Estate 2009: l’età d’oro dei cinecomics era ancora a uno stato embrionale. L’MCU aveva partorito Iron Man e l’Incredibile Hulk, suoi primi blockbuster, e la guerra fredda fra la Casa delle Idee e da DC Comics era ancora combattuta solo attraverso le vendite degli albi in fumetteria, mentre Christopher Nolan aveva riproposto con successo Batman al cinema rinvigorendo l’attenzione sul fumetto di supereroi d’autore, grazie anche al Watchmen di Zack Snyder. Il pipistrello di Gotham dominava su tutto, e all’orizzonte nessuno sembrava attentare allo strapotere DC… e fu proprio in quel momento di calma che essa decise di concretizzare un suo piano ambizioso: conquistare le console di tutto il mondo attraverso un nuovo brand videoludico.
Per farlo, Rocksteady, il team responsabile del progetto, si affidò a una delle più belle storie a fumetti di ogni tempo, capace tanto di affascinare quanto di far riflettere sulla natura umana.
Il gioco era Batman: Arkham Asylum, e uscì il 25 agosto 2009.
Esattamente dieci anni fa.
Il contesto
Il mondo dei titoli tratti dai fumetti è, come sempre quando si parla di titoli basati su licenze, molto variegato e ricco di passi falsi.
Gli anni immediatamente precedenti ad Arlham Asylum erano stati costellati di titoli ispirati a questo o a quel supereroe, complice la fortuna dei film di Spider-Man o degli X-Men; tuttavia, proprio per la loro natura derivativa dal cinema, di frequente si trattava di titoli poveri e senza grandi ambizioni, spesso destinati a cadere nel dimenticatoio e a essere inevitabilmente bocciati in sede di recensione.
Titoli, insomma, che non sembravano avere la spinta artistica necessaria a sfondare, che si nascondevano dietro l’ingombrante figura dei film o dei fumetti che li ispiravano e che, per questo, godevano di budget carenti.
Il risultato? A parte qualche esempio, tanta roba molto volentieri dimenticabile.
Cosa voleva dire ciò? Semplice: che quello dei giochi tratti dai fumetti era un immenso terreno fertile ancora in cerca del suo attore forte.
La più lunga notte del Pipistrello
Arkham Asylum non era un tie-in come tutti gli altri: nell’incedere della sua trama, nella caratterizzazione, dei personaggi, nel tono scelto per la narrazione, sembrava più la versione videoludica di un buon racconto d’assedio, con un supereroe costretto a esplorare un unico, immenso luogo e ad affrontare con le minacce barricate al suo interno.
Insomma, un’impostazione più vicina a quella di un Metal Gear Solid in cui il cammino del personaggio seguiva l’esplorazione delle diverse aree di un’unica location, piuttosto che i vasti livelli basati sulla ricreazione di quartieri cittadini o laboratori segreti, come nel caso della maggior parte dei giochi con protagonisti i supereroi. La vera novità in termini di level design era, in realtà, l’inserimento di Batman all’interno di un contesto semi-open-world, con la possibilità di girare quasi liberamente nel mondo di gioco affrontando sfide primarie e secondarie.
La trama: in una notte tempestosa, Joker capeggia una rivolta che riesce a neutralizzare il corpo di guardia e il presidio medico dell’Arkham Asylum di Gotham City minacciando di uccidere gli ostaggi se Batman non entrerà nel manicomio e non affronterà le diaboliche sfide preparate per lui. Batman, ovviamente, accetta, ma l’impresa è ardua. Anzitutto deve risolvere enigmi molto ben ingegnati che gli permettono di sbloccare nuove aree e, soprattutto, svelare le macchinazioni del pagliaccio assassino a capo della rivolta.
In secondo luogo, il Nostro deve battere l’esercito di rivoltosi e alcuni dei più interessanti villain DC (fra i tanti Spaventapasseri, Poison Ivy e Harley Quinn) in spettacolari combattimenti acrobatici attraverso un divertente sistema di combattimento corpo-a-corpo, primo utilizzo “popolare” del free-flow combat system: attraverso attacchi in sequenza andati a segno, il personaggio guadagnava potenziamenti per gli assalti successivi e al contempo punti esperienza per evolvere alcune abilità. Un sistema innovativo per il videogioco mainstream dell’epoca, ma che farà tanto scalpore da essere adottato da molti altri titoli negli anni successivi (tra i tanti: La terra di mezzo – L’ombra di Mordor, Ryse-Son of Rome e Mad Max) senza tuttavia raggiungere l’efficacia dei titoli Rocksteady.
