Con Winning Eleven: il Re è morto, lunga vita al Re! continua la nostra rubrica settimanale #venerdìnostalgia dedicata al retrogaming. Ecco il nostro racconto di un gioco che ha dato vita ad una saga in grado di competere con grandi capolavori di fantascienza.
Se vi siete persi gli articoli precedenti dedicati al retrogaming potrete ritrovarli comodamente tutti a questo link. Troverete Final Fantasy, Resident Evil, Silent Hill e molte altre chicche raccolte solo per voi!
Nella storia dell’umanità ci sono state alcune rivoluzioni che hanno cambiato il corso degli eventi. La rivoluzione copernicana del 1543, quella industriale nel 1800 e quella nei simulatori calcistici di Winning Eleven, alias International Superstar Soccer, alias Pro Evolution Soccer. Una saga calcistica, quella prodotta dalla Konami, destinata nel giro di una manciata di anni a ridefinire il concetto di simulazione calcistica, impartendo una lezione epocale ai rivali della EA Sports e alla loro punta di diamante, FIFA.
Il primo ISS è targato 1994, ma all’epoca ancora non era chiaro l’impatto che questa serie avrebbe avuto nel mondo delle simulazioni calcistiche. Questo titolo era stato sviluppato per il Super Nintendo e in Giappone prese il nome di Winning Eleven. Nel 1996 venne pubblicato un seguito, International Superstar Soccer Deluxe, per Super Nintendo, PlayStation e Mega Drive. Da questo punto in poi la serie avrebbe preso due direzioni distinte. Un ramo, prodotto da KCET (studio Konami di Tokyo) prese il suffisso di “Pro” e si dedicò allo sviluppo della componente simulativa più che quella arcade, un altro ramo prodotto dalla KCEO (studio Konami di Osaka) tenne il nome originale.
Solo nel 2001 la serie compì il grande passo, prendendo il nome, destinato a diventare definitivo di Pro Evolution Soccer. Il nome giapponese e nord americano però, per rendere il tutto più complesso, era ancora Winning Eleven 5. Una gran confusione di versioni, nomi e licenze. Un vero e proprio pastrocchio che, su un titolo dotato di minor potenziale, ne avrebbe sicuramente compromesso il successo. Winning Eleven, al contrario, era un vero e proprio capolavoro ed era destinato a diventare un gioco leggendario.
Tolto il pasticcio brutto dei nomi e delle innumerevoli versioni, la potenza di Winning Eleven era tutta nel suo rivoluzionario Gameplay. Per la prima volta, infatti, un simulatore calcistico non aveva preso luce dall’idea che più gol equivalessero a un gioco più divertente, o che le skills con la palla fossero la base da cui partire per regalare gioie ed emozioni. La Konami scelse, come punto di partenza, quello di ricreare un’epserienza di gioco il più vicina possibile alla realtà. Ecco dunque un nuovo tatticismo, con squadre compatte in campo, una CPU intelligente in grado di leggere lanci e passaggi, intervenendo con anticipi secchi e trame di gioco ragionate e lunghe.
Arrivare a fare gol non era più così semplice. Non era sufficiente dare palla al fenomeno di turno e dribblare tutti, diventava necessario costruire l’azione partendo dal centrocampo, impostare una rete di passaggi cercando di trovare spazi sulle fasce o con imbeccate centrali. Certo, ovviamente c’erano delle eccezioni. Giocatori estremamente veloci erano in grado di bruciare la maggior parte dei difensori se lanciati in profondità. Non era raro che i giocatori più smaliziati sfruttassero la leggendaria Nigeria, o Roberto Carlos in attacco accanto al fenomeno Ronaldo, ma era un piccolo prezzo da pagare in un gioco, per l’epoca, straordinario.
