Ed eccoci qui, un altro colossal americano giunge al termine dopo quasi una decade di peripezie, intrecci ed evoluzione dei personaggi. Ovviamente mi riferisco a Il Trono di Spade (o Game of Thrones nella lingua di Albione) una delle serie tv più famose di sempre.
A molti non è piaciuto il finale, o meglio, l’intera stagione che ha concluso quest’opera a tal punto da realizzare una petizione per cancellarla e girarla da capo. Tale iniziativa ha raccolto addirittura un milione e mezzo di firme. Non sono qui per esprimere un’opinione sull’ottava stagione di Game of Thrones o sull’intero prodotto, tuttavia ritengo che il pubblico, anche se non soddisfatto, non abbia il diritto di chiedere una nuova stesura della sceneggiatura, solo perché questa non è stata apprezzata. I feedback del lavoro degli sceneggiatori vanno espressi tramite le recensioni o, se vogliamo, le opinioni dei post dei social network molto spesso “edgy” (criticoni), ma non chiedendo la cancellazione di un’opera già conclusa e messa in onda.
Situazioni di questo tipo le troviamo anche nel medium videoludico. Perché si, sebbene l’aspetto fondamentale di un videogioco è il gameplay, laddove sia presente, anche in minima parte, una trama, anche lo storytelling deve essere preservato. Quali sono però gli aspetti criticabili nello storytelling di un videogioco? In questo caso sono giustificate petizioni come quelle di Game of Thrones o comunque, è giusto cambiare la storia di un gioco, sebbene questo sia già uscito, in base al feedback degli utenti?
La risposta non può essere un semplice consenso o un netto dissenso. Anche perché il medium videoludico si interfaccia con l’utente in modo diverso rispetto ad un libro, a un film o a un telefilm. Nel videogioco siamo noi i protagonisti e agiamo tramite un input. Compiamo scelte che molto spesso portano a finali diversi, tutto in correlazione al gameplay. Capirete dunque che il discorso è differente.
Se rimaniamo prettamente nell’ambito della narrativa, anche nel caso del della trama che non piace all’utente c’è poco da fare: la scelta degli sceneggiatori non si discute. Lo dimostra ciò che è successo con Mass Effect 3, il capitolo che chiude la trilogia del comandante Shepard.
Sebbene il gioco fosse buono, personalmente lo reputai da 8, il pubblico non accettò il fatto che le scelte compiute nei capitoli precedenti e nel terzo capitolo non abbiano avuto conseguenze dirette sul finale, limitato a tre scelte che portavano ad una conclusione abbastanza simile per il protagonista e differente per l’universo (non ci dilunghiamo a spiegare nel dettaglio per motivi di spoiler).
Arrivò presto una petizione per cambiare il finale. Bioware, la software house che ha sviluppato il gioco la accolse e pubblicò in seguito, tramite DLC, un extended cut con un finale più dettagliato, anche se, in sintesi, uguale a quello pubblicato con il gioco base. Questo a dimostrazione del fatto che sarebbe stato comunque impossibile riscrivere la trama di un gioco già concluso.
Ha molto più senso criticare politiche che vanno al di là del mero aspetto narrativo e che per fini prettamente economici o di scadenze portano alla pubblicazione di un prodotto con una trama privata di alcuni elementi o addirittura tagliata.
Possiamo prendere come esempio Ubisoft, che nel lontano 2008 ci regalò quella perla di Prince of Persia. Un titolo dal gameplay ed un’estetica che prendeva distanza dai capitoli precedenti, un vero e proprio reboot che ricordava molto di più le fiabe di “Le Mille e una Notte”. La cosa che fece infuriare molti utenti fu il taglio del finale vero e proprio, riproposto poi tramite DLC a pagamento. Una pratica simile ci fu l’anno seguente con Assassin’s Creed II, nel quale due sequenze di gioco furono tagliate e inserite qualche tempo dopo anche esse come DLC. Inutile dire che il pubblico non fu contento di questa scelta di marketing ed espresse il suo dissenso alla software house francese.
In seguito, nei loro titoli, una politica del genere non fu più adottata e ci fu un graduale adeguamento. In una prima fase i DLC contenevano storie “parallele” e non più una parte della trama originale, come accadeva in Assassin’s Creed III. In seguito fu adottata la politica dei Seasons Pass che manteneva il gioco sempre in continuo aggiornamento con nuovi contenuti e nuove storie. In questo caso il dissenso del pubblico era giustificato, il DLC deve aggiungere qualcosa al gioco, non togliere. Fortunatamente Ubisoft ha capito i suoi errori e ha corso ai ripari.
Un altro eclatante e famoso caso fu quello di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. L’ultima (si spera ancora per poco) fatica di Hideo Kojima ha un gameplay divertente e soddisfacente. Le lacune gravissime si trovano nei tagli riguardanti la trama. E non ci stiamo riferendo solo alla Missione 51. Si ha la sensazione che un’intera parte del gioco sia stata tagliata per motivi di budget, di tempo e per la causa legale tra il game designer e Konami.
Non si tratta semplicemente di aver cambiato il senso all’opera concepita inizialmente da Kojima e dagli sceneggiatori, ma il suo intreccio è addirittura incompleto. Ricordiamo che dei due capitoli pubblicati, il secondo ha effettivamente solo una manciata di missioni per poi riproporre le stesse del primo a difficoltà più elevata.
È qui che mi sento in dovere di dire “Non avete fatto il vostro lavoro” e non un semplice “Il vostro lavoro non mi è piaciuto.” Letteralmente giocare a Metal Gear Solid V equivale a uscire dal cinema durante l’intervallo tra il primo e il secondo tempo.
Questa situazione, paragonata alle pesanti critiche mosse agli sceneggiatori dell’ottava stagione di Game of Thrones se da una parte mi fa sorridere, dall’altra mi fa riflettere su quanto talvolta possa essere esagerata la reazione di un pubblico, forse troppo esigente.
This post was published on 22 Maggio 2019 12:32
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