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Speciali

Orrori a confronto: Silent Hill e Resident Evil verso la next gen

Con l’avvicinarsi dei grandi eventi di presentazione online dei giochi delle prossime stagioni, l’inizio di questa settimana è stata caratterizzata da una serie di nuovi rumor su incombenti episodi di due saghe horror che hanno fatto la storia del videogioco fra anni ’90 e 2000: Resident Evil e Silent Hill si preparano infatti ad approdare nella next gen e a terrorizzare nuovi giocatori, ma anche a divertire e appassionare vecchi affezionati.

Due brand storici, in grado di dare tantissimo al genere survival horror, ma anche due saghe che hanno affrontato percorsi tortuosi che hanno portato a esiti diversi ma comunque problematici, fra restart, remake, passi falsi e abbandoni da parte dell’industria.

Oggi vi raccontiamo la loro storia, la storia di due rivali che hanno fatto della loro diversità il motivo del loro successo.

L’età d’oro del survival horror

Raccontare la storia di Resident Evil e Silent Hill significa raccontare un pezzettino della storia videoludica giapponese, quella degli ultimi anni del XX secolo, che grazie al successo di Playstation ha praticamente dato vita al videogioco moderno per come lo conosciamo oggi.

Fra capostipiti illustri come Metal Gear Solid, Tekken e i Pokèmon, nel 1995 era spuntato Clock Tower, che sulla scia del primissimo Alone in the Dark aveva portato per la prima volta l’orrore nei nostri dispositivi elettronici.

Al cinema, medium che allora ispirava e guidava le migliori sperimentazioni videoludiche, erano gli anni dell’horror di cassetta, gli anni dell’esplosione di serie come Scream e della rivalutazione di serie ritenute trash fino a poco prima, come Nightmare o Venerdì 13. Il pubblico stava in un certo senso vincendo la ritrosia verso un genere ritenuto ancora “non di massa” e, in pochi sparuti ambienti, ancora “immorale”.

L’età giusta per sperimentare una forma-gioco che mettesse in luce non più il concetto di semplice “azione”, ma soprattutto quello di “paura”. Il survival horror costruiva il suo congegno narrativo e ludico proprio sul mettere il giocatore nei panni di un personaggio del tutto avulso da nozioni di combattimento e sopravvivenza contrapposto a mostri assassini e spietati.

Solo un anno dopo Clock Tower, quella formula venne rinvigorita e rifinita dal primo Resident Evil, che prese i semi piantati dai predecessori, li unì alla semantica narrativa dei film di George A. Romero e costruì il primo zombie-game della storia. Un successo straordinario, che di fatto mostrò cosa significasse parlare di “sopravvivenza” all’interno di un videogioco. Poco potevano infatti le pallottole di Chris e Jill contro orde di zombie nella terrificante magione del primo titolo, diventata scenario di una mattanza di membri della S.T.AR.S.

Il mondo del gaming non sarebbe mai più stato come prima.

Arriva il rivale

Nel 1998 Capcom ripeté il miracolo con un secondo episodio, che prendeva le potenzialità ludiche e narrative del primo e le applicava in scala più grande, con un’intera città americana devastata da zombie urlanti da esplorare e “vivere”.

Raccontare il successo di Resident Evil 2 è semplice: basta pensare al fatto che dopo vent’anni Capcom ha sentito il bisogno confermare la ripartenza in grande stile di RE dopo un momento di stallo proprio da un suo remake, a dimostrazione della capacità del gioco di incantare intere generazioni di videogiocatori con le sue innovazioni.

Nel frattempo, altri survival stavano sulla scena PlayStation: Clock Tower aveva seguito Resident Evil sulla console Sony, e presto questi giochi sarebbero stati seguiti da nuovi brand come Forbidden Siren (anche questo nipponico), ma fu Konami, altra società giapponese che all’epoca stava festeggiando il successo di quello che viene definito fra i migliori giochi nipponici del decennio (Metal Gear Solid, ovviamente), a calare l’asso, con Silent Hill.

