Da quando Death Stranding è ufficialmente arrivato sugli scaffali fisici e digitali dei negozi di tutto il mondo, il web intero non ha fatto altro che parlarne tirando fuori le più varie argomentazioni possibili. Tra la critica americana che sembra non aver apprezzato le idee di kojima, le lodi spergiurate di noi europei ed il quaranta/quarantesimi di Famitsu stessa, abbiamo avuto modo di osservare con gusto le reazioni molto differenti che si sono formato da una parte all’altra del mondo.
Mentre scriviamo questo articolo abbiamo qualcuno che si sta mangiando il gioco nel tentativo di recensirlo in tempi utili, qualcuno che sta piangendo alla ricerca di tutti i segreti possibili per stilarne tutte le guide possibili ed immaginabili e così via. Tra i meme sui simulatori di fattorini ed i trailer che ci sono stati consegnati nel corso dei tre anni di copertura mediatica, possiamo soltanto lodare il devastante immaginario creato per ambientare le vicende di Norman Reedus, Mads Mikkelsen e soci.
Ecco, nel corso di questo articolo andremo a vedere tutta una serie di opere che richiamano, anche in maniera trasversale, il mondo spezzato di Kojima e quella grande voglia di connessione che viene sintetizzata in tutte le dichiarazioni fatte. Videogiochi, serie animate, film, libri, album musicali e chi più ne ha più ne metta; andiamo insieme a trovare risposte per queste domande.
Quali videogiochi possono aver in un certo senso anticipato la “rivoluzione” che Kojima ha voluto mettere in atto con il suo Death Stranding?
Troviamo inutile in questo caso citare tutta la ludografia che Kojima si porta dietro come un pesantissimo fardello: impossibile non vedere le scelte registiche maturate nei vari Metal Gear Solid tridimensionali sublimare ad uno stato superiore nelle cutscenes o nelle scelte estetiche del suo nuovo titolo, impossibile non vedere negli attori coinvolti le velleità cinematografiche di Kojima finalmente realizzate, dopo aver truccato Snake da Kurt Russel e da Mel Gibson durante il corso della sua carriera.
Dal punto di vista prettamente ludico invece possiamo parlare di come ,plausibilmente, il multiplayer asimettrico di Death Stranding possa vedere in Journey di ThatGameCompany il suo più importante progenitore. Mentre i messaggi ed i segnali sparsi in giro odorano di Dark Souls fin dal primo momento, soltanto l’open di TGC ha messo in primo piano il concetto di connessione tra giocatori in maniera così viscerale, dando forse il là al processo creativo che ha portato il Social Strand System nella mente di Kojima.
Come non citare invece videogiochi come Hollow Knight o Nier AutomatA?
Sebbene tutti appartenenti a generi lontani dalla proposta ludica del nostro game designer nipponico, i mondi tratteggiati di volta in volta sembrano flitrtare in un modo o nell’altro con le terre dell’UCA. Hollow Knight con il suo Nidosacro, ad esempio, ci farà navigare sulle spoglie di una civiltà ormai profondamente cambiata da eventi generali del mondo fino a scoprirne i segreti più assurdi; Nier AutomatA mostra al giocatore, nelle trenta ore di gioco necessarie al suo completamento, una società post apocalittica con sparsi barlumi di umanità nascosti tra le macerie, raffigurando nel connettersi vicendevolmente comunicando il più grande incentivo alla sopravvivenza che la storia abbia mai dato all’umanità.
Dal punto di vista prettamente naturalistico, a nostro parere, il gioco che più si avvicina alle sensazioni di Death Stranding è Shadow Of The Colossus, il titolo di Fumito Ueda recentemente rimasterizzato da Bluepoint Games. La terra proibita che ospita i colossi è desolata e desolante, piena di picchi scoscesi e di panorami che mozzano il fiato tanto per la bellezza quanto per la solitudine procurata. L’america dipinta da Kojima è certamente più triste e moderna del fantasy di SOTC ma sembra richiamare, sopratutto stilisticamente, certi scorci e certi respiri inizialmente razionalizzati per uno dei titoli più importanti del gaming moderno.
