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Speciali

[La tana dell’Orso] God of War: A Call from the Wilds e la mitologia norrena

La rubrica della Tana dell’Orso festeggia il suo trentesimo appuntamento! Stavolta vi propongo un titolo un po’ insolito, un’avventura testuale che funge da ponte tra i miti greci e la mitologia norrena, con l’aiuto del figlio di uno dei personaggi più amati dei videogiochi: sto parlando di God of War: A Call from the Wilds, che si posiziona cronologicamente fra God of War 3 e God of War (2018).

Possiamo seguire le peripezie di Atreus, il figlio di Kratos, giocando tranquillamente tramite il Messenger di Facebook, sia da desktop sia da mobile. Ovviamente è necessaria qualche nozione basilare di lingua inglese, che non dovrebbe essere un problema; se invece dovesse esserlo, beh, non dovete far altro che continuare a leggere qui sotto.

Inizia il viaggio di Atreus

Il nostro piccolo eroe si sveglia in un rustico monolocale, immerso nella natura e circondato da ampi spazi verdi, perfetto per gli amanti del relax e della privacy.

Ecco, magari sull’annuncio immobiliare avrebbero potuto specificare che il pavimento sarebbe stato sempre fradicio, che il riscaldamento sarebbe stato quasi assente e che il supermercato più vicino si sarebbe trovato a più di un millennio di distanza, ma tant’è.

Abitazione vichinga – National Botanic Gardens di Dublino, Irlanda – foto di William Murphy

Si inizia letteralmente con il lasciare il tepore del letto, e il simpatico sistema di gioco attribuirà al recente risveglio gli eventuali errori commessi nello scrivere i comandi testuali.

Ci vestiamo, facciamo colazione e raccogliamo un minimo di equipaggiamento… ovviamente dimenticando qualcosa che ci servirà molto, molto più avanti, e in questo modo saremo costretti a rigiocare tutto da capo. Sì, perché a quanto pare l’avventura non si può resettare.

Ricordate: se non è saldato o imbullonato a terra, prendetelo.

L’addestramento del figlio di Kratos

Usciamo di casa, facciamo un giretto nei dintorni, raccogliamo qualche erbetta a caso e ci sentiamo chiamare da nostra madre. Ci starà forse sgridando perché non siamo ancora andati a scuola o a lavorare? No, vuole che ci addestriamo nel tiro con l’arco. Ok.

Qui impariamo che bisogna sempre mirare prima di scoccare, e questo dovremo tenerlo bene a mente per dopo. La lezione del giorno non è ancora terminata: Madre ci fa studiare la runa Dagaz che, secondo il gioco, simboleggia l’alba, il cambiamento radicale e le nuove possibilità. Ok, un po’ semplicistico, ma ci può stare.

Atreus in fondo è solo un ragazzino, e i segreti del Futhark antico magari li lasciamo per il programma delle scuole medie.

Le voci nella testa

Sì, ok, Atreus sarà anche un ragazzino, ma è un ragazzino molto speciale. E con speciale intendo che sente delle voci nella sua mente.

Magari si tratterà di un meccanismo psicologico di auto-difesa e compensazione, visto che la figura paterna non è esattamente presente ed esemplare, ma in sostanza Atreus s’infila tra frassini, pini e alberi di tasso, fino ad appollaiarsi tra i rami di un grosso albero.

Atreus inizia a sentire delle voci, che lo guidano fino a un albero segnato da uno strano simbolo, che sembra confortarci e donarci un senso di protezione; purtroppo non sembra che si possa indagare più a fondo, almeno non durante la prima avventura che ho giocato.

Qui iniziano peculiari visioni, sogni premonitori e soprattutto il nostro cammino nel mito norreno.

Gli elementi mitologici in A Call from the Wilds

Il giovane Atreus zompetta tra i rami del frassino che immagina essere Yggdrasill, immaginando di saltare da un mondo all’altro.

