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Speciali

Come la pandemia ha puntato le luci sui videogiochi

Sono tempi strani, avrebbe cantato qualcuno.

Da più di un paio di mesi, in buona parte del mondo tutto si è fermato, come sospeso in una sorta di assurdo limbo nel quale le attività del mondo globalizzato si sono rifugiate per far fronte al contagio del Covid-19. Non poteva che valere anche per l’industria del videogioco, come ahinoi abbiamo avuto modo di evidenziare in queste settimane su Player: di fatto il periodo fra marzo, aprile e maggio è stato un susseguirsi di rinvii di giochi, rinvii di fiere, rinvii persino di aggiornamenti di giochi.

Al tempo stesso, però, il distanziamento sociale ha creato quella che con ogni probabilità è definibile come una straordinaria ondata di utilizzo dei videogiochi, online e non, per intrattenerci, con tutto quel che ne consegue. Inoltre ha portato anche i più critici a rivalutare il loro ruolo sociale.

Quale sarà il lascito della crisi pandemica al videogioco?

Parliamone insieme, tentando di riflettere.

Videogioco e resilienza

Per quanto una riflessione di questo tipo sia possibile anche soltanto dando uno sguardo alle notizie degli scorsi mesi, a fare da perfetta sintesi sullo stato dell’intrattenimento videoludico durante questa “tempesta perfetta” ci ha pensato una gran bella intervista di Game Industry a una figura che senza dubbio ha provato sulla propria pelle cosa significhi dirigere una major del videogioco (online, oltretutto) nel bel mezzo di un’epidemia.

L’intervistato è Owen Mahoney, CEO di Nexon, publisher coreano che ha all’attivo vari giochi massivi e mobile molto frequentati in Asia, fra i mercati più colpiti dalla crisi.

Sia chiaro, Mahoney non racconta niente che già non sapessimo: parla delle difficoltà dello smartworking, parla di come la multinazionale abbia dovuto rivedere totalmente la sua filiera di produzione, di come sia mancato il contatto umano, fattore centrale all’interno di uno spazio di lavoro.

Owen Mahoney, CEO della Nexon

Tuttavia, il manager sorprende quando parla di come l’impatto del Covid-19 sia stato in definitiva positivo per Nexon, sia perché lo smart-working avrebbe aiutato i lavori (cosa che comunque non è valsa per tutte le realtà produttive del settore, soprattutto sul lato sviluppo) sia perché se c’è un settore dell’intrattenimento la cui distribuzione non ha per niente risentito della situazione di clausura quello è il videogioco, grazie agli store digitali.

Tenendo presente che da qualche settimana anche il problema delle presentazioni e delle convention sembra risorto con la partenza della stagione degli eventi online, potremmo quasi pensare che tutto sommato la resistenza del mercato dei videogiochi sia un dato di fatto, e che il Covid-19 abbia in fondo dimostrato come la tecnologia digitale abbia vinto sull’epidemia. Insomma, il videogioco sembra essere uscito vittorioso sulla noia da lockdown.

In che modo?

Uno dei nostri migliori spacciatori di divertimento nel corso del lockdown…

Diario di un giocatore ai tempi del Covid

Per tentare di capirlo, vi racconterò una storia. O meglio, vi racconterò la mia storia, la particolare storia di un redattore di un sito di videogiochi e grande divoratore di opere di intrattenimento travolto come tanti dal lockdown.

Se mi guardo indietro di un paio di mesi, specie nel periodo di chiusura in casa più serrato, ho i seguenti ricordi:

  • rassegne stampe infinite con rinvii di giochi, fiere e quant’altro;
  • noia e tristezza per l’immobilità data da questo stato di cose (e per il fatto di non poter sfogarmi uscendo a prendermi una birra);
  • infinite “schiuse” di fronte alla Play 4 (nell’ordine ho completato tutti i Bioshock, Resident Evil 2 Remake, Shadow of The Colossus e ho iniziato Resident Evil 3 Remake appena in tempo per la fine del lockdown più duro).
Una foto delle mie vacanze pasquali: divano, pantofole, PlayStation 4

E’ stata una situazione bizzarra. Da un lato fotografava con forza quanto la crisi pandemica abbia rallentato e fatto soffrire l’industria, con un’intera stagione (una stagione importantissima, tra l’altro) in apparenza compromessa.

