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Speciali

Cos’è il motion sickness VR – cosa c’è da sapere

Dopo anni di incubazione, la realtà virtuale è oggi un prodotto commerciale alla portata di tutti. Nonostante i numeri non siano abbastanza alti da considerarla un prodotto di massa, combinando i dati di vendita dei principali headset (o caschetti, come vengono spesso definiti in italiano), i numeri superano la cifra record dei dieci milioni di unità in tutto il mondo. Vista l’uscita imminente delle nuove generazioni, con Oculus Quest a fare da apripista il 21 Maggio scorso ed i nuovi Valve Index e HTC Vive Cosmos in rampa di lancio, abbiamo pensato che potesse essere utile approfondire uno dei temi principali legati alla realltà virtuale, il motion sickness.

Che siate completamente a digiuno di realtà virtuale o che abbiate avuto pessime esperienze in passato, speriamo che questo articolo possa darvi una mano a comprendere meglio quali sono i vostri limiti e se val la pena per voi sperimentare un prodotto che, e fidatevi di chi lo conosce, può offrirvi delle esperienze altrimenti irraggiungibili.

Cosa è il motion sickness

Utilizzando una definizione più o meno formale, il motion sickness è una sensazione di stordimento, disorientamento o nausea che può colpire un soggetto durante o nelle fasi immediatamente successive all’utilizzo di un Head Mounted Display (HMD). Questa sensazione non è esclusiva della realtà virtuale ma anzi, è molto più comune in altri contesti come il viaggio su strada (il famoso mal d’auto), il viaggio per mare, o sulle giostre al luna park.

Ciò che queste esperienze hanno in comune è la dissonanza tra la percezione di movimento tra vari organi del nostro corpo, i quali mandano segnali contrastanti al nostro cervello che di conseguenza va in confuzione.

Vediamo il perché.

Il mondo che ci circonda, se ignoriamo la variabile tempo, viene comunemente diviso in tre dimensioni. In ognuna di queste dimensioni ci si può muovere in due direzioni: si può andare su/giu, destra/sinistra, o avanti/indietro. Attorno a questi tre movimenti si possono costruire anche delle rotazioni, una per ogni dimensione. In totale dunque, per muoversi in uno spazio tridimensionale abbiamo sei possibili valori che stabiliscono la posizione finale di ogni oggetto. Tali valori vengono chiamati in gergo tecnico gradi di libertà (in inglese Degrees of Freedom).

Schema dei gradi di libertà. FONTE: Wikipedia

Il corpo ha svariati sistemi, spesso ridondanti, per individuare movimenti in se stesso e nell’ambiente circostante. Questi sistemi inviano continuamente informazioni in maniera indipendente al nostro corpo, generando confusione quando le informazioni sono in contrasto tra di loro. Andando più nel dettaglio il cervello, nella sua infinita capacità di processare informazioni, riceve i dati principalmente da tre sistemi:

  • L’apparato vestibolare, che tramite le orecchie e le loro componenti determina il movimento della nostra testa nello spazio. Contrariamente a quanto si crede, ciò non avviene solo in base al suono, ma anche al movimento.
  • La vista, che tramite gli occhi acquisisce una serie di immagini che il nostro cervello poi elabora per calcolare il movimento degli oggetti nell’ambiente. Questo processo avviene tramite conoscenza pregressa, visto che il cervello è in grado di identificare la posizione e la rotazione di oggetti da noi distanti in base ad esperienze precedenti.
  • L’apparato somatosensivo, che tramite muscoli, pelle, tendini e articolazioni riceve informazioni sul resto del corpo e al suo movimento nello spazio, sia in termini di posizione propria sia in termini di input esterni quali vento o temperatura.

Quando questi sistemi iniziano ad inviare informazioni contrastanti, il cervello non sa più a quale apparato credere, e di conseguenza va in tilt, causando la spiacevole reazione che abbiamo descritto.

