La consuetudine dei survival horror degli ultimi anni è quella di far immedesimare il giocatore implementando la visuale in soggettiva – a tal punto che Capcom l’ha adottata nel settimo capitolo di Resident Evil, saga che si è sempre retta sulla terza persona – e di non permettergli di muovere un muscolo per combattere, ma solo per scappare dalle minacce che incontra lungo il suo cammino.
Non a tutti piace una formula del genere, a molti infatti sembra irrealistico che una persona di altezza e corporatura media non sia in grado di percuotere con un oggetto contundente il nemico che avanza, facendo leva sul proprio istinto si autoconservazione.
Eppure, questa dinamica funziona, uno studio di sviluppo in gamba riesce a conciliare realismo delle reazioni umane e la giusta tensione che un horror dovrebbe trasmettere. Inoltre, non è un filone certo nato oggi, ma è stato mutuato nel tempo da titoli come Clock Tower e simili, ad esempio Haunting Ground e Rule of Rose.
In questo speciale di Halloween, stiliamo una lista di cinque videogiochi in cui la fuga è la scelta migliore, se non l’unica percorribile.
Amnesia: The Dark Descent, titolo sviluppato da Frictional Games, è ormai diventato un vero cult nella produzione horror videoludica, un po’ come La Cosa di Carpenter per il cinema. La storia riprende, in parte, il racconto di Lovecraft, L’estraneo, mettendo il giocatore nei panni di un protagonista che si risveglia in un antico maniero senza alcun ricordo del proprio passato. In Amnesia tutto si gioca sul filo della tensione, grazie alla saggia decisione degli sviluppatori di non infarcire il gioco di nemici in ogni angolo buio, cosa che avrebbe smorzato molto la sensazione di angoscia. Il giocatore sta sul chi va là per ogni ombra che intravede e ogni suono che sembra avvicinarsi ad ogni passo. I mostri di Amnesia sono creature deformi, andare loro incontro è un suicidio, la fuga è l’unica soluzione. In Amnesia: The Dark Descent non si scappa solo dai mostri, ma anche dall’oscurità. Le zone buie vanno illuminate o, se a secco di risorse, evitate dandosela a gambe levate in direzione di una fonte di luce, altrimenti la sanità mentale potrebbe scendere sotto livelli preoccupanti.
Videogioco del 2014 sviluppato da The Creative Assembly in cui la fuga non è l’unica via, ma preferibile in moltissimi momenti dell’avventura. In Alien: Isolation ci sono nemici umani, androidi impazziti e, ovviamente, l’Alien. Nel primo caso, è possibile combattere con armi da fuoco e da mischia o scegliere un approccio stealth, anche se l’ambientazione è disseminata di shortcut e passaggi segreti – soprattutto sistemi di areazione – che permettono di sgattaiolare via incolumi. Nel caso degli androidi, invece, combatterli è l’ultima spiaggia perché sono resistenti e oltremodo intelligenti, un manganello elettrico potrebbe fare la differenza, ma la fuga è sempre e comunque l’opzione da preferire. Se ci trovassimo faccia a faccia dell’Alien e volessimo punzecchiarlo, saremmo degli incoscienti… morti. Scappare, nascondersi e non voltarsi indietro, queste le regole per sopravvivere di più.
Il centro di ricerca Pathos-II, situato sui fondali dell’Oceano Atlantico, è l’ambientazione che Frictional Games, ancora loro, ha scelto per farci correre in tondo nel tentativo di non farci acchiappare da macchine poco amichevoli e creature mutanti che non si pongono molte domande alla vista di un intruso. Seppur meno ansiogeno di Amnesia, Soma è uno dei migliori esempi di videogiochi in cui la fuga è la scelta migliore. Combattere è praticamente una causa persa, dunque, non potremo fare altro che muoverci di soppiatto o accelerare il passo non appena vedremo che la situazione si è fatta delicata. Bellissime le ambientazioni sottomarine, peccato che spesso le vedremo sfrecciare come se stessimo su un treno perché le nostre gambe cercano di portarci in salvo.
La serie Outlast di Red Barrels è il primo esempio che viene in mente quando si pensa ai videogiochi in cui è meglio scappare. Nel primo capitolo il protagonista è un giornalista freelance che va in un ospedale psichiatrico abbandonato, più o meno, armato di sola videocamera (gran bell’idea, davvero). In questo luogo, prendere uno dei tanti oggetti contundenti sparsi per le location per difendersi sembra urtare la sensibilità del protagonista che decide quindi di scappare in qualsiasi situazione. Pazzi scatenati, un veterano dell’Afghanistan un po’ troppo cresciuto e un medico folle armato di forbici che fanno tanto Clock Tower sono i nemici che dobbiamo evitare facendoci largo tra i claustrofobici corridoi della struttura. Nel secondo capitolo, invece, un cameraman (fare il giornalista è davvero pericoloso) va alla ricerca della moglie scomparsa dopo un incidente in elicottero, accaduto durante le riprese di un reportage. Spazi più ampi, location rurali, riferimenti religiosi e sessuali come se piovessero, ma la stessa poca voglia di prendere un martello per farsi giustizia da soli. A parte gli scherzi, la serie Outlast è davvero tra le più emozionanti di questo filone.
Videogioco sviluppato da Stormind Games che ha ricevuto il riconoscimento di miglior titolo italiano ai Video Game Awards tenutisi a Roma quest’anno. Remothered è l’unico gioco della lista a presentare una visuale in terza persona, ma proprio come gli altri concede al giocatore poche possibilità di difesa contro gli “stalker”. La protagonista è Rosemary Reed, una dottoressa, a suo dire, che si reca nella lussuosa casa di Richard Felton, un anziano notaio affetto da problemi psichici. In realtà, la Reed vuole investigare sulla scomparsa di Celeste, la figlia di Felton. Smascherata, dovrà trovare gli indizi in grado di portare alla luce la verità e, nel contempo, fuggire dalle grinfie degli abitanti della casa. Il giocatore può nascondersi, lanciare oggetti per tramortire i nemici e, per l’appunto, darsi alla fuga. L’IA dei nemici è molto avanzata permettendo al giocatore pochissimi errori: qualsiasi rumore può allertarli e dare inizio a una caccia spietata.
This post was published on 16 Ottobre 2019 13:23
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