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Speciali

Hong Kong: la rivolta secondo Riot e la bufera in casa Blizzard – i fatti in breve

Quella della protesta di Hong Kong è una tematica a cui, nel nostro paese, non si sta dedicando una copertura mediatica degna di tale evento ma che nello stesso momento in cui stendiamo questo articolo sta letteralmente scuotendo gli equilibri di molte aziende occidentali incendiando di conseguenza l’opinione pubblica.

Cosa sta accadendo ad Hong Kong?

Manifestanti tra le strade di Hong Kong.

Dallo scorso Marzo la popolazione di Hong Kong si è mobilitata in massa per protestare contro le nuove manovre del governo cinese sull’estradizione, l’ennesimo giro di vite sull’ex colonia inglese che vede ancora una volta minacciata la propria autonomia e i diritti umani.
Queste proteste sono solo il culmine delle tensioni tra i due paesi e gli ordinamenti sull’estradizione sono stati percepiti dal popolo di Hong Kong come un pretesto da parte del governo cinese per esercitare ancora più controllo sulla popolazione. Ad esempio, ricollegandosi a episodi già avvenuti come la messa al bando di determinati libri e la “misteriosa” sparizione di alcuni personaggi ritenuti scomodi.

Il dissenso delle folle è stato dimostrato da cortei e marce pacifiche per le strade della città costituiti principalmente da giovani studenti e parte della classe dirigente. Naturalmente la risposta non è stata altrettanto pacifica sfociando in episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine come testimoniano le immagini dell’aeroporto di Hong Kong che hanno fatto il giro del mondo la scorsa estate espandendo così la voce dei manifestanti.

Sfruttando i social e le vetrine internazionali offerti anche da alcuni eventi (come i tornei Esports) alcune persone hanno cercato di mostrare il loro appoggio alle proteste in atto cercando di alzare la consapevolezza di quanto sta accadendo. Così facendo, però, si sono venuti a creare veri e propri eventi mediatici che hanno messo in difficoltà molte delle aziende coinvolte soprattutto quelle che da anni intrattengono collaborazioni con lo stato cinese.

Un tweet in fuorigioco

Il tweet di Daryl Morey.

Uno di questi casi è sicuramente quello della NBA dove Daryl Morey, General Manager dei Houston Rockets ha apertamente dimostrato il proprio supporto ai manifestanti di Hong Kong sul proprio profilo Twitter. Il post è stato prontamente rimosso ma quel poco tempo online è bastato per scatenare un nuovo dibattito sulla libertà d’espressione e sul troppo peso che le aziende americane danno al mercato cinese. L’ingenua azione di Morey ha avuto ripercussioni non solo sugli introiti della propria squadra, che si è vista in tempi record cancellare ogni merchandise degli store online in Cina e la sospensione di alcune partnership, ma anche sulla stessa NBA con l’oscuramento della partita dei Lakers contro Nets che si stava svolgendo proprio in quei giorni. Un danno all’azienda non indifferente dato anche il successo enorme di questo sport in Cina.

La rivolta secondo Riot

Gli Hong Kong Attitude in postazione.

E’ ormai ben noto che gli Esport sono un fenomeno che in Cina viene preso molto seriamente, è quindi interesse delle aziende evitare di mischiare giochi e politica per il bene dell’evento. Alcune manovre però hanno un sapore amaro e quasi Orwelliano come dimostra quanto accaduto durante la League of Legends World Championship.

Ciò che ha insospettito i fan del MOBA è stato il comportamento di alcuni commentatori; durante la diretta il commento sembrava alludere ad una forma di censura delle parole “H o n g  K o n g” per evitare qualsiasi accostamento semantico con le proteste in atto. Ad avvalorare questa tesi è il continuo correggersi dei commentatori nel nominare il team degli Hong Kong Attitude prontamente abbreviati in HKA.

Successivamente lo strano ritardo dell’intervista post match agli Hong Kong Attitude, ha destato ulteriori sospetti negli spettatori che hanno recepito la cosa come un passaggio attraverso il filtro della censura prima della messa in onda.

