Dietrofront per il settore eSport dell’esercito americano, che ha sospeso le trasmissioni: potrebbe essere costretto per legge a sopprimere le proprie attività di propaganda su Twitch. A seguito di episodi di censura di commenti in chat ai danni di utenti che esprimevano dissenso verso le attività dell’esercito, la deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez ha promosso un disegno di legge che vieterebbe esplicitamente il ricorso da parte militare alla celebre piattaforma di streaming con finalità di reclutamento. Una vicenda che andremo ora a sviscerare e che fa riflettere su quanto l’industria videoludica stia salendo alla ribalta nel dibattito pubblico.
Lo U.S. Army Esports è un team competitivo dell’esercito americano, nelle cui fila militano sia membri dell’esercito regolare che riservisti, incaricato di fare reclutamento attraverso il Web: dai social network alle piattaforme streaming, lo scopo è agevolare la creazione di community ed il contatto diretto con possibili giovani reclute. A livello di presenza online, insomma, la divisione è equipaggiata di tutto punto: il kit comprende una pagina Facebook, account Twitter e Instagram, chat room su Discord ed ovviamente un canale Twitch, tramite cui mostrare ad un pubblico di teenager quanto sia bella, divertente e colorata la guerra se combattuta in Call of Duty: Warzone, Valorant, Apex Legends e così via. Va dato atto al team di non aver mai tentato di svolgere la propria attività di reclutamento in modo surrettizio, ma anzi di sbandierare il proprio intento fin dal video di presentazione che campeggia con fierezza in cima alla pagina Facebook del progetto.
Tali attività di propaganda da parte dell’esercito non sono mai state digerite da una parte dell’opinione pubblica, e in un caso nemmeno dalla stessa piattaforma Twitch, ma i malumori non si erano mai spinti oltre qualche articolo critico sui giornali. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, suscitando grandi reazioni da parte dello stesso popolo del Web, è stata del tutto imprevedibile, ed ha a che fare con una leggerezza imperdonabile da parte del team militare: l’utilizzo dell’emoticon UwU.
UwU non è altro che la rappresentazione di una faccina pucciosa, e si utilizza per esprimere un senso di tenerezza e carineria affine al concetto giapponese di kawaii: vi imbattete in un tenero cucciolo? UwU! Ammirate un oggetto tondeggiante dalle tinte pastello? UwU! Assaggiate un dolcetto confezionato con amore e in grado di scaldarvi il cuore e l’anima? Avete capito: UwU. L’emoticon ha avuto particolare successo in ambito furry, ovvero la comunità di fan di tutto ciò che è, appunto, peloso: dagli animali veri e propri a personaggi antropomorfi dell’immaginario fantasy, non di rado con connotazione erotica. Ciò ha fatto sì che gli utilizzatori di UwU abbiano iniziato ad essere malvisti dal popolo del Web, ridicolizzati come bambineschi o, in casi peggiori, pervertiti, tanto che Urban Dictionary ne sconsiglia l’utilizzo nelle conversazioni su Internet per evitare di essere subito presi di mira.
Peccando forse di ingenuità, lo U.S. Army Esports Team ha twittato l’emoticon incriminata in uno scambio di messaggi con l’account ufficiale della piattaforma Discord. È stato come firmare la propria condanna a morte: il tweet si è diffuso rapidamente generando dapprima ilarità, poi dileggio, infine un vero e proprio accanimento nei confronti dei canali social del team, tempestato di commenti derisori o accusatori nei confronti della violenza dell’esercito americano, con particolare insistenza sui crimini di guerra da esso perpetrati.
Ha avuto inizio una vera e propria challenge da parte degli internauti, che si sono sfidati su quanto velocemente riuscire a farsi bannare dal canale Discord del team. Questa parossistica ban speedrun si è declinata in una corsa al primato, con immagini e video pubblicati su Twitter da utenti orgogliosi di aver messo a punto le migliori tecniche per farsi censurare a tempo di record. Una delle più note è quella dell’utente @Aurum_Corpus, che in circa 12 secondi si è meritato il ban per aver linkato in chat la pagina Wikipedia sui crimini di guerra americani. Il raid è stato talmente soverchiante da costringere l’esercito a sospendere l’accesso alla chat.
