Rush finale, o quasi: con questo 35° appuntamento della Tana dell’Orso, infatti, accompagneremo Kratos e Atreus nella quarta parte della loro esplorazione della mitologia norrena.
Ricapitoliamo brevemente il viaggio finora intrapreso all’interno di God of War (2018), conosciuto anche come God of War 4:
nella quarta tappa, invece, seguiremo il Fantasma di Sparta e suo figlio in uno scatto che, con ogni probabilità, ci porterà a un passo dal traguardo.
Come già detto e ribadito negli appuntamenti precedenti, la software house SIE Santa Monica Studio ha attinto a piene mani dall’Edda poetica, dall’Edda in prosa e, in generale, dal corpus letterario e mitologico che ruota attorno agli eroi scandinavi e al pantheon norreno e germanico.
Va detto che, in effetti, mitologia norrena non è il termine più corretto per riferirsi a questi temi, ma l’ho usato -e con ogni probabilità continuerò a usarlo- non soltanto per comodità d’uso, ma anche per fare in modo che il frutto di intere nottate di ricerca e di lavoro sia facilmente raggiungibile da chi si dovesse prendere la briga di cercare articoli sulla mitologia di God of War.
Intere nottate, dicevamo, trascorse a leggere l’Edda di Snorri Sturluson e -per creare la giusta atmosfera- ad ascoltare Wardruna e Danheim, accompagnando il tutto con qualche monografia ad hoc e con l’occasionale manuale di Filologia Germanica abilmente sgraffignato a qualche ignaro amico. Ti rendo omaggio, o mio semi-volontario collaboratore: ti riconoscerai senz’altro in queste righe.
Dopo aver recuperato la Runa Nera e aver raggiunto e riattivato il portale per Jötunheim, siamo lì lì per varcarlo quando, all’improvviso, Baldur ci placca e ce le suona di santa ragione.
Mímir, poraccio, ci aveva anche avvertiti di aver notato i segni della presenza di un drago, ma Kratos aveva preso la cosa un po’ sottogamba. Mentre la saggia e (quasi) onnisciente testa mozzata prova a ragionare con Baldur, rimediando anche un calcio in faccia per buona misura, l’ex-dio della guerra fa quello che sa fare meglio: entra in ira e carica, incassando un sacco di legnate e finendo, nel contempo, per distruggere il portale che l’avrebbe condotto a destinazione.
Atreus viene rapito, si rievoca la boss fight della Spine of Deathwing del raid Dragon Soul di World of Warcraft: Cataclysm (Bei tempi! Lo erano, lo erano.), poi si finisce per incasinare l’autostrada cosmica nel Tempio di Tyr e così, de botto, senza senso, ci ritroviamo tutti in Helheim.
Eravamo già stati nel Reame dei morti senza onore, ricordate? Freya ci aveva mandati a recuperare il cuore del povero Guardiano del Ponte dei Dannati, finito poi in un calderone come ingrediente della pozione che aveva rimesso in piedi il nostro Atreus.
Ora, se vagate per Helheim e trovate una misteriosa nave, cosa fate? Salite a bordo e salpate verso casa, no?
Meglio di no. Probabilmente quella nave si riferisce a Naglfar, l’imbarcazione costruita con le unghie dei dannati, che porterà le forze del Caos nel campo di battaglia di Vígríðr, dove si scontreranno con gli Aesir, i Vanir e i mortali degni di quest’onore. Sto semplificando tantissimo.
Ad ogni modo nel mito scandinavo c’è questa nave apocalittica, legata ad Helheim, a Múspellsheimr (il Regno del Fuoco) e ai temi escatologici del Ragnarǫk; ma non è tutto: in God of War 4 non soltanto salpiamo –well, sort of– con una nave da Helheim, ma si accenna anche a una nave volante dei Vanir. Dovrebbe essere la celebre Skíðblaðnir del dio Freyr, fratello di Freya: una nave volante e portatile, costruita dai figli di Ivaldi, di cui abbiamo già parlato, su esplicita richiesta di Loki. Hmmm.
Navigando navigando, finiamo per naufragare e per precipitare al suolo. Dall’altra parte del ponte che praticamente tutti ci avevano caldamente sconsigliato di attraversare. Eccellente. Ecco cosa succede quando fai innervosire il Dungeon Master.
Riusciamo a raggiungere la famigerata libreria di Odino, in cui recuperiamo un murale che raffigura Tyr che viaggia tra i mondi. Non soltanto tra i Nove Mondi del mito, ma anche nei territori di altri Pantheon, tra cui quello Greco e quello Egizio, nonché quello Celtico, quello Maya e quello Giapponese. Accantoniamo per un istante gli agganci per spin-off e futuri capitoli della saga di Kratos, e andiamo avanti.
