C’è uno strano fenomeno quantistico intorno alla realtà virtuale: a seconda della persona a cui chiedete, il VR può essere allo stesso tempo un fenomeno in grande ascesa o in costante declino. Se pensate che la discesa in campo di Valve con il nuovo Half-Life: Alyx abbia in qualche maniera spostato gli equilibri a favore di un lato o dell’altro, ho una brutta notizia per voi: ha avuto l’effetto opposto. C’è chi ha considerato questo come l’ultimo disperato tentativo di far decollare una tecnologia che sta arrancando, e chi lo considera come l’evento definitivo che andrà a consacrare la costante crescita degli ultimi anni. La verità, come spesso accade, sembra essere nel mezzo. Vediamo cosa dicono i numeri.
La realtà virtuale è uno strumento molto più vecchio di quanto non si creda, ma prima dell’arrivo di Oculus nel lontano 2012 i visori erano pesanti, qualitativamente scadenti, e molto costosi. Con l’arrivo del kickstarter di Oculus, e la raccolta di ben 2.4 milioni di dollari, si è iniziato a credere che le cose potessero cambiare. Inutile sottolineare che già in questo momento, senza che nessuno avesse mai avuto in mano il visore, il fenomeno quantistico sopra descritto fosse già osservabile, dividendo chi la vedeva come la più grande truffa su kickstarted e chi gioiva, lacrime agli occhi, per aver la fortuna di nascere in quest’epoca così tecnologica. In quale delle due casistiche si sia inserito Facebook è presto detto, visto che nel 2014, con una mossa a sorpresa, il colosso americano ha acquistato Oculus VR per la bellezza di 2.3 miliardi di dollari. I primi due prototipi, denominati DK1 e DK2, erano poco più che maschere da sub con delle lenti. Erano pesanti, poco attraenti, piene di cavi e cavetti, non avevano controller, e venivano spedite in degli scatoloni di pessima qualità, come se fossero dei libri di Amazon. Nonostante tutto, nel 2015, secondo statisica.com, hanno superato le 200.000 unità vendute.
Tutto cambia nel 2016 quando il primo prodotto commerciale, denominato Oculus CV1, viene rilasciato sul mercato. Rispetto ai prototipi, questo dispositivo ha una migliore gestione del cablaggio, è più leggero, ha le cuffie integrate, ma soprattutto ha due controller che permettono una interazione più efficace nell’ambiente simulato. Tutto sommato, incluse anche le varie versioni che hanno avuto poco successo come il Gear VR, Oculus ha venduto, dati alla mano, oltre 10 milioni di headset. Ma oculus non è stata l’unica compagnia a sviluppare degli headset. Sony ha rilasciato un caschetto compatibile con la sua Playstation denominato, con molta fantasia, PSVR, ha venduto ad oggi oltre 4.2 milioni di dispositivi – come spiegato magistralmente in questo articolo di Ars Technica. L’altro valido concorrente è stata Valve, tramite la sua piattaforma Steam, il quale ha collaborato a stretto con la taiwanese HTC per produrre il proprio headset, l’HTC Vive. Non sono mai state rilasciate cifre ufficiali, ma secondo alcune stime si parla di 500.000 copie nel primo anno, e di 1.8 milioni negli anni successivi. A tutto questo, si devono aggiungere le vendite della nuova generazione, da poco uscita, di cui fanno parte Oculus Quest, Oculus Go, HTC Vive pro e, segnatevi il nome perché sarà il trend di natale, il Valve Index. Stabilendo un prezzo medio di circa 350 euro – arrotondato al ribasso, per gli almeno 16 milioni di headset venduti finora, si parla di un giro d’affari di 5 miliardi e mezzo di euro in quattro anni effettivi sul mercato, escludendo i giochi.
Dati alla mano, le vendite sono incoraggianti, ed il mercato non sembra essersi ancora saturato. Chi prova il VR ne rimane spesso impressionato, soprattutto se l’headset in questione è di fascia alta, creando una sorta di fidelizzazione. Purtroppo però capita anche il contrario: se una persona ha una brutta esperienza, e ciò accade quando si provano headset scadenti come quelli “mobile” o applicazioni che causano motion sickness, l’impatto è fortemente negativo e contribuisce ad aumentare la schiera dei “negativisti”.