A questo punto, il problema si comincia a delineare. Quando abbiamo un caschetto davanti agli occhi il nostro cervello “vede” un mondo che però gli altri sistemi non percepiscono, e credendo di essere stato avvelenato reagisce nell’unico modo che conosce. Gli effetti della motion sickness sono quindi dei meccanismi difensivi che vengono azionati erroneamente a causa di input audiovisivi creati dal caschetto che si ha sulla testa. Ovviamente questa è una semplificazione, ma basta a capire cosa non funziona nella realtà virtuale.

Gli svantaggi del motion sickness: di chi è la colpa?

Visto quanto detto poco sopra il problema può sembrare irrisolvibile, ma non è così. Ci sono vari fattori che possono influenzare il responso fisiologico alla realtà virtuale, rendendo l’esperienza gradevole o sgradevole a seconda dei casi. Dando per scontato che il problema non può essere totalmente eliminato e che non esiste una formula unica per poter contrastare il motion sickness, possiamo comunque evidenziare tre fattori che possono variare in maniera significativa il godimento dell’esperienza in realtà virtuale.

C’è caschetto e caschetto

Questa non dovrebbe essere una gran sorpresa, ma c’è visore e visore. Un pò come i monitor, ogni caschetto ha una serie di specifiche che lo rendono più o meno adatto alla realtà virtuale. Aumentando il prezzo aumenta la qualità delle caratteristiche tecniche, e di pari passo diminuisce il motion sickness.

La prima e forse più importante caratteristica da sottolineare è il numero di gradi di libertà di headset e controller. Genericamente le esperienze VR mobile sono in grado di seguire i movimenti della testa solo sui 3 gradi di libertà che gestiscono la rotazione. Viene da se che se si muove la testa in una direzione ed il caschetto non è in grado di trasmettere tale movimento all’applicazione, gli occhi poi riceveranno un feedback di movimento differente da quello che si aspetterebbero, portando a motion sickness. Al contrario, i caschetti con 6 gradi di libertà sono in grado di replicare ogni movimento della testa nello spazio, riducendo significativamente il problema.

I caschetti con 3 gradi di libertà non trasmettono informazione sul movimento del soggetto. Autore: Hiren Bhinde

Anche la qualità delle lenti ha la sua importanza, maggiore è la risoluzione e maggiore è la sensazione di presenza nell’ambiente. Al contrario una bassa risoluzione porterà ad una grandezza dei pixel eccessiva che verrà percepita ad occhio nudo. Fattori che possono avere una simile influenza sono la densità dei pixel, il massimo refresh-rate ed il campo visivo.

 

La VR va anche saputa fare

Questo è forse il punto più sottovalutato, ma forse il più importante. Se l’applicazione che state utilizzando non è ben progettata, non c’è modo che possiate uscirne sani. Il problema anche in questo caso è il movimento e come viene consentito all’interno dell’applicazione.

La maggioranza degli HMD di fascia alta ha una area di circa 4 metri quadrati all’interno di cui si può camminare realmente senza dover usare movimenti aggiuntivi. Il problema si pone quando il gioco richiede più spazio, come in un open world. La scelta più comune fino a qualche anno fa era la traslazione: muovendo la levetta analogica del controller l’intero personaggio veniva mosso proporzionalmente nella direzione indicata. Tale spostamento, di velocità spesso variable, portava il giocatore a venire “spostato di peso” all’interno dell’applicazione. Il mondo si muoveva davanti agli occhi, ma ne la pelle ne le orecchie lo potevano percepire. La nausea in questo caso era assicurata.

Negli ultimi anni si è fatto largo un sistema alternativo alla traslazione, quello del teletrasporto. Sempre usando la levetta analogica, si può indicare una porzione di spazio in cui ci si vuole recare, e una volta rilasciata la levetta si viene immediatamente teletrasportati nella nuova posizione. Anche in questo caso il corpo può avere un istante di sbandamento, ma senza quella sensazione di movimento – e quindi di nausea – generata dalla traslazione. Per quanto funzionante, questo sistema non si adatta ad ogni tipo di gioco.

