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Speciali

Dracula: dalla serie Netflix ai giochi di Microids passando per il classico di Stoker

Dracula, la miniserie BBC/Netflix scritta dal duo Stephen Moffat/Mark Gatiss (Sherlock) ha nel bene o nel male dato una nuova immagine del vampiro più famoso della storia attraverso un’opera provocatoria, iconoclasta e parodica. Una serie che ha diviso fortemente pubblico e critica: c’è chi ne ha apprezzato la forza rivoluzionaria e chi lo ha bacchettato per il suo tono quasi “blasfemo” rispetto a quello dell’opera da cui partiva.

Non è la prima volta che una trasposizione di Dracula finisce per stravolgerlo totalmente, e ciò vale anche per il videogioco: oggi parliamo infatti di una serie di tre avventure grafiche francesi, usciti fra il 1999 e il 2008, che ha tentato di dare profondità e nuova vita al mito rielaborandolo a suo modo.

Curiosi? Bene!

Fase uno: un sequel rigoroso

Dracula-La risurrezione, questo il titolo del primo episodio della serie, immaginava cosa sarebbe accaduto se, sette anni dopo la sua sconfitta, il conte fosse tornato in vitOPS in non-vita con l’obiettivo di fare sua Mina, la bella ragazza inglese da lui tormentata nel libro. Nei panni di Johnathan Harker eravamo dunque chiamati a partire per il castello del conte nei Carpazi per salvare la nostra bella.

Il conte Dracula in tutta la sua spettrale bellezza

Come dite? L’ennesima missione di salvataggio della nostra bella in terra draculiana? Vero, almeno per quel che riguarda questo primo gioco: si trattava di una storia che, al di là del suo voler funzionare da seguito, giocava molto con i topoi di una classica trasposizione di Dracula, dal viaggio in terra straniera agli scontri con i servi del conte per finire con l’esplorazione del tenebroso castello.

Tuttavia, già dal secondo episodio, uscito l’anno successivo e molto più lungo, le cose cominciavano a prendere una piega più interessante. Sconfitto Dracula (ovviamente in maniera non definitiva), Harker e Mina tornavano a Londra con la consapevolezza che il conte era ancora vivo e pericolosissimo.

Il risultato era Dracula 2 – L’ultimo santuario, titolo che ci portava sulle strade della capitale dell’impero britannico, fra cimiteri, ville abbandonate e manicomi infestati, dando corpo digitale ad alcune delle pagine della storia meno note ai non-lettori.

Jonathan Harker, nostro alter-ego nei primi due episodi della serie

Con un lavoro di sceneggiatura in grado di rielaborare con maestria il materiale originario, il team Wanadoo Studio era riuscito a inserire uno degli elementi più interessanti del romanzo di Stoker e meno utilizzati nella maggior parte delle trasposizioni: lo scontro fra scienza e fede (non a caso per tutta l’avventura eravamo chiamati a lavorare in laboratori pieni di strani marchingegni), con un tono estremamente aderente ad alcune delle più interessanti pagine del romanzi, donando anche ai fan del personaggio un racconto dal sapore inedito.

Una tipica scena draculesca: Mina mezza morta, Harker che chiede cose e il dottor Seward che pazientemente risponde

La (vera) resurrezione

Il finale de L’ultimo santuario sembrava concludere definitivamente la serie con Dracula finalmente sconfitto, la sua nuova base-il “santuario” del titolo-crollata, il suo piano fallito e Mina e Harker finalmente liberi dalla maledizione.

Il tentativo di sfruttare una buona licenza letteraria sembrava aver esaurito la sua carica, ma è qui che il nostro racconto si fa più interessante: nel 2008 infatti Microids trasse dal cilindro la sua idea per continuare a utilizzare la buona licenza senza fare il sequel del sequel del sequel e, al tempo stesso, omaggiare in maniera intelligente Stoker.

Ma sì, andiamocene in piena notte al cimitero, sarà una passeggiata di salute!

L’inizio di Dracula – Il sentiero del drago era spiazzante: al posto di Harker il nostro alter ego era un sacerdote italiano inviato in Transilvania nel 1920 per curare la causa di canonizzazione di un medico in odore di santità, tale Marta. E già qui dovevamo intuire che la piega di Microids era un’altra rispetto al passato.

Coloro che avevano giocato i titoli precedenti si aspettavano di imbattersi ancora una volta la Transilvania nebbiosa e gotica del romanzo, e invece si ritrovavano fra rovine degli scontri fra Alleanza e Intesa durante la Prima Guerra Mondiale a dover fare i conti non tanto con leggende legate a vampiri, ma con un delicato caso che intrecciava religione, equilibri politici fra nazioni e, ancora una volta, scontro fra scienza e fede.

Soprattutto, però, emergeva un concetto interessantissimo: il mondo del terzo episodio della serie non era lo stesso dei precedenti e, anzi, in questo terzo episodio Dracula altro non era che il protagonista di un innocuo romanzo gotico, e lo era in modo acclarato.

Uccidendo il classico

E’ qui che emerge il legame più forte fra l’opera di Gatiss e Moffat e il lavoro di Wanadoo nel tentativo comune di dare nuova vita a una storia antica (cosa in parte fatta anche da Coppola e altri registi, ma in modo molto diverso).

Alla fine di Dracula 3 si scopre una tetra verità: Dracula è tutt’altro che una mera finzione e il libro di Stoker una storta di resoconto romanzato delle disavventure dei veri Jonathan Harker, Mina Murray, Abraham Van Helsing poi raccolti da Stoker. Con una differenza sostanziale, certo. Nella realtà Dracula aveva vinto, gli eroi finiti in pasto al conte e lo scrittore, venuto a conoscenza della storia, aveva voluto omaggiarli cambiando però il finale del racconto. E a questo punto non serve raccontare quanto male finisca la vicenda di Arno, il protagonista del gioco, di fronte alla potenza spietata del conte.

Tutti insieme a esplorare castel Dracula!

Non si trattava della rielaborazione “iconoclasta” di BBC/Netlix, ma era comunque di un atto di “violenza” straordinario nei confronti di un immaginario collettivo che veniva fatto a pezzi e riscritto secondo coordinate che potremmo definire quasi “nichiliste”. Un atto di forte e completa “sovversione” dell’originale che forse solo un videogioco, medium immersivo quanto un massiccio romanzo, poteva portare a compimento rielaborando le fonti originali, fondendole con le trovate degli sceneggiatori, permettendo di vivere i classici in un modo che fino ad allora sembrava molto difficile.

Esattamente quel che ogni buona trasposizione videoludica di un romanzo dovrebbe fare.

This post was published on 15 Gennaio 2020 12:03

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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