Lato vendite c’è da sottolineare un altro deterrente non da poco, ovvero il costo dei visori. La prima generazione andava dai 400 ai 600 euro per un headset, completo di controller, cavi e telecamere per il tracciamento nello spazio. A questo costo si doveva poi sommare quello del computer, che doveva avere delle prestazioni minime di un certo livello per essere compatibile. Il costo totale partiva dai 1.500 euro per il setup completo, un prezzo non impossibile ma neanche troppo accessibile. I dispositivi mobile invece scendevano fino a 10-15 euro, dato per assunto che il telefono fosse compatibile, un prezzo che ha invogliato molte persone a provare – e a pentirsene. Oggi Oculus Quest rappresenta una soluzione perfetta al problema, garantendo una buona – ma non eccellente – qualità di gioco con un dispositivo che non richiede hardware aggiuntivo, il tutto per 450 euro. Al contrario, il nuovo Valve Index, nel suo bundle completo, viene a costare oltre 1.000 euro, a cui vanno aggiunti quelli della macchina per farlo girare. La qualità però, è assicurata, soprattutto grazie ai controller da palmo che garantiscono un finger tracking di qualità, fondamentale per portare il VR un passo oltre.
Un’altra critica che è stata spesso mossa alla realtà virtuale è che non ci sono abbastanza titoli interessanti. Per quanto la massa di giochi non sia effettivamente compatibile con quello desktop, è una critica che non trova riscontro nei numeri. Nello sviluppo dei videogiochi, quattro anni sono un tempo relativamente breve. e non a caso Half Life: Alyx è il primo titolo AAA disegnato e prodotto per il VR. Sarà sicuramente una pietra miliare del mezzo, ma non sarà uno spartiacque così titanico come si vuole credere, dato che finora le vendite di giochi sono state eccellenti a prescindere, e che probabilmente vedremo altri titoli simili sbucare fuori dal nulla nei prossimi mesi. Due dei giochi dedicati al VR che hanno fatto le vendite più alte sono Beat Saber, con oltre un milione, e Arizona Sunshine, che aveva riportato nel 2017 un guadagno di oltre 1.4 milioni di dollari. A questi va sommato il significativo risultato di SUPERHOT VR, il quale ha generato un incasso maggiore del titolo desktop stesso. Si potrebbero aggiungere anche i giochi PC adattati a VR come i vari simulatori di corsa Pay Day 2, Fallout 4 e altri, ma sarebbe difficile dividere le vendite desktop da quelle reali. Insomma, il mercato dei giochi VR per quanto appena avviato se la sta cavando benissimo anche senza Valve, ma questo non significhi che il gioco non darà una ulteriore spinta a questo mercato.
Ciò che sembra apparente è che il VR come strumento sia qui per restare, e che non sarà mai in grado di convincere tutti. Un pò come sta accadendo con le piattaforme di distribuzione o per i servizi di cloud gaming, la probabile soluzione è che i servizi saranno in competizione ma che non riusciranno a prevalere l’uno sull’altro. L’utenza del mondo dei videogiochi è immensa ed il giro d’affari che c’è dietro consentirà a molte soluzioni di esistere contemporaneamente, senza dover per forza aspettarsi che uno degli attori ceda ed esca dal gioco. Inoltre, chi si innamora del VR compra i titoli e lo fa spesso a prezzo pieno, ed i numeri visti sopra non fanno pensare ad un crollo del mercato nell’immediato futuro. E’ altrettanto vero che i detrattori non si placheranno da un giorno all’altro, e che problemi intrinsechi del mezzo come costo e motion sickness non verranno risolti dall’oggi al domani. Certo, delle soluzioni già si possono trovare, ma sono un compromesso che non fa giustizia al potenziale massimo che il VR può esprimere quando in condizione. Il punto centrale resta comunque l’esperienza dell’utente. Le vendite di Half-Life: Alyx in questo senso saranno un indicatore di quanto un grande investimento su una IP di successo possa portare vendite per un gioco VR-only, e se sarà lecito aspettarsi altrettanti sforzi da altre compagnie in futuro. A prescindere da ciò, l’idea è che Half-Life: Alyx in nessun caso ne potrà essere pietra tombale o definitva consacrazione.
This post was published on 23 Novembre 2019 12:47
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