows Die Twice.
Scegliere di paragonare un titolo a un altro diventa spesso un paradosso. Nel caso dei 2 giochi citati però il paragone diventa più semplice grazie ad un unico comune denominatore che li avvicina nonostante le differenze di gameplay: il Giappone.
Ghost of Tsushima è ambientato durante le invasioni mongole (1274-1281), nel vano tentativo di Kublai Khan di mettere in ginocchio il Giappone. Non prevedendo affatto i due tifoni che colpiranno la sua flotta da sbarco, ogni azione ulteriore risulterà un fallimento.
Sekiro: Shadows Die Twice è invece ambientato nel belligerante Periodo Sengoku (1232-1603) retto dai Signori della Guerra nipponici. Mentre del Clan Sakai del protagonista di Tsushima non esistono prove di esistenza certa, il Clan Ashina di Sekiro è esistito veramente ed è stato uno dei rami cadetti più importanti del Giappone Feudale.
Ghost of Tsushima e Sekiro: Shadows Die Twice non hanno però in comune soltanto il Giappone, ma condividono anche un ecosistema di tradizioni e leggende. Una cultura fondante, fatta di storia e shintoismo, di cui noi occidentali viviamo solo una piccola parte grazie alle figure degli onorevoli samurai, dei letali shinobi o degli onnipotenti shogun, arrivate fino alla nostra terra tramite la letteratura, il cinema e, per ultimi, i videogiochi.
La narrazione di Sekiro: Shadows Die Twice è marginale, ma presente in ogni suo anfratto. Viene scoperchiata adagio e si scopre nel viaggio di Lupo attraverso le Terre di Ashina. Viviamo la sua storia un passo alla volta. Comprendiamo la minaccia di chi possiede il Retaggio del Drago. Chi lo brama è pronto a tutto, persino a rinunciare alla propria umanità. Lupo tenterà di salvare Kuro, il suo signore, per proteggerlo da chi desidera il suo sangue per diventare immortale.
Il modo narrativo scelto per l’interpretazione della storia si avverte dall’introduzione: viene spiegato il Periodo Sengoku in un’ampia cinematica che si ricollega alla trama principale.
Da questo momento in avanti si ha a che fare con Lupo, il protagonista. Intento a raccogliere delle lame da vendere per sopravvivere alla guerra e alla fine della battaglia tra il Generale Tamura e Ishiin Ashina e che vede vincitore quest’ultimo, viene raccolto dal Gufo, uno shinobi. Lo addestrerà e gli insegnerà il valore del Codice di Ferro, che non potrà rompere per lealtà. In Sekiro si parla di redenzione. Appunto per questo, un giuramento per un guerriero giapponese o uno shinobi è un patto vincolante con la vita stessa.
Quando non si riesce a morire per la vergogna, si sceglie di appassire lentamente in un pozzo. L’interazione tra il videogiocatore e Lupo parte da questo momento. Non è solo una questione di onore, per Lupo. Disposto a tutto per salvare Kuro dalla prigionia, non esiterà mai a utilizzare i metodi che ha appreso.
In Ghost of Tsushima la narrazione è più decisa e rimarcata. Complice l’ispirazione da parte di Sucker Punch alla filmografia di Akira Kurosawa, la sua profondità si comprende immediatamente. Non è soltanto il conflitto di Jin Sakai a presentarsi per combattere l’invasione mongola dell’isola di Tsushima. Piuttosto, è ciò che sarà costretto a diventare per combattere senza onore.
Decide di uccidere alle spalle, di non avere pietà per chiunque si trovi di fronte e utilizzare l’inganno e la paura come arma per l’invasore mongolo. La sua katana viene bagnata dal sangue in rarissime occasioni, ma il suo Tanto diventa il prolungamento del suo braccio. La crudezza dei mongoli e le loro bestiali tattiche non permettono metodi convenzionali.
Se osserviamo attentamente Lupo e Jin Sakai, ci accorgiamo che il primo vuole ristabilire il suo onore. Al contrario, il secondo è disposto a sacrificare il suo per la protezione della sua terra natia. Ma entrambi, in un modo o nell’altro, combattono per qualcuno. Da una parte il rapimento di Kuro, dall’altra la decisione che spinge un samurai ad abbracciare metodi disonorevoli pur di cacciare degli invasori.
I nemici che tenteranno di privare Lupo della vita si troveranno di fronte uno shinobi imprevedibile. Sia per gli strumenti attaccati al braccio prostetico, utili in molte occasioni, sia all’utilizzo della katana.
