È di qualche giorno fa la notizia che vede Assassin’s Creed Valhalla venir ridimensionato rispetto al suo predecessore, il gigantesco Odissey.
Attraverso il profilo ufficiale del responsabile alla comunicazione social di Ubisoft l’azienda ha fatto sapere che il nuovo capitolo della saga non sarà ne più grande ne più lungo rispetto ai precedenti.
Questo potrebbe voler dire una compressione di intenti per il titolo, diventato incredibilmente folto per situazioni e ambientazioni dopo gli ultimi due capitoli, ambientati in Egitto e Grecia.
Il ritorno alle “origini” di Assassin’s Creed è però un dato che ci interessa relativamente; quello che invece faremo è chiacchierare leggermente di un problema che sempre più ha interessato le produzioni videoludiche moderne.
I videogiochi moderni sono diventati bulimici a causa dell’inutile gara alla longevità. Le produzioni Ubisoft (nello specifico) soffrono tutte quante il problema di una bulimia contenutistica senza precedenti, con mondi infinitamente grandi, pieni di cose da fare, tutte mediamente divertenti senza particolari picchi.
Gli ultimi due capitoli di Assassin’s Creed nello specifico rappresentano perfettamente la cosa a causa, con open world mastodontici da esplorare cima a fondo ricadendo sempre in una manciata di gameplay loop molto ben realizzati, circondati da una lunga serie di meccaniche accessorie (come quella ruolistica, molto accentuata in Odissey) che raramente raggiungono dei picchi qualitativi.
Il problema della bulimia contenutistica nei videogiochi è un problema solitamente legato a quei generi videoludici che tendono a durare diverse decine di ore grazie ad una struttura frammentata.
I videogiochi open world, i mmorpg, alcune tipologie di giochi di ruolo e gli action rpg sono tutti generi videoludici che più e più volte rientrano perfettamente all’interno della sopracitata definizione.
Gli sviluppatori mettono in piedi un framework di meccaniche e gameplay loop che sono in grado di funzionare sul breve periodo. Questa combinazione di strumenti ha il potere di tenere il giocatore incollato al pad per una quantità di tempo limitata e, per evitare una fuga precoce del giocatore dal titolo, gli sviluppatori tendono a riempire il gioco in questione con i famosi contenuti secondari.
Il che non sarebbe nemmeno sto grande problema se non fosse che Ubisoft, nello specifico, tende a trasformare questi contenuti secondari in contenuti obbligatori se si vuole proseguire nella storia in tempi umani.
Con la progressiva rpgizzazione delle meccaniche e la creazione di portoni invalicabili costituiti da level gap da riempire le quest secondarie sono diventato il metodo migliore per ottenere esperienza in modo conveniente.
Nonostante una buona dose d’impegno (visibile in più punti, sottolineamo) le quest secondarie degli ultimi Assassin’s Creed (o di Ghost Recon Breakpoint, di Far Cry 5, di Watch Dogs 2 etc etc) sono compiti abbastanza lineari, che non presentano mai picchi di difficoltà e che non chiedono al giocatore altro impegno se non quello di eseguire il compitino.
Cosa succede se per poter arrivare alla naturale morte del gioco dobbiamo eseguire 600 compitini tutti uguali?
Che prima o poi ci rompiamo le scatole.
Il videogioco bulimico è quel gioco che non ha intenzione di presentare durante il corso della sua durata una struttura a picchi di divertimento ma preferisce adagiarsi su di una situazione di relativa stabilità, non proponendo un esperienza altalenante ma concentrandosi sul dare sempre qualcosina, poco importa se questo è un divertimento scialbo.
Questo paradigma di game design non è ovviamente l’unico che funziona ma è chiaramente quello più cheap, motivo per cui viene impiegato da più aziende.
Non tutte le aziende hanno i talenti che Nintendo ha dimostrato di possedere mettendo in piedi The Legend Of Zelda: Breath Of The Wild, ne i soldi che Rockstar ha profuso nella realizzazione di Grand Theft Auto V con decine di gameplay loop raffinati come poche altre cose.
Ubisoft alla fine si comporta esattamente come Avalanche o come anche Insomniac hanno fatto: creare un core gameplay decente ed accoppiargli tutta una serie di contenuti secondari più o meno efficaci, con cui attentare al tempo libero del giocatore.
Spider Man è un videogioco che si basa su una trentina di missioni non particolarmente memorabili, accompagnate da un sistema di movimento godurioso come pochi e da una quantità quasi vomitevole di contenuti secondari che danno al giocatore le risorse necessarie per accedere alle potenzialità latenti del nostro uomo ragno.
Aziende come Nintendo e Rockstar dimostrano che è possibile percorrere, previo ottenimento delle giuste risorse, strade alternative in grado di cambiare le carte in tavola.
In Breath Of The Wild l’open world non è altro che l’enorme parco giochi in cui fisica e creatività si scontrano con effetti sempre stupefacenti, in Grand Theft Auto V l’open world è talmente grande e curato che ogni attività sembra avere lo stesso amore del gameplay loop principale; titoli come Yakuza possono vantare un open world contenuto con il grosso del gioco nascosto nelle attività secondarie, tutte quante dotate di una profondità notevole che poco fanno rimpiangere del core del titolo.
Ma allora perché Ubisoft fa i videogiochi bulimici?
Ubisoft da più di un lustro a questa parte ha messo in piedi un sistema quasi infallibile per creare videogiochi: sfruttare decine di team sparsi in giro per il mondo per letteralmente mettere insieme un titolo.
Come scritto da Alex Wawro in questo splendido articolo di Gamasutra Ubisoft sfrutta le sue dimensioni per creare con relativa semplicità videogiochi imponenti dal punto di vista contenutistico. Ogni videogiochi di Ubisoft viene separato in differenti moduli (un modulo per il core gameplay, un modulo per le sezioni di guida, un modulo per i contenuti secondari etc etc) e viene dato in pasto a differenti team di sviluppo che lavorano unicamente a quello.
A questo va sommata la lungimiranza di Ubisoft nell’utilizzare avanzate tecniche di generazione procedurale per la realizzazione dei suoi mondi, tecnica che permette loro di risparmiare del tempo e di puntare ancora più alto con mondi più grandi e esperienze più massive.
A differenza di quanto previsto da Chadi Lebbos (Executive Director per AC: Origins o Ghost Recon Breakpoint) il pubblico non sembra aver apprezzato questa filosofia bigger is better. Con i risultati estremamente deludenti dell’ultimo capitolo di Ghost Recon l’azienda sembra aver preso una strada differente; quest’ultimo risulterà chiara a pubblico e critica unicamente in corrispondenza del nuovo triello di titoli che la compagnia si presta a lanciare entro la fine dell’anno.
Gods & Monsters, Watch Dogs Legion e Assassin’s Creed Valhalla potrebbero essere giochi più contenuti e ciò potrebbe essere soltanto un vantaggio per molti di noi giocatori, stanchi di finire incastrati in loop ludici che ci richiedono un impegno minimo per un risultato non particolarmente soddisfacente.
This post was published on 10 Maggio 2020 14:48
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