Dall’altro, però, io stesso finanziavo major e sviluppatori grazie agli store digitali e combattevo la “febbre del chiuso” (passatemi il termine) con un po’ di sano divertimento e avventure sempre nuove.

E se il dato economico non fosse abbastanza per sottolineare gli apporti positivi dell’intrattenimento digitale alla società in un momento di crisi, ricordiamoci che solo qualche settimana fa è stata l’OMS a dire che i giochi sono stati fra i mezzi di socializzazione più potenti a disposizione delle persone, e soprattutto per i più giovani.

Non male per una pratica spesso oltraggiata e accusata di essere alienante, vero?

Ode al digitale

Il digitale, insomma, sembra aver vinto, e non solo per quel che riguarda il mercato videoludico, ma anche nel campo del cinema e della serialità e persino nel suo favorire l’incontro ludico con le partite via Zoom ai giochi da tavolo o di ruolo.

Certo, attenzione: un facile entusiasmo può comunque far trascurare anche gli elementi negativi del digitale che questa pandemia ha messo a nudo.

Dovremmo quasi fare un monumento a tutti i videogiochi che ci hanno tenuto compagnia in queste settimane…

Il primo è oggettivo e riguarda le infrastrutture. Per tutta la durata del lockdown abbiamo avuto esempi su esempi di sovraccarichi di reti, che hanno portato a comprendere quanto in alcune zone del mondo l’ipotesi della costruzione di una società basata sulla comunicazione o sull’intrattenimento digitale “sociale” (come può essere il videogioco online) può essere difficilissima da perseguire.

Il secondo spunto di riflessione “problematica” mi sembra più sfaccettato e complesso e ha a che fare con l’eredità che questo lockdown e il conseguente ripiegamento sull’intrattenimento in rete potranno lasciare.

Partiamo da un dato di fatto: uscendo da questa crisi mi sento un po’ più fiducioso nella tecnologia digitale di quanto lo ero prima. Non credevo di poter continuare a giocare di ruolo attraverso Zoom, per dire, e non credevo neanche di poter riuscire a tramutare un party PlayStation Network in un’occasione che sostituisse una cena con gli amici, che mi facesse sentire meno solo mentre dal telegiornale arrivavano voci di necessità di distanziamento, di chiusura delle attività, di fine della normalità.

Io (l’ultimo a destra) e i miei fedeli compagni di avventure durante il lockdown

Tuttavia, per quanto la mia felicità per gli effetti positivi del digitale abbia prevalso, più volte mi sono posto un problema.

Che ne facciamo “dopo” di tutto questo utilizzo del digitale per divertirci? Mi spiego: i tanti ragazzi cresciuti in contesti che di solito non aiutano la socializzazione (per i motivi più disparati) non potrebbero uscire dalla crisi con una visione distorta del gioco, favorita dall’idea che giocare da casa sia più semplice, immediato e sicuro che uscire e incontrare altri?

Per quanto a noi il gioco digitale piaccia (beh, ovvio), attenzione a non sottovalutare il rischio in un momento in cui l’emergenza potrebbe intaccare la tendenza alla socializzazione. Serve uno sforzo e un costante ripetersi che il gioco è anzitutto condivisione di passione e occasione di incontro, e non solo intrattenimento in solitaria.

Ma questi francamente sono solo rischi e, se guardiamo ai “passi avanti” fatti dal ruolo sociale del videogioco in questo momento storico, francamente di buttare il bimbo con l’acqua sporca (vizietto tutto italiano) non ci sembra proprio il caso.

This post was published on 21 Maggio 2020 17:57

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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