Dopo un breve periodo di riposo, la Tana dell’Orso torna con l’appuntamento numero 31, in cui esploreremo i viscidi e tentacolari meandri dell’ambiguo rapporto tra The Evil Within 2 e le opere di H.P. Lovecraft.
Come già detto e ribadito quando abbiamo analizzato gli elementi lovecraftiani in The Evil Within, il primo capitolo della storia, anche in questo caso va premesso che no, The Evil Within 2 non è un gioco che tratta le tematiche che caratterizzano gli scritti di H.P. Lovecraft.
Non intenzionalmente, almeno. Ci sono vari elementi che rimandano alle opere del Solitario di Providence, ma tutt’al più dimostrano come queste siano talmente radicate nell’immaginario collettivo da risultare, in sostanza, inevitabili quando ci si ritrova a scrivere una storia che oscilla tra il filone fantastico e quello horror.
Proviamo quindi a dare una chiave di lettura lovecraftiana, se mi passate il termine ben più che abusato, agli aspetti di questo titolo che più hanno solleticato il mio animo da indagatore dell’occulto. Ho sempre sognato dirlo scriverlo. Ovviamente vi avviso che seguiranno spoiler sul gioco.
Uno dei segni di riconoscimento delle opere di Lovecraft è quello di offrire un’ambientazione a prima vista ordinaria, familiare, che ben presto si rivela soltanto un fragile velo, dietro cui si cela il più inimmaginabile orrore cosmico.
Lo sfondo di The Evil Within 2 è costituito da un’ordinaria e americanissima cittadina, una town come ce ne sono a decine di migliaia negli States. Subito dietro lo sfondo, però, il surreale e il fantastico spadroneggiano su una realtà all’interno della realtà. Realityception.
Proprio come i paesaggi rurali del New England, i suburbs esteriormente tranquilli in cui si svolgono i fatti narrati da The Evil Within 2, e che ci vengono mostrati principalmente nel finale, sono l’effimero sipario che nasconde gli orrori inesorabili e ineluttabili (chi vuol intendere, intenda) che andranno a insidiare la nostra fragile sanità mentale.
Altri elementi di spicco della prosa lovecraftiana, in particolare, sono il rifiuto dell’antropocentrismo, l’isolamento sociale dei protagonisti, un certo gusto retrò per il lessico e le ambientazioni, una discreta passione per i liquami gelatinosi e le creature semi-solide, la natura soltanto temporanea dell’eventuale vittoria disperata e insperata dei protagonisti, e infine una dolorosa carenza di risposte alle mille domande che sorgono durante la lettura.
Come vedremo più avanti, The Evil Within 2 ci offre:
nel finale, inoltre, comprenderemo l’ineluttabilità (again) della vittoria di alcune forze aliene sui difensori umani, mentre avremo un sacco di domande e così poche risposte soddisfacenti.
A coronamento di tutto questo, ci sono i temi della sanità mentale e della regressione umana: se in Lovecraft si perde la prima per aver anche solo sfiorato determinati segreti cosmici, e si ottiene la seconda spesso come conseguenza della scoperta di verità nascoste, in The Evil Within 2 è proprio il deterioramento della sanità mentale di una figura chiave (il Nucleo di STEM) a corrompere l’intera realtà, e a far regredire e mutare gli abitanti di essa.
Una spolverata di culti blasfemi, creature dall’aspetto alieno, geometrie incomprensibili, un’atmosfera opprimente, viaggi onirici, porte su altri mondi e la giusta dose di tentacoli mostruosi: queste sono le pennellate finali che vanno a comporre lo squisitamente decadente quadro che mi porta a definire The Evil Within 2 come un videogioco lovecraftiano, anche se più o meno involontariamente.
Vanno naturalmente fatte le dovute premesse: nelle opere di Lovecraft l’orrore cosmico non si affronta a viso aperto: non si spara al mostro terrificante, e se lo si fa spesso è tutto inutile. La cosa che non dovrebbe esistere, che insidia la nostra sanità mentale e la realtà stessa, spesso nemmeno si vede, ma restano il senso d’oppressione inspiegabile, di minaccia sovrannaturale, e di terrore dell’ignoto.
Qui, per ovvi motivi, manca questo aspetto ma sono ben presenti le altre caratteristiche della poetica di H.P., soprattutto la paura dell’ignoto e di quello che si cela dietro la realtà. Mentre però nel primo capitolo la guida di Shinji Mikami puntava dritta verso Resident Evil, nel secondo capitolo è tutto più anglofono, un po’ più soft, e decisamente più tragico.
Partiamo dal protagonista, lo stesso del primo capitolo della serie: Sebastian Castellanos, un ex-investigatore ingrigito da traumi psicologici e fisici, che lo hanno portato a essere depresso, cinico, scostante: il cliché dell’hardboiled detective, insomma, e un ottimo candidato per essere un investigatore dell’occulto coi controfiocchi e fondina ascellare.