Infine, come in ogni grande storia di Batman, il pipistrello deve fare la cosa più difficile, ovvero affrontare i suoi demoni interiori, che si concretizzano in terribili visioni sul suo passato.
Insomma: tutto ciò che c’è di bello e oscuro in Batman veniva proposto, amalgamato con mano ferma e ben inserito in una storia di largo respiro, una storia in grado di esplorare varie dimensioni del supereoe DC.
Una storia che però, di fatto, esisteva già da una ventina d’anni.
Il “vero” Arkham Asylum
A differenza della maggior parte dei videogiochi della sua categoria, Batman: Arkham Asylum affondava la sua sceneggiatura (non a caso scritta dallo specialista Paul Dini, fra i più importanti sceneggiatori DC Comics degli ultimi decenni), o per lo meno il suo plot, in una singola storia e non, genericamente, su una serie, un ciclo o semplicemente l’ambientazione del fumetto da cui era tratto. La storia in questione si chiamava ovviamente Batman: Arkham Asylum, ma a completare il titolo c’era un’enigmatica citazione: Una seria casa su un serio suolo, da Church going, poesia di Philip Larkin.
Si tratta di una storia di circa centotrenta pagine (nell’edizione Planeta del quindicesimo anniversario) realizzata dai britannici Grant Morrison (dietro la sceneggiatura dalle tante sfaccettature esoteriche) e Dave McKean (dietro gli allucinati disegni) partorita nel 1989, durante una stagione molto importante per la rinascita del fumetto supereoistico: dopo un dopoguerra caratterizzato da un’industria del fumetto in grado di partorire tanto delle buone run quanto cose assolutamente dimenticabili, geni come Alan Moore, Frank Miller e, al di fuori del fumetto dei supereroi, Art Spiegelman, avevano rifondato la forma e lo spirito del fumetto americano e britannico attraverso storie in grado di riscrivere le regole tecniche del fumetto e di dimostrare come la nona arte potesse ergersi ad alta letteratura: era nata definitivamente la graphic novel moderna, grazie a romanzi come Watchmen, Il ritorno del Cavaliere Oscuro e From Hell.
L’opera di McKean e Morrison, pur essendo più contenuta in quanto a pagine rispetto alle opere appena citate, riusciva tutavia nello stesso obiettivo: rileggeva parte della mitologia e dello spirito di Batman in senso postmoderno, svecchiando i suoi contenuti. Nel loro Arkham Asylum Batman era alle prese con una storia oscura, maledetta, raggelante, più simile a un tetro horror psicologico che a una storia di supereroi. Nella sua esplorazione del manicomio Arkham, Batman doveva confrontarsi con i lati più brutti e crudeli della psiche umana. Gli ostacoli principali per il pipistrello non erano infatti i nemici da battere, anzi l’action era ridotto all’osso; in compenso Batman doveva vedersela con le proprie paure più nascoste (ovviamente riemerse al contatto con la follia scatenata da Joker) e soprattutto con la materializzazione di istinti e concetti alla base del disagio di un uomo alla fine del ‘900: incubi freudiani, istinti di morte, depressione, la messa a nudo degli orrori celati sotto la maschera perbenista del “sogno americano”.
Insomma, una vera e propria discesa all’inferno in cui Batman doveva prima di tutto dimostrare di avere il coraggio necessario per affrontare l’orrore e guadagnarsi il titolo di eroe (non a caso, secondo le intenzioni degli autori, AA dovrebbe essere ambientato durante il primo o il secondo anno di attività di Bruce Wayne come vendicatore): una storia di redenzione che prima crea incertezza, poi spaventa, infine emoziona e, nel finale, lancia un bel messaggio sulla necessità di non cedere all’oscurità.
Tanti Batman dialoganti
Trasporre fedelmente il trip allucinato di Morrison e McKean, fatto di riferimenti a Freud, alla religione, al simbolismo magico e ai lati più brutti della Storia americana era un obiettivo assolutamente impossibile da raggiungere, tanto più se l’obiettivo era creare una sorta di concorrente a quello che già allora appariva come un interessante action open-world, ovvero Assassin’s Creed (il cui secondo capitolo sarebbe stato annunciato di lì a poco), e dunque un titolo per ragazzi.