Kojima ci tiene sempre a ripetere che è composto per il settanta percento da cinema invece che da acqua e onestamente non sappiamo come dargli torto. I riferimenti cinematografici nelle sue precedenti opere sono molteplici e andando avanti con il tempo, il mondo dei giocatori finirà per scoprire tutti i segreti e gli easter eggs che il nuovo titolo dell’autore nipponico nasconde. Dal punto di vista stilistico/tematico invece non abbiamo bisogno di aspettare perché molti paralleli possono essere fatti fin da ora.
Ad esempio uno dei film che più condivide con Kojima l’atmosfera è Children Of Men, film di Alfonso Cuaròn uscito nel 2006 che mette sulle spalle di un uomo il futuro dell’umanità. In entrambi i casi avremo a che fare con bambini molto più importanti della norma, con gruppi di dissidenti e con una terra profondamente cambiata da qualche che non siamo stati abbastanza bravi a controllare. Children Of Men è dichiaramente meno fantascientifico dell’opera di Kojima ma riesce, in modo diverso, a comunicare la pesantezza del fardello che a volte singoli uomini si trovano costretti a portare in spalla.
Parlando di comunicazione invece un film che sembra toccare questo tema con una forza interessante è il recente Arrival di Denis Villeneuve, opena cinematografica che racconta il primo contatto tra esseri umani ed alieni da un punto di vista prettamente linguistico. L’intero film ruota intorno all’importanza della comunicazione e del mezzo linguistico; quest’ultimo, grazie al lavoro della protagonista, diventerà la prima vera e propria connessione tra un umanità molto simile a quella odierna ed una razza aliena infinitamente lontana dal nostro modo di intendere e pensare, tra scritture palindrome e visioni del futuro. Anche dal punto di vista paesaggistico il titolo può ricordare in qualche modo Death Stranding, tirando fuori infinite lande solitarie o gelide strutture tecnologiche che quasi sembrano aliene.
Dal punto di vista prettamente tematico qualcosa di molto interessante lo troviamo in The Discovery, film di Charlie Mcdowell del 2017 che parte da un elemento narrativo non particolarmente lontano da quello Kojimiano. Nel mondo di Death Stranding la vita e la morte non sono prettamente separati come nel mondo reale, bensì sono confusi e sfocati tra di loro con continue incursioni di uno nell’altro. Nel film sopracitato, uno scienziato scopre l’esistenza dell’aldilà e questo confonde profondamente la società umana che si getta in una spirale senza fine di suicidi al fine di raggiungere l’agognato altro lato; un mondo distrutto dall’azione dell’uomo, con una scoperta pericolosa a fare da miccia al tutto.
Fortissimo è il parallelismo che è possibile trovare tra L’uomo del giorno dopo e Death Stranding. Entrambe le opere parlano di un uomo che sta riportando la civiltà presso un umanità ed una terra che sembrano lontanissime dai giorni nostri; entrambi letteralmente consegnando pacchi/lettere da una parte all’altra di questa America post tutto, entrambi si trovano a dover lottare con una fazione avversario per motivi che non vi stiamo a spiegare.
Dulcis in fundo, ci sembra impossibile non parlare di Stalker di Tarkovskij, non tanto perché a livello tematico effettivi collegamenti ci sono, quanto perché è difficile non provare a fare un parallelo tra la zona e l’america di Death Stranding. La zona va attraversata con calma e saggezza, al fine di non finire vittima delle anomalie lì presenti.
Un luogo quasi dimenticato dal tempo e dall’uomo, o dove comunque l’uomo non ha più diritto di parola; concept rovesciato prepotentemente in Death Stranding dove grazie alla collaborazione tra più giocatori sarà possibile fare la differenza.
Il più imperdibile di tutti, ovviamente, è 2061 – un anno eccezionale, film di Carlo Vanzina con Diego Abatantuono protagonista che parla di un italia divisa in un futuro distrutto dalla crisi energetica; se proprio siete a secco di materiale con cui passare il tempo questo film potrebbe farvi rimpiangere l’apertura di questo articolo.
