Ci sono dei periodi, caratterizzati da qualcosa che facciamo con passione, che rimangono scolpiti nella nostra memoria dandoci una sensazione molto particolare ogni volta che li andiamo a ripescare. Avete presente? Beh, questa è la storia di uno di quei periodi; la storia di un’intera run a un videogioco, lunga un’estate (anche se sarebbe più giusto dire che è durata un solo mesetto, tolte le quest secondarie). Ma non di una run qualsiasi. Una run indimenticabile, che ha dato tanto, tanto, tantissimo, a chi l’ha giocata, e per un motivo abbastanza particolare. Io sono Fabio, queste sono le mie Memorie da Giocatore, e questa è una piccola storia su quanto l’arte e la bellezza possano tirarti su quando tutto ti sembra un po’ “meh”.
Sembra ridicolo dirlo, dato che scrivo per un sito di videogiochi, ma negli ultimi anni non sono stato poi tutto questo granché come giocatore. Oh, sia chiaro, ho sempre giocato, fin da quando installai Nuke Dukem 3d su PC (1995, credo). Purtroppo o per fortuna, però, sono anche un giocatore maledettamente lento, selettivo, che quando si innamora perdutamente di un titolo lo fonde (letteralmente). Poi, finita l’avventura, non passo semplicemente ad altro: lascio perdere il gaming fino al prossimo gioco capace di lasciarmi affascinato fin dal primo trailer.
Quando però quel titolo arriva, niente, sparisco dal mondo e non ci sono per nessuno, mi accampo letteralmente in sala e faccio a botte con la mia coscienza, che mi prega di smettere (“OH, SONO LE DUE DEL MATTINO! IL TUO CORPO HA BISOGNO DI DORMIRE, TE PREGO!” “‘spetta, un’altra sidequest e spengo” “L’HAI DETTO DUE ORE FA!” “Zitta!”).
E’ esattamente quanto avvenne nell’estate del 2015.
Che accadde nell’estate del 2015? Beh, in realtà partirei a quel che era successo qualche mese prima: mi ero laureato, anche bene, con una tesi fichissima (fumetto. Mi sono laureato con una tesi su Alan Moore, non è fantastico?!), circondato da complimenti, pacche sulla spalla, baci, abbracci, pranzi in famiglia e chi più ne ha più ne metta; tutto molto bello, fino a quando… fino a quando non mi ero svegliato fra i tanti ragazzi in cerca, ancor prima che di un lavoro, di un senso da dare alla propria vita (sì lo so, la metto sul tragico, però fidatevi che il periodo del post-lauream per uno di lettere moderne è una pezza!).
Insomma, mi ero ritrovato con in mano un grande lavoro fatto e la consapevolezza che avevo in mano poco o niente per affrontare il mondo degli adulti. Non avevo le skill giuste.
Mi sentivo sconfortato di fronte a una situazione stranissima: da una parte un sacco di tempo libero per dilettarmi con libri, film fumetti, giochi di ruolo e da tavolo, dall’altro un maledetto senso di colpa per il fatto di non avere uno straccio di nulla in mano. Tutto ciò che avevo appreso in quegli anni non mi apriva neanche uno sbocco, a prima vista.
E faceva male. Mi sentivo sconfitto. Mi sentivo caduto da cavallo. Con l’armatura e la spada troppo pesanti per rialzarmi, nonostante avesi trottato bene. E poi? Beh… poi arrivò Geralt.
E’ un po’ patetico dedicare una story sul mio passato ludico a un gioco di soli quattro anni fa e non, che so io, alla prima volta che giocai a Space Invaders o a Duke Nukem 3d, lo so, però… ecco… va bene, calma, provo a spiegare perché ho scelto questa storia.
Passavo quei giorni lì, sulla mia polrona, di fronte al televisore. Accendevo, iniziavo a muovermi nel mondo di The Witcher 3. E… e mi rendevo conto di non aver mai visto una cosa del genere. Mondi selvaggi ricchi di pericoli. Storie strazianti da risolvere, perché ero l’eroe, e la mia spada poteva salvare qualcuno o condannare un malvagio. La colonna sonora medievaleggiante e vagamente balcanica mi portava lontano. Avevo la sensazione di essere parte di una grande storia. L’inverno più lungo e complesso fino a quei giorni era finito. L’estate era arrivata ed era arrivata portandomi un miracolo ludico che mi lasciava a bocca aperta, mi cullava con le sue storie emozionanti, rimetteva in moto la mia fantasia.
Non passerò un solo altro momento a raccontarvi quanto amai quel gioco e scoprire i misteri dei piccoli villaggi di frontiera, le storie di spettri e demoni nelle campagne, quanto tutt’ora sono legato a Geralt e la sua storia. Non è questo il senso della mia story.
Vi racconto però cosa successe dopo.
Finita l’estate e tornato nel nostro mondo, qualcosa era cambiato.
Ricominciai a scrivere seriamente le storie fantasy con le quali mi diletto e che avevo interrotto qualche anno prima perché privo di ispirazione.
Tornato indietro, tentai in ogni modo di trovare lavoro. Non ci riuscii come avrei pensato, ma poco dopo iniziai un lungo percorso di crescita. Quel percorso non è andato come speravo, ma durante i due anni nei quali lo seguii fui certo che quella sfida mi aveva dato tanto, e reso più forte. Un anno dopo pubblicai un romanzo breve, su una storia ispirata anche dalle gesta di Geralt, e tre dopo ho finito il mio primo vero romanzo.
Ora, non è che io abbia raggiunto la mia meta, assolutamente. La strada è ancora lunga. Il cammino è pesante. Gli errori da fare ancora tanti.
Però ho fatto un bel pezzo di strada. Però quella lunga estate mi ha reso più spensierato. Mi ha divertito. Mi ha fatto sognare guardando i tetri tramonti del Velen e gli abbracci emozionanti fra Geralt e Ciri.
Non so di preciso mi abbia fatto quell’estate. Forse, semplicemente, mi ha detto che se al mondo c’è qualcosa di così bello come un gioco in grado di farti divertire ed emozionare per settimane intere, o come un bel panorama da ammirare, un grande romanzo da leggere, un film da amare, allora significa che dobbiamo trovare il modo per farne carburante per le nostre aspirazioni.
Una ragione per tentare di realizzare i tuoi sogni.
>>Le mie memorie ti sono piaciute? Leggi allora le altre: quella di Amerigo, quella di Diego, quella di Graziano, e infine quelle di Riccardo, Michele e Simone <<
This post was published on 18 Luglio 2019 17:13
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