Tutta la vicenda ruota attorno a Lily, figlia di Sebastian, ritenuta morta ma -si scoprirà- rapita dalla società segreta Mobius per essere usata come Nucleo dello STEM, la macchina che simula una realtà virtuale collegando tra loro i cervelli dei soggetti a essa connessi. La presa di Lily su Union, questo è il nome di questa realtà alternativa, ben presto si allenta, e Mobius perde il controllo.
Le grinfie di uno psicopatico si allungano su Union, corrompendo la realtà e i suoi abitanti fino a riempire il mondo di mostri orripilanti e macabre crudeltà di ogni genere. Questo psicopatico è Stefano Valentini, un ottimo rappresentate del popolo italico: un serial killer fiorentino, appassionato di fotografia e arte. Il caro Stefano crea opere d’arte dalla morte delle sue vittime, immortalandole mentre sono alle prese con mostri abominevoli. Vi ricorda qualcuno? No, non spoilerate: ne parleremo più avanti.
All’interno di Union troviamo anche Myra, moglie del protagonista Sebastian, nonché una serie di personaggi secondari che rivestono il ruolo proppiano di aiutanti, almeno in un primo momento; in seguito vengono corrotti dalla folle influenza di creature più potenti, fino a saltare la siepe e diventare dei villain in piena regola.
La stessa Myra diventa vittima di questo meccanismo: entrata in Union per proteggere la figlia, le sue buone intenzioni vengono corrotte al punto da farla diventare, in un certo senso, il mostruoso carceriere di Lily, cioè la Matriarca composta / ricoperta di liquami gelatinosi e traslucidi.
Il piano di Myra coinvolge anche Theodore Wallace, che la follia e la corruzione che pervadono Union portano a diventare Padre Theodore, capo di una setta di cultisti pazzi che adorano il fuoco, i combustibili e le cose roventi. Cultisti pazzi che adorano qualcosa che li distrugge fisicamente e psicologicamente.
‘Nuff said.
A capo della società segreta Mobius, che trama e complotta per usare una versione potenziata dello STEM per dominare il mondo, c’è l’Amministratore. Questo personaggio dichiara di voler creare un mondo privo di dolore, scevro da guerre e conflitti, e in cui non ci siano disparità tra gli esseri umani. «E cos’avrebbe di lovecraftiano?», mi chiederete. Beh, l’avete guardato con attenzione?
Ora ci si diverte.
Sebastian Castellanos esplora un mondo onirico, raccogliendo informazioni e utilizzando il suo equipaggiamento per attingere alle fonti di conoscenza perduta, costituite da voci provenienti dal passato e particolari punti di risonanza, così da riuscire ad andare sempre più avanti, incontrando creature mostruose e fantastiche via via più potenti, da cui spesso si può soltanto cercare di scappare a gambe levate.
Ebbene, lo scriverò nero su bianco: Sebastian Castellanos è Randolph Carter. Ok, l’ho detto. Poggiate torce e forconi, quelle ci serviranno dopo: Carter è un viaggiatore onirico, che esplora il Mondo dei sogni e viaggia in lungo e in largo alla ricerca onirica dello sconosciuto Kadath, descrivendone i luoghi perduti nel tempo, le creature fantastiche e le conoscenze smarrite tra le pieghe del cosmo, fino ad arrivare al cospetto del boss dei boss.
Quale altro celebre personaggio torna in scena in La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath? Il beneamato Richard Upton Pickman, leggermente cambiato, che avevamo già incontrato in Pickman’s Model, cioè Il modello di Pickman. Richard è un artista peculiare, che dipinge con un inspiegabile, ultraterreno e inquietante realismo i suoi soggetti di natura fantastica, in particolare alcune creature mostruose nell’atto di divorare cadaveri umani.
Nel corso del racconto scopriremo che, in fondo, Pickman è più un fotografo che un pittore, nel senso che cattura la realtà più che immaginarla. Abbiamo abbondantemente parlato di Pickman quando abbiamo analizzato l’influenza di Lovecraft nella saga di Fallout, quindi torniamo a noi.
Ricordate Stefano Valentini, il fotografo fiorentino nonché affermato serial killer presente in The Evil Within 2? Ebbene, anche lui ritrae creature mostruose e fantastiche, portate (e mutate) appositamente nella realtà di Union per creare la sua macabra arte, che lo ossessiona fino alla più tremenda e profonda follia.
Una delle creature di Stefano Valentini è l’Apertura: un gigantesco occhio a forma di lente fotografica, che fluttua nei cieli di Union, incoronato da una massa di tentacoli che vorticano e si dimenano. Quest’occhio che si apre nel cielo, con le sue appendici tentacolari, mi ha fatto tornare in mente il caro, vecchio, adorato Hermaeus Mora di The Elder Scrolls. Ricordate? L’avevamo paragonato al Demone Sultano, al Caos Primigenio, cioè l’Azathoth di Lovecraft.
In realtà in The Shambler from the Stars di Bloch troviamo un riferimento diretto tra l’occhio e un’altra entità scaturita dalla penna del Solitario di Providence: lo pseudobiblion (un libro immaginario citato come vero, un po’ come il Necronomicon) di Ludwig Prinn, il De Vermis Mysteriis, definisce Nyarlathotep come un occhio che tutto vede, grande conoscitore di magia e tecnologia.