Dell’albero cosmico abbiamo parlato tante volte: da quello nella saga di Max Payne alla versione immaginata dalla Marvel, passando per l’ipotetica presenza del celebre frassino in Darksiders 3 e finendo nell’Albero dei Nove Mondi dell’ambientazione per D&D 5E Journey to Ragnarok.

Yggdrasill sorregge i Nove Mondi in cui è suddivisa la realtà nella cosmologia norrena, e affonda le sue radici in tre di essi. È proprio tra le sue fronde e le sue radici che troveranno riparo le creature destinate a fondare il nuovo mondo dopo il Crepuscolo il Fato degli Dèi, il Ragnarok.

Lo sappiamo e comunque l’abbiamo ripetuto più e più volte, quindi andiamo oltre.

I corvi, la foresta, gli spiriti

Ci addentriamo nella foresta, e una delle illustrazioni che ci vengono presentate mostrano dei corvi, che ci osservano dall’alto.

Se non vi sono venuti in mente Huginn e Muninn, gli occhi e le orecchie di Odino, allora andate almeno a guardare la serie TV American Gods,  o anche a giocare Rune Classic oppure Viking: Battle for Asgard. Certo, leggere il Discorso di Grimnir dell’Edda poetica sarebbe ancora meglio, ma meglio di niente…!

Una miniatura islandese di Odino con i corvi Huginn e Muninn

Nella foresta possiamo compiere una scelta: ascoltare il grido d’aiuto di una creatura innocente, o seguire il richiamo della fama e della gloria. Nella prima giocata ho deciso di dare retta alla voce della creatura disperata, e quindi mi sono trovato faccia a faccia con un esempio elementare dei rituali funebri norreni.

Ora, che veniate posti su una pira ardente, oppure in un tumulo dalle parti di Birka, o in una nave rituale nei dintorni di Oseberg, sono sostanzialmente fatti vostri: l’importante è che si celebrino i riti corretti. Come ad esempio sjaund, la regolamentare sbronza funebre a base di birra.

In questo caso il rito funerario è molto più elementare, ma avrà ugualmente il suo effetto. Se avessimo preso un determinato oggetto dalla nostra abitazione, invece, magari avremmo avuto altre frecce nel nostro arco opzioni a nostra disposizione.

Invece no, così abbiamo avuto modo di accennare ad alcune delle usanze funebri della cultura norrena. Non siete contenti?

I draugr di Skyrim

Beh, dovreste esserlo: senza i riti appropriati, si rischia di finire come i poracci che ci attaccano di lì a poco, decisamente più vivi di quel che dovrebbero essere dei defunti che si rispettino.

Kratos ha letteralmente ucciso la Morte, e poi per buona misura ha strappato l’anima al dio degli Inferi: forse è per questo che suo figlio si ritrova a rischiare gli schiaffi da due non-morti norreni?

Nella mia partita Atreus è riuscito quasi a sconfiggerli da solo, prima di andare in Ira (tale padre, tale figlio!) e veder spuntare Kratos tra gli alberi, lanciato in carica in modo squisitamente appropriato. Un giro di Spartan Rage, e l’ex-dio della guerra ripristina l’ordine e la disciplina negli immediati dintorni, prima di avviarsi verso casa con Atreus a rimorchio.

La figura del draugr viene dritta dritta da The Elder Scrolls dal mito norreno: si tratta di corpi rianimati da forze maligne e volontà ultra-terrene, e che spesso finiscono per fare la guardia ai tesori sepolti nel loro stesso tumulo.

La pira funebre ora assume tutto un altro fascino, non è vero? Sia come sia, uno dei draugar più famosi è senz’altro quello di Glamur, che terrorizza il vicinato con i suoi shenanigan alla The Walking Dead finché, alla fine, l’eroe islandese Grettir (un Barbaro Caotico-Neutrale ante-litteram) non lo spedisce nell’aldilà. Non prima di beccarsi una maledizione piuttosto fastidiosa, in sostanza un Level Drain, ma sono cose che capitano.