Quello stesso murale ci svela lo schema di una chiave, necessaria per accedere a un’altra ala del Tempio di Tyr. In quell’occasione scopriamo che il derelitto Mímir è, con ogni probabilità, vittima di un incantesimo di Freya che gli impedisce di rivelare i punti deboli di Baldur, ma ne abbiamo già parlato nella prima parte di questo viaggio e quindi amen.
Brok e Sindri, fratelli in affari, ci aiutano a riassemblare la chiave della stanza segreta, poi Kratos ribalta il Tempio di Tyr –letteralmente-, e s’imbatte nella Unity Stone.
Si tratta di un magico artefatto dall’arcana natura, che conferisce al suo possessore l’immediata e completa conoscenza del motore grafico Unity, che serve a sviluppare videogame multi-piattaforma. Questo, oppure serve a manipolare in relativa sicurezza la rete autostradale che unisce i Nove Mondi. Scegliete una delle due opzioni, a vostra discrezione.
Ok, ok, torniamo seri: grazie alla Unity Stone e a una sorta di salto della fede di Assassin’s Creed, di lì a poco rintracciamo finalmente la torre mancante nel Lago dei Nove: la via, cioè, che ci porterà nel luogo indicato dalla main quest che unisce tutta la trama.
Potremo finalmente spargere le ceneri di Faye dalla vetta più alta dei Nove Mondi?
Nope. Denied!
Ci serve uno specifico cristallo di Bifröst, ossia il Telepass che aprirà la strada per Jötunheim. Gira e rigira, scopriamo che in realtà questo cristallo sono gli occhi del bistrattato Mímir, e solo uno di essi è ancora presente nelle cavità oculari dell’uomo più saggio: l’altro è nella statua di Thor sul Lago dei Nove. O meglio, era lì: Jörmungandr l’ha sbranata, e quindi ci ritroviamo a fare una gastroscopia al Miðgarðsormr. Di persona. Con una barca.
Non appena recuperiamo l’occhio di Mímir e lo restituiamo al legittimo proprietario, però, a Jormy vengono dei conati di vomito e ci sputa fuori, come farebbe un gatto con una palla di pelo. Sul nostro letto.
Entrano in scena si Freya sia Baldur: quest’ultimo deve aver preso a schiaffi Jörmungandr, e questa mi sembra un’esagerazione bella e buona. Ricordiamoci che Thor e il Serpente del Mondo sono sostanzialmente alla pari, in quanto a potenza: come abbiamo già visto, al primo scontro pareggiano e la seconda volta si accoppano a vicenda, ma tant’è.
A parte questo quadretto, succede che Baldur vuole fare la pelle alla madre Freya, Kratos vuole impedirlo perché sa bene che il ciclo di vendetta non porta nulla di buono, e quindi Baldur decide di fare la pelle a Kratos e Atreus. Lo spartano incassa, Atreus nel suo piccolo s’incaz- entra in ira e si frappone fra il padre e quello che dovrebbe essere il dio solare della benevolenza, e Baldur fondamentalmente si suicida.
Colpisce Atreus in pieno plesso solare, proprio nel punto in cui Kratos aveva usato la punta di una freccia di vischio per fissare la cinghia della faretra di Atreus; la suddetta punta di freccia trapassa il palmo di Baldur, e così la benedizione / maledizione di Freya è spezzata, con somma costernazione della dèa che, nel frattempo, si era data ad altissimi livelli di negromanzia, come vedremo tra poco.
Sì, perché Freya aveva ritenuto totalmente innocuo il tenero vischio, e non l’aveva incluso nell’incantesimo di protezione castato sul neonato Baldr / Baldur. E ancora una volta è il Loki del mito scandinavo a metterci lo zampino: individuato il punto debole dell’incantesimo, costruisce una lancia di vischio e convince Hodr, dio cieco e fratello di Baldr, a scagliarla nella generica direzione del solare fratello.
Baldr viene trapassato da parte a parte, e gli dèi sbiancano: quello è il primo segno del Ragnarǫk. Invece in God of War (2018), come abbiamo visto nel primo articolo della serie, il simpaticissimo nano Sindri aveva donato le frecce di vischio proprio ad Atreus, e Freya era andata su tutte le furie quando le aveva viste. Qui scatta il mio ennesimo hmmm.
L’ora vulnerabile Baldur di God of War 4 non si dimostra proprio furbissimo: sputa in faccia alla pietà dimostrata dall’ex-dio della guerra, e quindi Kratos gli torce il collo per salvare Freya.
Quest’ultima, a sua volta, non è affatto riconoscente, e promette di essere il boss del nuovo capitolo della saga di vendicare la morte del figlio.
