Quando in redazione siamo stati invitati a redigere un articolo sulla nostra esperienza con il primo videogioco a cui avessimo mai giocato, io ero un po’ titubante sul da farsi. Questo perché la mia storia è un po’ particolare e raccontandola farei la figura dell’allocco. I miei colleghi scriveranno aneddoti strappalacrime nostalgiche sulle loro giornate passate in sala giochi e citando console che risalgono all’alba dei tempi, come il Commodore 64, l’Amstrad, l’Atari 2600, la Colecovision… io no.
Io no perché quell’epoca non l’ho vissuta e la mia “carriera” videoludica porta la firma di un marchio ben preciso da cui non mi sono mai discostato, quello della Sony. Scrivere un pezzo dal titolo “memorie di un videogiocatore” per me significa riportare alla mente intense sessioni alla PlayStation.
Eppure, l’esperienza che mi ha avvicinato in maniera decisiva al mondo dei videogames e mi ha fatto dire con assoluta fermezza “Io voglio diventare un videogiocatore” è legata al personaggio più iconico di questo universo: Super Mario. Ora sicuramente sarete confusi (mentre i più maliziosi avranno già capito dove andrò a parare, purtroppo), perché PlayStation e Super Mario non sono collegabili… o forse sì. Ma torniamo indietro di parecchi anni.
L’affare della mia vita
Era il 1995 e in Europa, con poco meno di un anno di ritardo rispetto al Giappone, uscì la PlayStation, la prima mitica console targata Sony. Avevo sei anni, quasi sette, ai tempi non c’era internet per informarsi e le riviste la facevano da padrone. Tra l’altro, tra bimbetti le voci circolavano grazie a cuggini di terzo grado che passavano notizie riservatissime a dei pischelli delle elementari. Tutto assolutamente logico e credibile.
Quasi ogni giorno, quindi, mi rimbombava nelle orecchie questa parola: PlayStation. I miei amichetti già possedevano questa macchina dalla tecnologia avanzatissima, mentre io potevo solo agognarla. La chiesi a mia madre, ma dovetti arrendermi quasi subito poiché mi fu chiaro che non potessimo permettercela, come molte altre cose che non fossero un bene primario.
Un pomeriggio, finiti i compiti, perché ero un bimbo diligente, mi ritrovai a sfogliare una di quelle riviste di cui sopra. Non ricordo il titolo, non ricordo l’argomento e, con tutta probabilità, c’erano pure le donne nude, ma ricordo perfettamente che rimasi impietrito leggendo un annuncio sulla quarta di copertina (l’ultimo lato della copertina):
PlayStation a sole 29.000 lire!!!
Ero ingenuo e non mi colse il dubbio che potesse esserci un inghippo, viste anche le modalità di acquisizione e spedizione. Corsi da mia madre e le feci notare che, pur essendo indigenti, 29.000 lire per una PlayStation fossero un vero affare. Convenne con la mia affermazione e anche lei non trovò magagne, non sapendo neppure cosa fossero i videogiochi.
La acquistammo. Finalmente anche io avrei potuto avvicinarmi al mondo dei videogiochi e non starmene in disparte in classe durante le conversazioni che vertevano su quell’argomento. La batosta arrivò sonora.
Questa PlayStation ha qualcosa che non va
Mi sentivo come un bambino (e lo ero) che ha appena inviato la letterina a Babbo Natale. Attendevo con ansia di poter giocare alla PlayStation anche se non avevo ancora giochi, ma quelli li avrei comprati poi, in qualche modo (*ammicco ammicco).
Un pomeriggio, dopo scuola, arrivai a casa e vidi il pacco sulla tavola in sala da pranzo. La gioia era incontenibile, ma in pochi secondi si trasformò in frustrazione e disinganno. Era lì, davanti a me. La PlayStation… P L A…. no, c’erano delle lettere fuori posto. PolyStation. Avevo comprato la PolyStation. E che è?
Corsi a riprendere la rivista e sì, c’era scritto PolyStation. Stregoneria? Dislessia? Forse ero solo idiota. All’epoca non sapevo cosa fosse, ma non ero così fesso da non capire di aver fatto una gran cazzata. Per chi no lo sapesse, ma penso sia difficile, la PolyStation è la più famosa versione di Famiclon, cioè console tarocche che emulavano il NES (Famicom in Giappone).
Avete presente quelle console che millantano di avere pre-caricati 999999999 giochi che in realtà si rivelano essere gli stessi titoli ripetuti più e più volte con qualche sprite cambiato al volo o livelli spacciati per giochi completi? Ecco, quelli sono i Famiclon. Il mio sconforto, comunque, durò qualche minuto poi mi dissi: “Chi se ne frega”. Diedi mandato a mio fratello di attaccare la console al televisore a tubo catodico e trovata la frequenza giusta (mi sembra AV) cominciai a spulciare il catalogo dei giochi.
Mario, che ci fai qui?
Il primissimo della lista fece subito scalpore, ma confermò con ancora più forza che fossi stato un cretino. Super Mario Bros., stavo giocando a Super Mario Bros su PlayStation… PolyStation, insomma. Nonostante non fossi un esperto, conoscevo già quel simpatico personaggio salterello e, nonostante non fossi un conoscitore profondo delle dinamiche del mercato videoludico, sapevo che Mario lì non doveva esserci.
Pian piano iniziai a comprendere: mi trovavo di fronte a una console spacciata per vera ma che, in realtà, conteneva giochi di un’altra console più arcaica. Non mi importò poi così molto. Io a quella versione tarocca di Super Mario Bros. giocai tantissimo e mi divertivo da matti a farlo. Non riuscivo ad arrivare oltre il mondo 3-4, ma giocavo senza pormi alcun tipo di problema.
Non fu l’unico titolo che consumai per PolyStation. Mi diedi alla pazza gioia con Soccer, titolo calcistico in cui i giocatori dell’Italia avevano i nomi del panettiere e del macellaio sotto casa, presi le mie prime arrabbiature con Duck Hunt (dalla confezione uscì anche la light gun) e presi tante mazzate su Karateka (che su PolyStation aveva tutt’altro titolo).
Furono pomeriggi spensierati e da quella delusione nacque per davvero l’amore per i videogiochi. Super Mario Bros. per PolyStation fu fondamentale per la crescita della fiamma che, ancora oggi, non si è spenta.
Ah, per completezza di informazione, poi la PlayStation vera me la comprarono. I miei primi giochi furono Tombi e ISS Pro Evolution. Ma questa è un’altra storia.
Se volete continuare a leggere le nostre memorie, non perdetevi quella di Simone Alvaro Segatori.