I draugar del mito sono piuttosto simili a come ce li immaginiamo, anche se hanno poteri magici decisamente superiori rispetto agli scheletri armati alla bell’e meglio che siamo abituati a vedere. Dalla divinazione al controllo del tempo atmosferico, fino alla capacità di trasformarsi in gatti, sedersi sul petto dei dormienti e crescere fino a soffocarli.

In Abruzzo, da qualche parte, c’è una Pandafeche che annuisce soddisfatta. Sì, anche nelle verdi lande del Piccolo Tibet gli spiriti maligni si trasformano in gatti che si siedono sul torace di chi dorme beato, e gli tolgono gradualmente il respiro.

Bisogna sempre tenere una lama di ossidiana sul comodino, ragazzi. Le basi, dai.

I revenant: spettri redivivi

Ma cosa significa, letteralmente, la parola draugr (draugar al plurale)? Può indicare uno spettro, un non-morto, ma in modo più appropriato significa redivivo. In inglese: revenant.

In God of War (2018), invece, i revenant sono tutta un’altra questione. E infatti ne incontriamo uno di lì a poco, con annesso il branco di lupi d’ordinanza. Un branco che, per nostra fortuna, viene messo in fuga dai colleghi della creatura bisognosa di cui abbiamo seguito il richiamo.

Cosa succede se invece abbiamo dato ascolto all’altra voce? Beh, lo scoprirò nella prossima giocata.

Il Kratos che stavo giocando in quel momento ha deciso di dargli una capocciata, e non è stata un’idea brillante; proprio come vedremo nel prossimo capitolo della saga di God of War, i revenant sono sfuggenti e scattanti, e il miglior modo per affrontarli è farli rallentare o addirittura stordire da una freccia scoccata da Atreus.

In God of War: A Call from the Wilds possiamo applicare la stessa tattica, così che Kratos possa ben presto avere ragione del bestio, che in realtà proprio bestio non è.

Nella storia di Kratos i revenant sono donne spettrali e ingobbite, probabilmente sottoposte alla celebre –ma più poetica che realeBlood Eagle, avvolte in un sudario e fluttuanti su una nube verdastra, che brandiscono poteri elementali e si teletrasportano a caso per evitare i nostri attacchi; in realtà nella mitologia nordica i revenant non sono altro che gli stessi draugar, come abbiamo già visto poc’anzi.

Nel folklore della Scandinavia Orientale, in realtà, le cose sono un po’ diverse: gli infanti e i bambini sepolti senza i riti appropriati (o con quelli di altre religioni) possono tornare sotto forma di revenant, in una forma più spettrale e terrificante.

Questa versione scandinava mi ricorda i –terrificanti– botchling della saga di The Witcher, di cui abbiamo parlato in passato, mentre i revenant di God of War sono più simili ai Leshen e agli Spriggan incontrati dal caro Geralt di Rivia.

I lupi nella mitologia norrena

Insieme ai revenant, in God of War troviamo anche l’immancabile branco di lupi. La figura del lupo, come sappiamo, è presente nella mitologia e nella cosmogonia di tutta l’Eurasia e di buona parte dell’America Settentrionale: cioè, guarda caso, nell’area che corrisponde all’habitat naturale del lupo.

Nella mitologia norrena troviamo quattro figure principali che hanno le fattezze di un lupo:

  • il celebre Fenrir, figlio di Loki e Angrboda, incatenato da Gleipnir e destinato a divorare il padre degli dèi durante il Ragnarok;
  • Sköll, figlio di Fenrir, destinato a inseguire e infine a divorare il Sole;
  • Hati, figlio di Fenrir e fratello di Sköll, farà lo stesso con la Luna;
  • Mánagarmr, terzo elemento della cucciolata e il più forte dei tre (secondo Snorri Sturluson), il cui compito è divorare i morenti.
Skoll e Hati inseguono il Sole e la Luna – Willy Pogany

Oltre a essere i pet di tutti i miei passati, presenti e futuri PG Hunter su World of Warcraft, i cari Sköll e Hati fanno la loro apparizione anche nella serie TV Supernatural, e di Mánagarmr abbiamo discusso quando abbiamo parlato di Viking: Battle for Asgard.