Facciamo per un istante un piccolo passo indietro: ricordate il primo scontro con Magni e Modi, figli di Thor? Kratos stava cercando di recuperare un pezzo dell’enorme scalpello di un gigante, per poter spezzare i sigilli che gli impedivano di proseguire il suo cammino.
Torniamo a ora. Ebbene, durante lo scontro fra Baldur e Kratos a cui abbiamo appena assistito, Freya utilizza il potere della sua magia Seiðr per procurarsi quello che, al contempo, è un tank e un damage dealer di tutto rispetto: Thamur, lo stesso gigante con il capo trafitto da quello stesso titanico scalpello.
Guarda un po’ il caso, Jörmungandr sputa Kratos e Atreus proprio davanti al corpo di Thamur, e Freya lo rialza per tenere lo spartano lontano da Baldur, e viceversa.
Sarà Atreus a risolvere la situazione: riuscirà a evocare il ferito Miðgarðsormr, che azzannerà e abbatterà il gigante non-morto con una certa facilità, prima di ritirarsi per leccarsi le ferite. O per fare qualsiasi cosa facciano i serpenti cosmici per riprendersi dopo uno scontro.
Mímir è stupido dalla facilità con cui Atreus ha appreso l’antica lingua dei Giganti, ma soprattutto dal fatto che Jörmungandr sia prontamente accorso in suo aiuto. Ancora un hmmm.
La vicenda mi ricorda due cose: la prima è che in God of War: Ascension avevamo già recuperato e usato uno speciale scalpello magico: il nostro Kratos l’aveva raccolto nell’Avambraccio di Apollo, o meglio nella sua statua, dopo aver acquisito la Pietra del Giuramento, cioè l’Oath Stone di Orkos.
La seconda, invece, riguarda la circostanze legate al concepimento di Sleipnir, la mount epica di Odino, che abbiamo già ricordato quando abbiamo parlato della mitologia norrena nella serie TV Supernatural. E anche lì c’entra Loki. Ormai ho perso il conto dei miei hmmm.
Ad ogni modo, nel mito norreno si narra della costruzione delle grandiose mura che proteggono Asgardr dall’assalto dei Giganti e dei nemici degli Aesir. Un fabbro – costruttore, probabilmente un gigante egli stesso, capitò ad Asgardr e offrì i propri servigi agli Aesir, ma in cambio chiese non soltanto il Sole e la Luna, ma anche di poter sposare la dèa Freya. Buongustaio.
Freya non era esattamente entusiasta all’idea, ma Loki ci mise lo zampino ed elaborò un subdolo piano per evitare di dover elargire il giusto compenso per il lavoro effettuato dal fabbro. L’offerta dell’artigiano venne accettata, a patto che egli ultimasse il lavoro nel corso di un singolo inverno, e per di più soltanto con l’aiuto del suo cavallo.
Rassicurato dai giuramenti e dalle promesse degli dèi, il fabbro accettò a sua volta l’accordo; ben presto si mise al lavoro con una velocità tale da sbigottire gli Aesir, che però si accorsero che la maggior parte del lavoro veniva sbrigata dal cavallo del fabbro, Svadilfari (Sfortunato viaggiatore). A tre giorni dal termine pattuito, il lavoro era quasi ultimato; gli Aesir, praticamente terrorizzati, agguantarono Loki per la collottola e lo costrinsero a trovare una soluzione.
Quella notte stessa, quando il fabbro e Svadilfari si aggiravano per le foreste innevate alla ricerca di pietre sufficientemente grandi per completare il lavoro, una giumenta particolarmente sexy riuscì a sedurre lo stallone dell’artigiano, che si dimenticò del lavoro e si diede alla macchia per rincorrere la procace giumenta. Il termine dei lavori venne sforato, l’artigiano si presentò ugualmente al cospetto degli Aesir, e questi ripagarono il lavoro quasi ultimato con un colpo di Mjöllnir sulla fronte del malcapitato, che morì all’istante.
Gli Aesir in generale, e Freya in particolare, si rallegrarono; Loki, però, non si trovava da nessuna parte.
Stacco della scena. Foresta innevata.
Dopo un’estenuante corsa, il tenace Svadilfari aveva raggiunto la giumenta che, in realtà, non era altri che lo sventurato Loki. A quel punto il dio dell’inganno cos’altro avrebbe potuto fare? Strinse i denti e compì il suo dovere. Dopo qualche tempo Loki tornò dagli altri dèi, accompagnato da suo figlio: un cavallo a otto zampe, che chiamò Sleipnir e che donò a Odino.