Qualche ora dopo Ryan Rigney, responsabile comunicazioni di Riot, ha affermato che non c’era alcun divieto di pronunciare le parole Hong Kong e che le correzioni sul nome della squadra erano solo frutto di errori di comunicazione interna durante la diretta. Ciò però non ha sanato i dubbi nutriti dagli spettatori.

La bufera in casa Blizzard

L’evento che attualmente è sulla bocca di tutti è sicuramente quello che riguarda la casa di Irvine che ha portato ad un vero e proprio movimento sia interno che esterno da parte di fan e dipendenti.

Le cause scatenanti sono state le parole del Pro-Player di Hearthstone Chung “Blitzchung” Ng Wai che durante lo scorso Grandmaster ha dimostrato in diretta il suo appoggio alle manifestazioni in atto nel proprio paese. Di tutta risposta la Blizzard ha non solo bannato il giocatore per un anno ritirandogli in seguito la vincita del torneo, ma ha anche licenziato i due commentatori che stavano tenendo l’intervista post partita.

Uno delle tante immagini di Mei manifestante.

Le azioni prese dall’azienda hanno ricevuto un fortissimo ritorno di fiamma che a poche settimane dalla Blizzcon sicuramente non gioverà alla loro reputazione (soprattutto dopo l’andamento altalenante della scorsa edizione).

Subito dopo l’accaduto i fan di tutto il mondo hanno cominciato a reagire contro la software house tentando di boicottare la stessa elevando Mei, eroina di Overwatch, a icona della protesta in modo da far abolire uno dei titoli più redditizi dal mercato cinese. Altri fan hanno reagito cancellando i propri account Battle.net mentre altri si sono limitati ad esprimere il proprio dissenso sui social con hashtag appositi come #BoycottBlizzard .

Ma perchè il caso Blizzard è così eclatante? La risposta è incisa proprio sotto la statua all’entrata del campus:

Every voice matters.

Ogni voce è importante, uno dei capisaldi della Blizzard insieme a Think Globally si vede ora calpestato dalle proprie stesse azioni.

Azioni che sono state recepite come ipocrite anche dagli stessi dipendenti che hanno la scorsa mattina coperto questi “dogmi” della casa protestando per quanto avvenuto, unendosi ad un sentimento di delusione provocato da quella stessa casa che si è sempre battuta per l’inclusione e soprattutto con Overwatch si faceva portavoce della lotta per un futuro migliore.

Cosa si cela dietro questi avvenimenti?

Quelli di cui abbiamo parlato sopra sono solo alcuni degli episodi che si stanno verificando negli ultimi giorni. Se da un lato ci si può (anzi ci si deve) indignare per le politiche in atto in alcuni paesi, dall’altro è bene conoscere alcune dinamiche interne di molte aziende che naturalmente salvaguardano i propri interessi in nome di accordi pregressi.

Proprio per quanto riguarda le aziende sopra citate possiamo fare riferimento alla Tencent, colosso imprenditoriale cinese che ha investito in tantissimi campi tra cui anche quello videoludico, quindi vien da sé che evitare di parlare di Hong Kong o di altri argomenti tabù sia mandatorio per le industrie che hanno accordi con determinati finanziatori.
Il problema in sostanza nasce quando la politica aziendale e la filosofia di quest’ultima cominciano a collidere fra loro proprio come nel caso di Blizzard che punisce pesantemente un giocatore che non rispetta un regolamento pre firmato, mentre inneggia alla libertà di parola.

Videogiochi e politica sono sicuramente due argomenti che dovrebbero essere sempre separati, ma se il tuo pubblico è la politica stessa quale futuro attende i giocatori e l’industria videoludica?

 

This post was published on 10 Ottobre 2019 17:48

Diego Del Buono

Classe 1992 Studente di lingue cresciuto a pane e videogames, dalla Super Nintendo a tutta gamma Playstation. Nel 2007, scoperto l'online gaming con World of Warcraft, il suo interesse per il mercato videoludico è cresciuto a dismisura. Il suo sogno è di trasformare la sua passione per i videogames in un lavoro. Proprio parlando di WoW, spesso lo troverete su Twitch con il suo canale Ilvecchiojameson.

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