In generale possiamo dire che queste figure lupine abbiano connotati decisamente negativi. Nel mito norreno, però, non mancano i lupi con attributi positivi: ad esempio Geri e Freki, che accompagnano Odino proprio come fanno i corvi Huginn e Muninn, sebbene con compiti diversi.

Odino, i corvi Huginn e Muninn e i lupi Geri e Freki – Carl Emil Doepler

Se questi ultimi sono gli occhi e le orecchie dell’Allfather, i primi si cibano della carne presente sul suo tavolo, visto che Odino segue esclusivamente una dieta liquida. E alcolica.

Le rune Futhark

Quasi dimenticavo! Oltre alla runa Dagaz studiata da Atreus, nel corso del gioco incontriamo una moltitudine di iscrizioni runiche, che vediamo nelle immagini proposte dal gioco.

Ora, cari lettori, secondo voi avrei potuto resistere alla curiosità e non tradurle? Ah! Ero appena all’inizio di questo compito, quando ho scoperto che su Reddit ci avevano già pensato, quindi ora ve le traduco in italiano e via.

Capitolo 1: le lezioni di Atreus

Conosci, figlio mio, la tua mente più pura / espira, chiudi gli occhi / confida nel tuo istinto, lasciala volare, tendi costantemente, postura ben salda.

Capitolo 2: segui le voci

Ragazzo, qui fuori non è il tuo posto, questa terra è tormentata dalla piaga / torna immediatamente da dove sei venuto, o sii pronto a combattere.

Voce blu: L’inverno reclama un bocciolo tranciato dall’arco di un cacciatore, non vedrò altre stagioni.

Voce rossa: Allenta le tue catene, ragazzo: un valoroso e selvaggio mondo ti aspetta / devi seguire lui per sempre o forgiare il tuo vero destino.

Riti funebri: Oh, ti guido oltre questa terra, innalzati oltre l’alto frassino e il pino, lontano da quello che comprendiamo / una bacca raccolta troppo presto dalla pianta / non indugiare su questo piano mortale, la tua anima è ora liberata / questa breve vita non è stata vissuta invano, che tu possa trovare la pace eterna.

Spirito: Luce del mattino. Riposo. Liberato.

Draugar: Braccare queste terre con furia e odio è la nostra maledizione eterna / una preda giace lì, lacerata e spezzata, ma sappiamo che il nostro destino è ben peggiore.

Capitolo 3: la carica di un padre

Aiuto! Grido nella notte. Temo che il mio destino sia segnato. Se nessuno mi offrirà il proprio aiuto, questa sarà la mia ultima notte.

Capitolo 4: il viaggio verso casa

Revenant: Questa intrusione sarà il tuo ultimo sbaglio / dev’essere la morte ciò che cerchi / un cupo destino è dinanzi a te / la stirpe di Fenrir che digrigna i denti.

Il finale: Ho sempre seguito le sue orme / ho sempre temuto la sua furia vendicativa / oggi ha scorto l’uomo che c’è in me / oggi io traccio la strada.

Quest’ultima frase ha un fortissimo vibe di rito di passaggio: vediamo Atreus che abbandona i panni da bambino, diventa uomo, smette di temere suo padre e inizia la sua vita da adulto.

Ora siamo pronti per God of War (2018)!

Nel finale padre e figlio si avviano finalmente verso casa, dove trovano la compagna di Kratos nonché madre di Atreus ad accoglierli, visibilmente sollevata.

A quel punto stavo già immaginando una scena bucolica, con un donnone munito di treccione bionde che attende sulla soglia, con tanto di grembiule e cucchiaio di legno agitato minacciosamente nell’aria. Invece niente, l’avventura testuale di God of War: A Call from the Wilds finisce lì, ricordandoci di preordinare God of War (2018), e ci regala le immagini ad alta risoluzione, firmate Vance Kovacs, che abbiamo sbloccato nel corso dell’avventura e che avete visto in questo articolo.