Dopo la morte di Baldur e le minacce di Freya, il caro Mímir ci regala uno spiegone, utile solo a chi non segue questa rubrica, il gruppetto realizza che ora sono loro stessi i bad guys, almeno agli occhi della povera Freya; boh, spallucce, e si va avanti verso l’ultima parte del viaggio: il Reame dei Giganti di Ghiaccio.
Dopo aver usato Mímir come una sorta di Telepass – Bifröst, grazie all’occhio incantato recuperato dallo stomaco del Serpente del Mondo, regaliamo un ultimo oltraggio al nostro saggio compagno di viaggio: lo lasciamo con i nani Brok e Sindri e, mentre affrontiamo la lunga gradinata dorata che ci porterà a destinazione, sentiamo i due che confabulano di progetti speciali per la sventurata testa parlante. Non vogliamo conoscere i dettagli.
Oltre le scale auree e la luce abbagliante, finalmente si apre davanti ai nostri occhi il panorama di Jötunheim, con le sue strane colline e i suoi monti peculiarmente antropomorfi, che somigliano curiosamente a dei gigant-ah. Quelli sono giganti. Morti.
La Jötunheim del gioco venne fondata dai superstiti del genocidio degli jötnar perpetrato dagli Aesir, che volevano a tutti costi scongiurare la propria rovina nel corso del Ragnarǫk, e questo santuario venne protetto dal dio della guerra, Tyr, che rimosse tutti gli accessi tranne due: uno sulla vetta più alta di Midgardr, e l’altro nascosto nel Regno tra i Regni.
Entrambi gli accessi erano a loro volta protetti da rompicapi e condizioni speciali, ed erano guardati da un’enorme statua di Duraþrór, uno dei quattro cervi leggendari che brucano le foglie di Yggdrasill.
La Jötunheimr del mito, invece, è separata da Asgardr soltanto dalle acque del fiume Ífingr, secondo il canto dell’Edda Poetica chiamato Vafthrudnismal, talmente rapide e impetuose che la loro superficie non ghiaccia mai. È uno dei Nove Mondi, ed è costellato da enormi e oscure foreste, da picchi poderosi sempre stretti nella morsa del gelo, e da paesaggi cupi, freddi e inospitali.
La capitale, se così si può definire, di quel Reame è Útgarðar: una fortezza titanica e immensa, che funge anche da reggia per Útgarða-Loki / Skrýmir, che in sostanza è il re dei Giganti di Ghiaccio.
Hail to the King, baby.
Anche la Jötunheim di God of War 4 ha una reggia: l’edificio, quasi caduto in rovina, che Kratos e Atreus attraversano un po’ spaesati, circondati da statue che raffigurano il popolo degli jötnar che fugge dalla furia genocida degli Aesir.
I due notano gli affreschi e i bassorilievi che coprono le pareti dell’edificio, e che -sorprendentemente- narrano proprio la storia dei nostri protagonisti, con tutto quel che è accaduto allo spartano e a suo figlio fino a pochi minuti prima.
Kratos, dal canto suo, scopre che forse quei disegni narrano anche un futuro in cui lo spartano sembra morire tra le braccia del figlio, ma Atreus non se ne accorge e Kratos decide di tenere la cosa per sé. Noi ne parleremo nel prossimo articolo, promesso.
Finalmente completiamo la main quest: in un momento ben più che toccante, padre e figlio spargono dalla vetta più alta dei Nove Mondi le ceneri della moglie e madre, rispettivamente, soddisfacendo l’ultimo desiderio di Faye / Laufey, e riunendo il Guardiano con il suo popolo. Ma anche di questo parleremo nel prossimo articolo, con cui concluderemo -per il momento- l’epica di Kratos.
Tornati ai piedi della scalinata d’oro, Kratos e Atreus scoprono che i due Mímir-sitter nanici sono spariti, e la testa parlante li aggiorna sulla situazione: in realtà la loro visita a Jötunheim è durata molto più di quanto pensassero, e proprio come nella Profezia della Veggente la morte di Baldur ha scatenato in anticipo il Fimbulvetr: un rigido e terribile inverno che durerà per tre anni, e che in sintesi segnerà l’inizio del Ragnarǫk, ossia il Crepuscolo il Fato degli Dèi.
Mentre Kratos, Atreus e Mímir tornano nella semi-distrutta abitazione che lo spartano divideva con Faye e loro figlio, qui nella Tana dell’Orso ci aspettiamo due cose:
Nell’attesa non possiamo fare altro che darci appuntamento al prossimo Mercoledì, per affrontare l’ultima parte dell’analisi in chiave mitologica del viaggio dell’ex-Fantasma di Sparta.
This post was published on 12 Giugno 2019 19:29
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