Qualunque giocatore cresciuto in una famiglia con un fratello o una sorella maggiore e che abbia avuto accesso a una console o un PC ha provato almeno una volta l’ebrezza di vedersi rubata la postazione di gioco dall’infame congiunto, o di aver intavolato lunghe discussioni-fiume sui giochi preferiti. Un classico, soprattutto alla fine degli anni ’90, quando il videogioco stava entrando nelle nostre case in maniera massiccia e stava diventando la nuova televisione, in un certo modo.
Ebbene, chi scrive ha provato non solo l’esperienza (non troppo dura, in verità) di dividere il suo PC, il suo Super Nintendo e le sue PlayStation 1 e 2 con una sorella maggiore dai gusti un po’ diversi dai suoi (io tipo da Metal Gear Solid, lei da Crash Bandicot), ma anche con l’altra donna di casa: mia madre, grande appassionata di avventure grafiche.
Seguitemi in questo breve giro di ricordi di pomeriggi passati fra Gabriel Knight, compiti di matematica e mille avventure: vi assicuro che non ve ne pentierete.
Pioggia di ricordi
Se chiudo gli occhi e ripenso al periodo fra la fine delle elementari e quello delle medie e superiori non mi capita solo di ripensare alle sessioni di gioco di Super Mario, Donkey Kong o MGS. Un’altra immagine che mi viene in mente, per esempio, è mamma di fronte al PC della mia cameretta, sigaretta in bocca, mano sul mouse, occhi persi sullo schermo.
Di fronte a lei uno di questi titoli: il già citato Gabriel Knight, The Last Express (bellissima spy-story ambientata durante l’ultimo viaggio dell’Orient Express prima della Grande Guerra), Black Dahlia (punta-e-clicca sul caso della Dalia Nera, oscuro omicidio avvenuto a Los Angeles nel 1945) e uno degli altri venti o trenta giochi che avevamo accumulato in casa in quel periodo.
Diceva che la rilassavano. Il suo primo approccio al videogioco era stato, a dire il vero, con quello che ricordo essere il primissimo gioco in 3D di casa, ovvero Duke Nukem, ma l’idillio era durato fino al momento in cui non si era stancata (“Oh ma qui sparano tutti, me rende nervosa!”) e aveva scoperto il fascino delle avventure grafiche.
Oh, è ovvio che non fosse l’unica in casa ad amare il genere: io e Simona, mia sorella maggiore, le davamo diligentemente il cambio davanti alla postazione, scambiavamo idee con lei, la aiutavamo a cercare le fantomatiche “soluzioni” sui vecchi portali dell’epoca (oddio, se ripenso ai giochi completati seguendo passo-passo quelle guide una parte di me muore… peccati di gioventù!).
La passione si diffonde
Non c’eravamo solo noi a giocare, in famiglia. In breve tempo, la passione di mamma contaminò anche mia zia, e un altro dei ricordi che mi vengono sono le trattative fra lei e la mia genitrice al momento dell’acquisto di nuovi giochi, che più o meno andavano così: “Allora te prendi quello di Hitchcock, io quello del deserto (n.b. mai che si ricordassero bene un titolo!) e poi ce lo scambiamo, vabbè?”.
E il contagio non finiva all’interno delle mura familiari, no-no: presto arrivò anche a Laura, la mamma del mio migliore amico alle elementari, coinvolta dai discorsi fra me e lui e dai racconti di mia madre. Penso che per loro fossero passatempi diversi dal solito, diversi dai libri che leggevano, dalla televisione, forse passatempi più immediati e rilassanti. Forse fu questo a far breccia.
Un altro ricordo che ho infatti è quello del trio mamma-zia-Laura che parte in spedizione per il negozio di giochi della mia città alla ricerca di un nuovo titolo o, dopo la scoperta dei primi mercatini digitali di giochi usati, alla posta.
Tornavi a casa, ti toglievi lo zaino da tracolla, correvi in camera e trovavi il nuovo cd da inserire nel PC o PlayStation 1 (qualcuno ha detto Broken Sword e Broken Sword 2?) e giù a giocare fino a sera, compiti permettendo. Anzi, parliamoci chiaro: spesso le mie sessioni di compiti erano scadenti, ma del resto studiavo con al mio fianco mia madre intenta a salvare il mondo o a risolvere un grande mistero dell’umanità, come potevo resistere alla tentazione di una sbirciata (vabbè, facciamo dieci sbirciatine)?
Era un bel momento, ragazzi. Un bel momento in tutto: scuola, compiti, giocattoli e mamma che gioca al PC, niente pensieri sull futuro, niente crisi adolescenziali all’orizzonte, ancora niente scombussolamenti politici internazionali ai quali pensare (anche se l’11 settembre era dietro l’angolo).
Oh, a dire il vero io ero piuttosto scarso a giocare con questo genere (non che oggi le avventure grafiche mi facciano impazzire), e spesso lasciavo a mamma il compito. Eppure quei pomeriggi devono avermi in qualche modo ben addestrato, se oggi scrivo di videogiochi e, soprattutto, se i primi ricordi di scrittura creativa che ho sono delle vere e propri fan-fiction di Gabriel Knight e The Last Express, no?
Things have a change
Veniamo a oggi.
Sono passati vent’anni da quei pomeriggi, e tante cose sono cambiate, fra crescite personali inevitabili e soprattutto il parziale tramonto delle avventure grafiche durante i primi anni 2000.
Oggi zia non gioca più, Simona si è convertita in toto alla Switch di mio nipote, io mi sono ormai dato all’action o al massimo ai filmgame o ai giochi narrativi.
Mamma però gioca ancora, quando le va.
Certo, si vede che l’età d’oro è passata. Ai vari Monkey Island o Myst ha sostituito tanti di quei giochi in simil-flash basati sulla ricerca degli oggetti all’interno di una scena, e del resto… beh, gli anni passano, forse la pazienza si riduce, e senza dubbio il mercato e la decadenza del genere non hanno aiutato a mantenere viva la passione come un tempo.
Come dicevo però lei gioca ancora, quando le va. Si mette ancora di fronte al PC, sigaretta in mano, occhi persi sullo schermo. Io mi fermo a guardarla, penso a quanto la maggior parte dei giochi che fa oggi non mi piacciano, a quanto tuttavia mi faccia piacere vederla ancora così presa dai suoi giochi.
Ma, soprattutto, a volte ripenso a quei pomeriggi e mi ritrovo a ringraziare che ci siano stati.
Con la speranza, perché no, che possano tornare.