Ok, questo dovrebbe essere il tie-in tra la prima parte della saga di God of War, quella ambientata nel mito greco, e quella che invece affonda le radici nella mitologia norrena; in realtà non sappiamo ancora cos’abbia fatto Kratos dopo aver ucciso Zeus, sconfitto la Paura e liberato la Speranza dal Vaso di Pandora, e aver rifiutato la proposta-che-non-si-può-rifiutare della rediviva Atena.

Non sapete di cosa sto parlando? Allora vi consiglio di leggere l’approfondimento dei temi mitologici in God of War 3, che si divide in un primo spezzone, più letterale e analitico, e in una seconda parte, incentrata sulla speculazione e sulle ipotesi. In una di queste Kratos è uno dei Magi, mentre in un’altra è addirittura il Messia.

Perdetevi pure nei meandri delle mie visioni provocate da tre giorni di ascolto ininterrotto di Wardruna, di cui vi suggerisco un piccolo esempio, e nel frattempo vi do appuntamento, come sempre, per Mercoledì prossimo.

 

 

 

This post was published on 24 Aprile 2019 18:36

Pierluigi Michetti

Pierluigi è un abruzzese di 33 anni, cittadino d'Europa e appassionato non soltanto di tutto ciò che sia vagamente fantasy, ma anche di mitologia, rievocazione storica e rasatura tradizionale. Cresciuto a pane, olio d'oliva, videogame di ruolo, letteratura fantasy, lezioni di pianoforte ed heavy metal, studia Scienze Politiche, prima, Pubblicità e Marketing, poi, e a metà della storia si ritrova a fare il copywriter e il redattore. Dopo aver adorato D&D 3.5, Sine Requie, Il Richiamo di Cthulhu e altri titoli meno celebri, si ritrova quasi per caso a sfogliare il PHB e la DMG di D&D 5E, e lì viene risucchiato in un vortice dimensionale senza via di scampo. Dopo aver giocato il Guerriero / Chierico per una dozzina d'anni, attualmente si diverte con un Barbaro in una campagna, fa il DM in una seconda, e gioca (male) un Warlock Legale-Malvagio in una terza, sempre con lo stesso gruppo. In tenera età, armato di un Amiga Commodore 64 e un SEGA Master System II Plus, inizia a esplorare il multiverso videoludico; la vera passione, però, sboccia soltanto con l'arrivo di un Pentium 1 133 MHz. I titoli amati, in ordine sparso: da Age of Empires a Earthsiege 2, da Earth 2140 a Carmageddon, e poi SimCity, SimCopter, i simulatori di volo, Populous, Black & White, Monkey Island, Wolfenstein, BloodRayne, Planescape: Torment, i Baldur's Gate (inclusi i Dark Alliance), Dark Forces, senza dimenticare Ultima Online, World of Warcraft, i due Knights of the Old Republic (giocati più volte di quel che il pudore mi consente di ammettere), Star Wars the Old Republic, i vari Max Payne, i Vampire the Masquerade: Redemption e Bloodlines, Kingdom Come: Deliverance e naturalmente la saga di The Witcher, quella di Dragon Age, i vari The Elder Scrolls (incluso l'Online) e soprattutto quella di Mass Effect, di cui è perdutamente innamorato. Dopo una primissima adolescenza trascorsa in compagnia dei romanzi di Tom Clancy e Bukowski, spicca il volo con gli autori canonici, tra cui Tolkien, G. R. R. Martin, J. K. Rowling, Weis - Hickman, Terry Pratchett, Stephen King, Gemmell, Howard e -in parte- Terry Brooks; attualmente adora la prosa di H. P. Lovecraft ma non tanto la sua poesia, divora Luk'janenko, Sapkowski, Karpyshyn, Zahn e tutto l'Universo Espanso di Star Wars.

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