Nel contesto delle recensioni dei videogiochi, nella descrizione dei più disparati parametri che caratterizzano hardware e software, ci serviamo dei numeri per consuetudine, protocollo, potere di sintesi e semplicità d’uso. Il problema principale di questo simboli descrittivi è relativo al fatto che, spesso, vengono considerati alla stregua di entità standardizzate ignorandone il contesto.
Sicuramente è di uso comune associare, e badate bene, non è un processo affatto errato, un preciso valore numerico a un determinato livello qualitativo. Aiuta a semplificare la realtà dal punto di vista, come abbiamo detto, descrittivo e costituisce un linguaggio che, basato su un’opportuna scala di valori, cerca di comunicare lo stesso significato e messaggio comprensibili in modo “universale” dai lettori.
Generalmente inquadriamo soglie numeriche che parlano di giochi brutti, orribili o mediocri, di titoli sufficienti o magari buoni prodotti fino ad arrivare a eccellenze inarrivabili, a nuovi standard e a capolavori che segnano un genere o una generazione. Pare però, al tempo stesso, il voto sia uno strumento riduttivo ed imperfetto. Molte volte il destino di alcuni prodotti, la percezione a pelle e a primo impatto, da parte del pubblico e probabilmente anche il volume di vendite dipende dal voto.
Il voto preso in modo asettico, però, senza considerare il contesto e tutti i fattori che l’hanno determinato, senza tener conto del bias involontario dell’autore che esprime comunque una qualche soggettività all’interno del corpo del testo della recensione e il contenuto del testo stesso diventa un’entità ambigua, pericolosa.
Logicamente questo non è detto che possa nascondere solo stime a ribasso e, pertanto, bisogna tener conto principalmente del testo che ha portato a quel numero in chiusura. Spesso è buona norma confrontare più recensioni per avere un quadro generale della situazione ma, al tempo stesso, il particolare. Un confronto incrociato che da modo da valutare quali possono essere i reali parametri simil-oggettivi e cosa è guidata dal cuore piuttosto che dalla mente.
La presenza di un quantitativo notevole di recensioni, l’esistenza di questo mare di informazioni si porta con sé la necessità intrinseca di fare ordine, di cercare la luce di un faro nella nebbia, di cercare un filo guida. Questo ruolo viene ricoperto, tra luci ed ombre, tra benefici e danni, tra meriti e demeriti dal famigerato Metacritic. Parliamo del famoso score che è diventato l’argomento più gettonato, la briscola, il top-deck decisivo a cui ricorrono i giocatori nell’atto di intavolare una discussione o di passare dal lato della ragione in un contraddittorio a due o più voci che riguarda la qualità di un gioco.
Il problema principale che si porta con sé il sistema delle medie è che spesso, in giocatori non molto avvezzi alla documentazione o con atteggiamenti superficiali e sommari, questo valore numerico anziché coadiuvare il giudizio dei giocatori va a sovrapporsi ad esso in modo sterile e matematico. Ciò comporta un appiattimento dello spirito critico che trasporta il giocatore in un mondo in bianco e nero, fatto da una scala di valori parzialmente stravolta in cui, agli occhi di molti, non esistono mezze misure. Ed è proprio così che scompaiono dalla considerazione (ma anche qualche volta dalle recensioni) le scale di grigi, scompaiono quei voti che erano accettati di buon grado in ambito scolastico e che ora vengono ripudiati poiché sancirebbero, sostanzialmente, una bocciatura.
In funzione di questa visione e considerazione stravolta dei valori numerici che a volte i titoli vengono spazzati via dalle buy list, “flammati” e sconsigliati in ambito social, almeno per quel che concerne le “minoranze rumorose”. Il voto medio, oltretutto, è frutto di uno spettro di valori spesso variegato, con forbici di voti estremi anche notevoli che si traducono in dei “delta” molto ampi e dipende, inoltre, in ottica di sensibilità statistica, anche dal numero di recensioni (poche recensioni comportano una media generalmente poco affidabile).
Le medie, in particolar modo, risultano essere anche bugiarde e accolgono nel calderone delle valutazioni, valutazioni sensazionalistiche (spesso a forte ribasso) che diventano strumenti di pubblicità e propaganda di qualche fenomeno. Il tutto, ovviamente, oltre ad intaccare la media del titolo, lo macchia di colpe o meriti che molto probabilmente non gli appartengono e monopolizzeranno l’attenzione e il portfolio di espressioni social dei giocatori. Per questo motivo i titoli verranno descritti sulle piattaforme di discussione in funzione del numeretto, più o meno rumoroso, ignorando cosa c’è dietro.
Lo stesso Days Gone, fresco d’uscita, è diventato il cavallo di battaglia dei boxari per dire che la macchina del fumo sonara si è rotta, che non tutte le recensioni si possono comprare, che parliamo di un gioco pessimo e quant’altro. I voti diventano strumenti pericolosi nelle mani di tifosi incoscienti.
Ma, realisticamente parlando, titoli che hanno voti mid-range, che spaziano dal 5.5 al 7.5 sono davvero da considerarsi giochi brutti, fallimentari, discutibili? Niente di più falso. Una miriade di variabili, di circostanze di epoche tecniche e di correnti videoludiche, gusti personali e affini concorrono nella scelta del numero-simbolo di quello specifico titolo, secondo quello specifico recensore.
La bellezza, al di là di alcuni canoni oggettivabili e che i saggi recensori sono in grado di mettere in luce, sta anche negli occhi di chi guarda. Sicuramente essendo in ballo storytelling, scrittura, meccaniche di gameplay, loop ludici, stile grafico, contesti “storici” e personali e quant’altro, in funzione della propria soggettività si può trovare divertimento, immedesimazione e trasporto anche in prodotti imperfetti secondo i canoni ma che riescono a toccarci intimamente in specifiche corde del cuore.
Non di rado mi è capitato di innamorarmi di titoli grezzi, di pietre per me preziose che per altri non sono altro che paccottiglia e, al tempo stesso, di aver avuto difficoltà ad empatizzare con capolavori senza tempo. Logicamente non stiamo mettendo in discussione il fatto che un gioco da 6 possa essere perlopiù superiore ad un gioco da 9.
Risulta pertanto inutile, sbagliato e dannoso il paragonare titolo story driven come The Last of Us ed un titolo battle royale, come ad esempio Apex Legends. Non c’è alcun motivo di paragonare dei prodotti che, alla loro base, hanno concetti di design e fruibilità diametralmente opposta. Sarebbe come il voler paragonare la pasta alla carbonara ed un kebab o paragonare il cinema d’autore o per nicchie al grande cinema d’intrattenimento “barebone”.
Sostanzialmente quello che vi consiglio di fare è di leggere, documentarvi, sentire più campane, in modo tale da capire lo spettro di sensazioni, qualità ed emozioni che il titolo mira a comunicare e di cercare di capire il prodotto. Evitate di appiattire le vostre opinioni in confronti insensati, di perdere il vostro spirito critico e di sovrapporlo in modo freddo a medie potenzialmente veritiere ma sterili.
This post was published on 8 Maggio 2019 12:00
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