Inoltre, ci sono delle categorie in cui il problema del movimento non può essere affrontato, come le simulazioni di guida. La meccanica principale del gioco richiede che il soggetto sia immobile, nonostante lo scenario intorno cambi ad altissima velocità. Non ricevendo nessun input dagli altri sistemi, e vedendo il mondo muoversi velocemente, il cervello è portato ad andare in tilt e finora nessun design alternativo è stato proposto per migliorare la situazione.

Al fisico non si comanda

Al netto degli altri fattori, non si può ignorare la predisposizione naturale. Dire che ogni persona è diversa è un pò come scoprire l’acqua calda, ma è altrettanto importante nell’ottica del capire il motion sickness. Ci sono persone che sono predisposte naturalmente a resistere, così come ci sono persone che invece sono estremamente sensibili.

Il nostro corpo si adatta molto velocemente a scenari che non conosce, è quindi possibile con allenamento e pazienza aumentare la propria soglia di tolleranza. Ma in casi gravi difficilmente si potrà andrare molto più in alto di una partitella ogni tanto in giochi che richiedono poco movimento.

Paradossalmente alcune malattie possono portare all’aumento della soglia di tolleranza. Alcune persone per esempio non sono in grado di vedere in tre dimensioni – una patologia nota come “Stereoblindness”. Tale condizione medica fa si che il cervello sia più abituato a ricevere input inaspettati dal sistema visivo e tenda dunque ad assegnargli una “priorità minore”, senza generare risposte fisiologiche.

Nella foto Beat Saber, un famoso titolo vr

Capire se si è VR-Ready

In tutto questo mescolone di definizioni, termini, numeri e problemi, dobbiamo rispondere ancora ad una sola domanda, forse la più importante: come si fa a capire se la realtà virtuale fa per noi?

Per prima cosa, cercate di ricordare se avete mai avuto problemi di nausea in macchina, in aereo, in nave, o sulle montagne russe. Se la risposta è negativa allora è possibile che abbiate una altissima soglia di tolleranza e che quindi qualsiasi esperienza possa essere adatta a voi. In caso contrario, procedere con cautela. Lo stesso vale se in passato avete provato la VR ed il vostro corpo non ha reagito bene. In base alle informazioni sopra cercate di rianalizzare l’esperienza che avete avuto e se sia stata sabotata da uno dei fattori elencati.

A prescindere da ciò, ricordatevi di andare sempre per gradi. Iniziate con applicazioni che non richiedono movimento nello spazio come Fruit Ninja VR o Beat Saber, e salite gradualmente. La NVIDIA Funhouse (gratuita, e con lieve movimento) può essere il passo successivo insieme a Google Earth VR, prima di testare applicazioni più movimentate come Robo-Recall (gratuita con l’oculus rift) o BBC Home. E se a questo punto non avete avuto neanche un giramento, con Aircar potrete testare la vostra resistenza oltre ogni umano limite.

This post was published on 8 Luglio 2019 12:05

Riccardo "The Gametist" Galdieri

Da bambino non riuscivo ad addormentarmi senza che mio padre si mettesse vicino a me a giocare al PC. Per forza di cose, negli anni, ho fatto mio questo amore, divorando tutto ciò che poteva stare su un Floppy. Crescendo, questo amore è diventato una professione: ad oggi sono un Freelance Game Developer (con esperienza nell'ambito della gamification legata ai beni culturali) e dottorando in Interazione Uomo-Macchina per ambienti virtuali immersivi alla Scuola Superiore Sant'Anna. Quando non faccio follie come guidare una vecchia macchina da Londra alla Mongolia, vivo di videogiochi. Li creo, li studio, li recensisco.

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