Il tutorial è ben presente nella prima e seconda area di gioco e poi, svanendo, si applicherà al contesto. A diversificare è l’approccio che il videogiocatore sceglie per affrontare un nemico base o uno temibile.
Le deviazioni abbassano la postura e concedono d’infliggere i colpi mortali come gli attacchi da cui il nemico è costretto a proteggersi. Sbloccando determinate abilità come la contromossa Mikiri, riesce a bloccare un affondo e a contrattaccare rapidamente. Non è Lupo a crescere, ma il videogiocatore. Le sue abilità riflettono nel corso dell’esperienza e diventano un’applicazione nel titolo. Non è immediatamente accessibile, a differenza di Ghost of Tsushima.
Al contrario, il sistema di combattimento di Ghost of Tsushima è diverso nella sua struttura. Ripercorre alcune trovate da tante altre produzioni, ma non le sfrutta completamente. Sono presenti stili per ogni nemico che il videogiocatore incontra sul suo cammino. Sekiro ha più varietà d’approccio.
Ghost of Tsushima è limitato, ma comunque godibile nella sua interezza. In comune hanno gli strumenti tipici degli shinobi. In Sekiro sono presenti le castagnole, utili ad accecare il nemico; in Ghost of Tsushima le bombe fumogene sono ottime per celarsi e creare scompiglio.
Sia Ghost of Tsushima che Sekiro: Shadows Die Twice hanno forse in comune un elemento importantissimo: la telecamera nelle fasi più concitate del combattimento.
Giusto per rimarcarlo ulteriormente, Ghost of Tsushima è un’avventura dinamica open world e Sekiro: Shadows Die Twice è un action vero e proprio con un ottimo level design. Il primo è statico, il secondo implacabile per rapidità e struttura ai fini del combattimento.
Questo è sicuramente l’aspetto più importante, quello di effettiva immersione. Sekiro riesce a incanalarlo nella fatica del combattimento e nel peso dalla katana.
Nulla togliendo a Ghost of Tsushima, che si concentra maggiormente sulla spettacolarizzazione delle scene di combattimento. La struttura dei pochi duelli non è variegato, nonostante il suo potenziale inespresso.
Nel solo caso di Ghost of Tsushima, che è strutturato con estrema cura nel suo impatto grafico e d’immersione, l’open world amalgama ogni elemento da cui Sucker Punch ha preso ispirazione.
Non penso soltanto ai punti di domanda che si possono trovare quando si apre la mappa per fissare un obiettivo, col vento poi a fare da GPS per indicarci la via; ma alla modesta quantità di avamposti che si possono ottenere quando si parla con gli NPC. Le ispirazioni che possiamo cogliere sono variegate e autoriali, di spessore in questa generazione. Penso a The Witcher, che proponeva delle macro aree completamente esplorabili con moltissime attività e ai recenti Assassin’s Creed. Origins e Odyssey condividono la stessa struttura di The Witcher. A differenza delle produzioni Ubisoft, Ghost of Tsushima camuffa in maniera spiccata questi elementi.
Non lo pone soltanto nel suo impatto grafico, ma nella semplicità del suo game design. Essendo un titolo che ha evidenti difetti causati probabilmente da un’inesperienza comprensibile per un team che prima di oggi ha sviluppato ben pochi titoli di questa risma, il mondo di gioco è coinvolgente.
Il livello qualitativo a cui arriva Ghost of Tsushima non è all’altezza delle aspettative perché poteva essere molto di più. Sarebbe potuto essere un videogioco con un open world ancora più strutturato e ispirato, proponendosi a variare alcune dinamiche e scelte. Resta il fatto che ci siano elementi da salvare e su cui lavorare per il futuro. Il gran problema è che ha preso alcune criticità presenti in altri open world.
Sekiro: Shadows Die Twice e Ghost of Tsushima sono diversi nella struttura e nelle tematiche proposte, ma parlano dell’onore e della redenzione, di una ricerca della pace interiore e di quella esteriore. Parlano di paura, di mettere in gioco se stessi. Il videogiocatore, in questa poetica, è il sonetto più dolce. Due filosofie che trattano di tradizione, strutturate da due case sviluppatrici completamente opposte (non solo geograficamente) l’una all’altra. Non c’è una definizione esaustiva per entrambe, ma c’è sicuramente un messaggio che vogliamo trasmettervi: giocateli entrambi. Non per accorgervi delle differenze, ma per scoprire le due facce della stessa terra.
This post was published on 27 Luglio 2020 11:43
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