Era il 1999, e stava per scoppiare una rivalità.

Orrori diversi, stessa forza

Fin dal suo esordio, fu chiaro che Silent Hill sarebbe riuscito nell’impresa di spaventare e angosciare i giocatori di tutto il mondo, ma utilizzando strumenti completamente diversi da quelli di Resident Evil.

Se i due episodi Capcom facevano leva sul concetto di “sci-fi horror”, mettendo in scena il classico caso dell’esperimento andato male capace di generare un’epidemia apocalittica e devastare il mondo intero, Silent Hill giocava in un campo semantico più vicino a quello dell’esoterismo di stampo american gothic. L’approccio era infatti soprattutto letterario, impregnato di storie che affondavano le radici nel folklore e nella mala coscienza degli U.S.A. (da qualche parte fra Stephen King e Howard P. Lovecraft), con la classica storia di una città maledetta e della corruzione da essa generata.

La prospettiva era simile a quella di Claire e Leon in Resident Evil 2, con una persona qualunque che si ritrovava ad affrontare l’orrore soprannaturale. Se però Claire, Jill, Chris o Leon erano figure da classico b-movie horror americano, con tanto di nomi tanto iconici da apparire poco credibili, l’Harry Mason di Silent Hill era una figura un po’ più “realistica” e per questo di spessore, con un legame di peso (la figlia scomparsa misteriosamente dopo un incidente stradale) e soprattutto un’aria malinconica che sembrava tormentarlo.

Due serie che partivano da premesse diversisisme, ma che in fondo riuscivano a emergere nel vespaio di survival horror nati al tempo per una caratteristica fondamentale: si prendevano sul serio e volevano costruire un nuovo canone capace di fidelizzare un pubblico, in modo simile a quanto fatto dalle serie cinematografiche di quello stesso genere.

Un destino simile

Non è difficile pensare a Silent Hill e Resident Evil come i due veri rivali all’interno dello stesso settore. Va bene, il survival horror è pieno ed era pieno di alternative, e lo divenne sempre più a partire dai primi anni 2000. Tuttavia il guanto di sfida lanciato da Konami non poteva essere a Clock Tower (per esempio), brand molto più blando rispetto agli altri due (e di fatto scomparso dai radar), ma proprio al classico Capcom.

La loro corsa verso l’Olimpo dei videogiochi è sembrata una sorta di gara, di confronto costante, che ha avuto anche dinamiche simili: un primo episodio innovativo o comunque di forza straordinaria, un sequel che migliorava l’originale e capace di diventare un capolavoro, qualche episodio successivo originale ma forse non con la stessa forza dirompente dei primi. Infine, i passi falsi e gli arresti.

Con modalità diverse e diverse tempistiche sia RE che SI si sono inceppati e hanno visto la loro formula entrare in crisi sotto il peso concentrico della concorrenza agguerrita e delle soffocanti leggi del mercato, che li hanno portati a cedere. Resident Evil si è ripreso con un’oculata strategia di innovazione (Resident Evil 7: Biohazard) e operazioni nostalgia con i remake (uno dei quali considerato un capolavoro). Silent Hill invece è scomparso dai radar dopo Downpour (2012) e fino a oggi era sembrato senza più nient’altro da dire.

E ora?

Speranze per il futuro

Cosa ci riserva il futuro? Silent Hill riuscirà a tornare lo sfidante di Resident Evil? E Resident Evil 8 e il remake del 4 scioglieranno i dubbi sollevati dall’altalenante remake del terzo episodio?

Non lo sappiamo, ma permettetemi una chiosa personale: spero davvero che si riprendano entrambi, e tornino a splendere portando avanti le loro meravigliose peculiarità, veri doni all’immaginario orrorifico contemporaneo.

E lo dico da appassionato del genere.

This post was published on 2 Giugno 2020 12:27

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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