Archiviato il capitolo Discord, la spedizione punitiva ha poi rivolto i propri interessi all’account Twitch dell’esercito: qui l’utente Rod Breslau ha polemizzato in diretta con lo streamer “Strotnium”, ovvero il Berretto Verde Joshua David, scoprendo che l’espressione “war crimes” era filtrata automaticamente dalla chat. Breslau ha quindi aggirato il problema digitando “w4r cr1me”, ed aggiudicandosi il tanto agognato ban in diretta da parte del veterano americano, in quel momento impegnato in una missione di Call of Duty: Warzone. Episodi simili si sono verificati anche nei confronti degli account Twitch di Marina e Forze Aeree, anch’essi dediti agli eSports. L’unico corpo armato americano a non aver intrapreso questo tipo di iniziative di reclutamento online è quello dei Marines, che in un documento datato 27 gennaio 2020 ha messo nero su bianco come “la strategia nazionale di brand marketing non prevede piani futuri di costituire team dedicati agli eSports né di creare giochi brandizzati“.
L’ultimo aggiornamento di questa lunga diatriba risale a ieri, e segna l’ingresso della politica in quello che finora era stato un affare circoscritto all’ambito social: La deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez, in data 22 luglio, ha depositato presso il Comitato degli Stanziamenti della Camera degli Stati Uniti una proposta di legge che vieta alle forze armate l’utilizzo di fondi stanziati da parte del Comitato per “mantenere una presenza su Twitch.com o qualsiasi altra piattaforma di live-streaming, eSport e videogiochi”. Anche se non c’è alcuna garanzia che la proposta passi – l’iter burocratico infatti è lungo – risulta evidente l’intento della Ocasio-Cortez di assumere una presa di posizione forte nei confronti di pratiche di reclutamento totalmente inopportune, a cui possono essere esposti ragazzi e ragazze di qualsiasi età, senza alcuna distinzione: “È del tutto irresponsabile da parte dell’Esercito e della Marina fare opera di reclutamento verso un pubblico di giovani impressionabili o addirittura di bambini attraverso le piattaforme di streaming. La guerra non è un gioco” ha spiegato la deputata.
Insomma una storia nata come una scaramuccia goliardica sui social network ha portato ad un disegno di legge per porre un freno alle attività di marketing dell’esercito. Un’escalation che a prima vista pare esagerata, ma riflettiamo sui numeri: il fatturato mondiale dell’industria del gaming nel 2018 è stato di 137,9 miliardi di dollari, contro i 42 del cinema e i 36 della musica. I videogiocatori nel mondo sono 2,3 miliardi, un terzo della popolazione del pianeta. Eppure, almeno nel nostro paese, di industria del gaming si parla ancora troppo poco nel dibattito pubblico (se non per l’occasionale e ridicolo titolo allarmista sul giornale di turno), rimanendo confinato in una cerchia di appassionati e addetti ai lavori. Di videogiochi, invece, è giusto che la politica inizi ad occuparsi: se qualche timidissimo passo si è iniziato a farlo dal punto di vista delle sovvenzioni, è ancora lunga la strada che porti ad affrontare l’argomento dal punto di vista dell’informazione ai genitori, del riconoscimento di categoria, di una strutturazione organica di incentivi alla produzione e sostegni alla distribuzione nostrane, della didattica in ambito scolastico ed universitario. Avere una cittadinanza più consapevole ed una politica più sensibile sono prerequisiti indispensabili per garantire una fruizione sana e sicura del medium, ed evitare ingerenze e manipolazioni ai danni di un pubblico che è sempre più trasversale.
UwU!
This post was published on 23 Luglio 2020 17:38
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