Logico è, quindi, che della sua controparte letteraria AA abbia solo il titolo e il plot iniziale, usandoli come ispirazione.
Tuttavia, è qui che sta il capolavoro di Rocksteady: pur non potendo trasporre l’intero contenuto della graphic novel, da una parte Arkham Asylum riusciva ad amalgamare bene l’ispirazione dark con altri aspetti della storia editoriale del personaggio, come la grande abilità nel risolvere gli enigmi (magistralmente messa alla prova dalle sfide che l’Enigmista aveva disseminato lungo l’intero gioco) o quella di utilizzare strumenti fantascientifici per la risoluzione di alcune fasi dell’avventura.
Ne usciva fuori un gioco variegato, divertente, ricco di sfide, in grado di appassionare i fan del brand con uno stile vicinissimo a quello delle serie a cartoni Warner Bros prodotte da Bruce Timm negli anni ’90 e tuttavia con delle sezioni che sembravano uscire dritte tanto dai film di Burton quanto da quelli di Nolan.
Eppure, nonostante queste libertà poetiche rispetto alla graphic novel di Morrison e McKean, numerose situazioni del gioco riuscivano a omaggiare la sensazione di disagio e di cupa malinconia che si respirava nelle pagine del romanzo originale, come quelle dedicate alla storyline di Amadeus Arkham, il fondatore dell’Arkham Asylum, per non parlare di quelle in cui si scavava nel tragico passato della famiglia Wayne.
Un vero e proprio esercizio di equilibrismo fra autorialità e lato “di massa” del personaggio, tanto affascinante quanto ambizioso.
La vittoria
Pur essendo uscito in piena Batman-mania, in un mondo in visibilio per Il Cavaliere Oscuro, Arkam Asylum arrivò un po’ in sordina, in un giorno di un placido e annoiato fine agosto, non troppo strombazzato e col difficile compito di dover tenere alta la bandiera di una licenza così importante.
Non era un compito facile. Come detto i supereroi nel mondo del videogioco avevano da sempre avuto esiti abbastanza altalenanti e gli stessi ultimi titoli basati sulla licenza dell’Uomo Pipistrello non erano stati certo un gran successo.
Eppure fu subito chiaro che la scommessa era vinta: l’accoglienza fu da subito eccellente, il gioco definito fra i quattro migliori fra queli basati sui supereroi (Play Generation) e, soprattuto, il 12 dicembre di quello stesso anno (e quindi pochissime settimane dopo l’uscita del gioco), arrivò l’annuncio dello sviluppo di un sequel.
A quanto pare, le ambizioni erano state ripagate.
Il Batman di oggi e di domani
Batman: Arkham City, secondo episodio del brand, uscì il 21 ottobre 2011, due ani dopo il primo episodio, riproponendo la formula in modo brillante pur varianto il setting (stavolta comprendente un intero quartiere di Gotham); Batman: Arkham Origins, prequel dei primi due, venne invece pubblicato il 25 ottobre 2013.
Altri due anni e sarebbe stato il turno di Arkham Knight, osannato per la sua vena dark e i toni maturi; era il 23 giugno del 2015.
Un cammino in crescendo, che seppur con qualche sbavatura ha onorato il difficile compito di superare il già ottimo risultato del primo episodio attraverso un’ottima combinazione di narrativa, gameplay ispirato e ottimo comparto tecnico.
Eppure, a oltre quattro anni dal suo ultimo capitolo, la più fortunata saga videoludica basata su un supereroe sembra essere rimasta in sospeso, con soli quattro titoli all’attivo. Un leak di qualche giorno fa ha mostrato i concept art di un purtroppo irrealizzato quindo episodio, purtroppo cancellato, che avrebbe dovuto metterci nei panni di Damian Wayne, figlio di Bruce ed erete del mantello di Batman, deludendo molti fan in attesa di buone notizie.
Non sappiamo se un giorno Batman Arkham tornerà ad entusiasmare i giocatori portando le avventure del Cavaliere della Notte nelle nostre console.
Sappiamo però che non smetteremo mai di rendere grazie a Rocksteady per la splendida, oscura, elettrizzante avventura regalataci dieci anni fa.
Un’avventura che speriamo di ripetere molto presto.