Alcuni frammenti di Death Stranding possono essere ritrovati anche all’interno della sterminata produzione animata nipponica. La tecnologia presente all’interno di Death Stranding, ad esempio, per il suo stile di disegno minimale se non industriale potrebbe tranquillamente uscire da uno spin off di Gantz di Hiroya Oku, un po’ come potrebbe uscire da una versione particolarmente addolcita dei manga ultrafuturistici di Tsuhomu Nihei.
Un altro manga che condivide con Death Stranding qualcosa a livello di ambientazione e setting è Girls Last Tour, un manga ad ambientazione post apocalittica realizzato da Tsukumizu. Il titolo racconta la vita quotidiana della coppia di protagoniste Yuuri e Chito all’interno di un paesaggio disintegrato da una guerra senza fine, fatto di macerie, ruderi ed edifici completamente privi di vita ed abitanti. Le protagoniste dell’opera, nonostante questa premessa tutto fuorché allegra, riescono però a trovare dei momenti di poesia e tranquillità all’interno di questa loro nuova vita e, pertanto, viene spontaneo fare un parallelo con quello che il giocatore finirà plausibilmente per provare dopo aver corso per centinaia di metri alla ricerca di un riparo dall’ambiente esterno o alla sensazione di soddisfazione che si prova nell’esser tornati sani e salvi all’interno di uno degli avamposti presenti sulla mappa di gioco.
Dal punto di vista dell’ambientazione difficile non pensare al mondo di Ergo Proxy, praticamente inabitabile e costretto a città cupola. Le sterminate terre distrutte presente nell’opera dei Manglobe sembra una versione portata all’estrema conseguenza dell’america ideata dal nostro Hideo di fiducia, più vicina a tematiche di stampo cyberpunk che ad altro. Le città di Ergo Proxy, chiamate Dome, potrebbero tranquillamente essere una versione futura degli avamposti immaginati da Kojima lungo l’america spezzata, con un pizzico di comunicazione in più ma con lo stesso senso di inalienabile solitudine che pervade le ossa di chi li visita.
Dal punto di vista musicale le atmosfere di Death Stranding sono state ampiamente delineate da Kojima stessa con un operazione commerciale chiamata Death Stranding: Timefall (original music from the world of Death Stranding): un intero album di otto tracce realizzato in occasione della release del gioco da svariati artisti del circuito pop e non attuale. Nomi insospettabili come Major Lazer & Khalid, Missio, Alan Walker sono stati affiancati ad alcuni più vicini come i CHVRCHES (già autori di canzoni per il mondo dei videogiochi, come la main track di Mirror’s Edge Catalyst) o i Bring Me The Horizon (vicini alle opere di Kojima, già citate in un vecchio pezzo del gruppo). A ciò si aggiunge una ricca colonna sonora originale realizzata da Ludvig Forsell e da Low Roar, il progetto del musicista californiamo Ryan Karazija che sottolinea determinate momenti di gioco con sapiente maestria (risultando sicuramente più sensato del lavoro fatto per Timefall NDR)
Noi di Player.it qualche settimana fa abbiamo voluto dire la nostra realizzando una playlist di qualche ora piena di pezzi che tecnicamente possono fare il pelo a quelli che il titolo inseriesce all’interno della sua colonna sonora: alle ballate malinconiche dei Low Roar abbiamo accoppiato i pianti lontani dei Rome, le nenie di Portishead o le cavalcate post apocalittiche degli Swans più recenti. L’america distrutta disegnata da Kojima ha paralleli con quella descritta dai primissimi Godspeed You! Black Emperor, con il naturalismo spinto dei Balmorhea e con le città posturbane di Burial.
Ne abbiamo parlato in modo approfondito qui se siete curiosi!
Se volete invece gettarvi ad esplorare questa musica per conto vostro abbiamo un semplice consiglio: ascoltate i Sigur Ròs, quelli oscuri di Kveikur.
This post was published on 12 Novembre 2019 13:45
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