Se il gameplay era rivoluzionario, lo stesso non si poteva certo dire delle licenze. Il titolo Konami è diventuo famoso sopratutto per la mancanza dei nomi ufficiali che, negli anni, hanno dato vita ad una serie di giochi di parole divenuti leggendari. Ecco dunque fare la loro comparsa la Piemontese (Juventus), Merseyside Blue (Everton), Merseyside Red (Liverpool), Cataluna (Barcellona). E anche con i calciatori la situazione non era migliore, al secolo annoveriamo capolavori quali: Vierri, Roberto Larcos, Henlie, Ronarid, Therum, Ziderm.
Se i nomi erano un vero disastro, lo stesso non si può dire della resa in campo degli stessi. Ogni giocatore era infatti assolutamente riconoscibile per stile e mosse all’interno della partita. Ronaldo e Zidane erano sprovvisti di capelli e riconoscibili nonostante la grafica dell’epoca. L’innovazione più grande poi, fu quella delle caratteristiche personalizzate. Roberto Larcos (R. Carlos), come nella realtà, era solito prendere la rincorsa molto lontano dal pallone, fare dei piccoli passettini e poi calciare in porta con brutale potenza (99 per dire). Ronaldinho, invece, si posizionava lateralmente rispetto alla palla. Dettagli in grado di donare un realismo mai visto prima.
Non potendo contare su un parco licenze affidabile, i programmatori diedero alla luce una modalità chiamata Master League, in grado di riscuotere un successo senza precedenti tra i giocatori di tutto il mondo. Un undici base, uguale per tutti, composto da una rosa divenuta leggenda: Ivarov, Valeny, Jaric, Stremer, Espimas, Dodo, Iouga, Ximelez, Minanda, Ordaz e Castolo. Andando avanti nel gioco poi, si può aggiungere, tramite il calciomercato, giocatori “reali”, fenomeni e quant’altro, andando a comporre una rosa in grado di vincere tutte le competizioni.
L’altra grande rivoluzione fu quella dello “stato di forma” dei calciatori. Ad ogni giocatore era associato un diverso simbolo, che poteva andare dal “completamente spento” al “caldo come il fuoco“. Questi segnalini si trasformavano in prestazioni sul terreno di gioco. Un giocatore infuocato era in grado di fare al meglio ogni cosa, mentre un giocatore spento avrebbe sbagliato passaggi e conclusioni anche molto semplici. Il tutto donava, per la prima volta, un certo senso di imprevedibilità alle partite. Giocare con il proprio fenomeno giù di forma, ci obbligava a ripensare le nostre strategie e priorità.
Winning Eleven (o come volete chiamarlo) grazie alle sue innovazioni ha completamente riscritto una pagina nei simulatori calcistici di tutti i tempi. Il rivale di una vita FIFA per la prima volta, venne a trovarsi in una posizione di netto svantaggio, in grado di proporre un titolo dall’impostazione ancora arcade incapace di soddisfare un pubblico sempre più maturo e attento agli aspetti simulativi. Al colosso canadese ci sarebbero voluti anni per ristabilire la propria supremazia. PES, dal canto suo, arrivò fino alla produzione di uno dei giochi calcistici più apprezzati e belli di tutti i tempi: PES 6, prima di iniziare un lento e inesorabile declino. Una deriva nuovamente arcade che l’avrebbero relegato a seconda simulazione mondiale per gli anni a venire.
Nonostante la sfida continui ancora ai giorni nostri, l’impatto di quel simulatore Konami nei primi anni 2000 resta un unicum irripetibile nella storia dei giochi di calcio. Fu il motore di un cambiamento epocale, in grado di dare vita, negli anni, a milioni di sfide tra amici pallonari in tutto il globo. I duelli tra Batutista e Ronarid, le punizioni di Larcos, gli scatti di Kanu e Babangida, resteranno nel cuore di tutti gli appassionati per sempre, impossibili da descrivere o da raccontare a chi non li ha vissuti in prima persona.
This post was published on 2 Marzo 2018 14:00
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