In The Evil Within 2, invece, il ruolo del dio cieco che gorgoglia e bestemmia al centro dell’Universo è rivestito da una creatura molto, molto più innocente: Lily, figlia di Sebastian e Myra. Lei è il Nucleo di STEM e sta -in soldoni- sognando Union, così come Azathoth è il Caos Nucleare che sta sognando il nostro Universo. Se il sognatore dovesse svegliarsi, in entrambi i casi la realtà cesserebbe di esistere.
Il celeberrimo servitore e messaggero di Azathoth è, come sappiamo, il Caos Strisciante il cui nome ha provocato più refusi di rogue / rouge. Una volta per tutte: il ladro – furfante è un rogue, maledizione, mentre rouge significa “rosso” in francese.
A differenza delle altre divinità e semi-divinità dei Miti di Cthulhu e nelle altre opere di H.P., Nyarlathotep ha uno scopo ben preciso, segue un suo piano e soprattutto serve gli dèi esterni. Il suo scopo ultimo, inoltre, è quello di favorire la distruzione delle creature viventi sulla Terra, così da preparare il ritorno degli Dèi Esterni, almeno secondo la Cthulhu Mythos Encycopedia di Dan Harms.
Infine, va ricordato, il suo aspetto immaginato da Derleth in The dwellers in the darkness è quello di un enorme gigante, munito di artigli e con un grosso e vermiglio tentacolo posto lì dove dovrebbero esserci la testa e il volto.
Myra, nel gioco, ha uno scopo ben preciso, segue un suo piano per liberare la figlia, ma finisce per servire -a modo suo- Lily / Azathoth. Nel finale di The Evil Within 2, la signora Castellanos prende il posto della figlia risvegliata, così da distruggere la realtà virtuale di Union, e ne approfitta per inviare un segnale che frigge i cervelli dei membri di Mobius. Il suo aspetto mutato, inoltre, è quello di un gigante artigliato, munito di un grosso tentacolo.
Oltre a mostrarvi la miriade di occhi vermigli che Myra ha lì dove ci si aspetterebbe di trovare il volto, vorrei anche sottolineare -un po’ en passant– la somiglianza tra i nomi di Myra e Nyar-lathotep.
Ah, quasi dimenticavo: Mobius si sforza di tenere addormentato e collegato a STEM il Nucleo della macchina, cioè Lily / Azathoth, perché se la bimba dovesse svegliarsi la realtà di Union crollerebbe su sé stessa. E chi è che custodisce il sonno di Azathoth? Nient’altri che la sua inetta schiera di danzatori ottusi e amorfi, che lo cullano con il sottile, monotono lamento d’un flauto demoniaco stretto da mani mostruose.
I passi di Sebastian, invero un po’ rigidi e legnosi, ci portano a incontrare una pletora di creature scaturite dal più malato degli incubi. Oltre a Myra / la Matriarca e a Obscura, di cui abbiamo già parlato, vorrei citarne due in particolare.
La prima è una versione dei Perduti, cioè creature distorte e corrotte dalla volontà del Nucleo della macchina STEM, che in questo caso assume l’aspetto di una donna magra, smunta, pallida e scavata, dotata però di lunghe dita affusolate e artigliate. Quando ho visto queste creature per la prima volta, la parola che si è manifestata nella mia mente ottenebrata dal canto difonico mongolo (che per qualche motivo è finito nella playlist della Tana dell’Orso…) è stata gaunt. Smunto, scarno.
La frazione di secondo successiva, naturalmente, ha portato all’associazione con i Nightgaunt di Lovecraft. Non c’è una vera e propria somiglianza fisica, né una legata alla loro funzione, ma i Nightgaunt sono sostanzialmente forme umanoidi, smunte, nere, viscide, gommose e senza volto, dotate di lunghi artigli; le Isteriche sono figure umanoidi, smunte, grigie, pallide, viscide, mollicce, con un volto deforme e dotate di lunghe artigli.
Un’associazione dello stesso tipo mi ha portato a paragonare la Progenie, un abominio nato dalla fusione di più corpi e dotato di una testa vagamente triangolare e mani artigliate, a Rhan-Tegoth o anche alla Grande Razza di Yith.
Il primo è un insettoide dotato di sei appendici chelate, una testa orrenda e una sorta di proboscide tentacolare, mentre i secondi, almeno nella loro incarnazione terrestre, appaiono come una forma conica, dotata di due tentacoli chelati, uno con una sorta di bocca multipla a forma di tromba, e uno sormontato da una testa sferica dotata di tre occhi.
Non sono vere e proprie somiglianze: si tratta esclusivamente di associazioni mentali immediate e istintive, non prive di un certo senso di repulsione, che mi hanno colpito istantaneamente non appena ho visto i soggetti in questione. Voi avete notato altre somiglianze, che magari a me sono sfuggite? Come sempre vi aspetto nei commenti.
A questo punto non resta che darci appuntamento, come sempre, a Mercoledì prossimo, con un nuovo articolo della Tana dell’Orso, dedicato alla mitologia nei videogiochi e nei giochi di ruolo.
This post was published on 8 Maggio 2019 19:42
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