In questo ventottesimo appuntamento della Tana dell’Orso, la rubrica settimanale dedicata alla mitologia nei videogiochi e affini, andremo a parlare di uno di quei titoli che all’uscita vengono un po’ sottovalutati, e poi scivolano sempre di più nell’oscuro oblio del dimenticatoio: mi riferisco a Viking: Battle for Asgard, un cocktail di ignoranza, cattive intenzioni e mitologia norrena.
V:BfA risale al Marzo del 2008, è stato sviluppato dalla britannica The Creative Assembly (la stessa casa di Alien: Isolation e della serie di Total War) e pubblicato da SEGA; è inoltre caratterizzato da un miscuglio di azione e avventura: due generi videoludici che questo titolo interpreta in modo interessante, seppure un po’ formulaicamente.
Riassumendo, è un gioco simile a God of War, ma più scanzonato e con meno pretese, che però include un certo livello di free-roaming.
Come abbiamo già accennato, questo gioco attinge a piene mani dal folklore e dalla mitologia norrena: per una volta, però, non c’entrano gli ormai quasi inflazionati, direi, Thor, Odino, Loki e compagnia Marvel bella.
No, stavolta cambiamo fronte: il nostro protagonista, Skyrim Skarin, è il campione di Freya, dèa della fertilità, della seduzione, della bellezza, ma anche della profezia, della guerra e perfino della morte.
La Freya del mito è estremamente esperta di magia seiðr, e le sue prodezze sessuali sono cantate nelle Mansǫngr: canzonacce da osteria, le definiremmo oggi, che narrano dell’insaziabile desiderio della dèa. Un desiderio che la spinge a sollazzarsi con nani, elfi, giganti, dèi e mortali, al punto che Loki arriva a definirla ninfomane.
Insomma, Freya è l’equivalente norreno della greca Afrodite, e quindi possiamo dire che sia anche strettamente legata alla figura di Venere. La Venere di Milo. Milo Manara. Ok, scusate. Era tutto un giro strano per arrivare a questa battuta s-p-e-t-t-a-c-o-l-a-r-e.
Dicevamo! Un’ambientazione norrena, in cui i temi mitologici spadroneggiano, ma senza andare troppo nell’epica eroica che permea alcune narrazioni: qui è tutta una vicenda di famiglia, che arriva a includere un contratto da stagista per il povero Skarin.
Per riassumere, le solite beghe familiari strabordano dal reame di Asgardr, e finiscono per inondare il regno di Midgardr, cioè la Terra dei mortali.
In questo caso vediamo che Hel, una dei figli del trickster Loki, viene bandita da Asgardr per aver disobbedito agli ordini dell’All-father Odino, e viene relegata nell’omonimo regno di Hel: le fredde lande in cui dimorano i morti disonorevoli.
Hel però non ci sta, e opta per l’all-in: si mette in testa di liberare Fenrir, l’apocalittico lupo incatenato che troviamo anche nell’Edda poetica, così da scatenare il Ragnarok e la fine degli dèi. Muoia Sansone con tutti i filistei, in pratica.
Virtualmente alla testa di un’armata non-morta, comandata da un suo campione, la cara Hel e le sue truppe infernali marciano su Midgardr.
In questo preludio del Ragnarok, in cui le forze del Caos devastano i mondi, il campione di Hel si ritrova ad affrontare un coraggioso guerriero, che però viene assalito da visioni e tira le cuoia.
Apparentemente a caso, Freya ripristina la vita di questo guerriero vichingo appena colpito a morte, e lo nomina suo campione. How chivalrous.
Skarin non conosce bene la ragione per cui la scelta della dèa sia ricaduta proprio su di lui, ma poi scuote la testa, si strappa la camicia e si butta nella mischia a torso nudo. Tipo in Norvegia, con la neve e i lupi.
Va detto che non ci sono tantissimi personaggi con cui interagire, quindi tutto si riduce a un “Va’ lì e ammazza dodici cinghiali“, come se fossimo dei livellini su World of Warcraft.
Sappiamo solo che possiamo esplorare man mano tre isole, con una formula parzialmente improntata al free-roaming, e che dobbiamo reclamare le fortezze e le aree strategiche conquistate dalla versione nordica dell’armata delle tenebre e della Scourge del Lich King.
Nel corso delle nostre commissioni avventure potremo liberare dei commilitoni imprigionati, che ci seguiranno in battaglia e ci daranno certo tocco d’eroismo, che non guasta mai. Proprio come in God of War, inoltre, potremo imparare e potenziare delle devastanti combo, e troveremo anche gli orb che tanto piacciono a Kratos:
Il tutto si risolve nell’esplorare più o meno di nascosto le fortezze e gli accampamenti nemici, eliminare bersagli chiave (Skarin sarebbe Barbaro 19 / Rogue 1 in D&D), per poi metterci alla testa di un esercito sempre più corposo… e caricare.
Una volta uccisi i campioni delle fortezze, che dropperanno le importantissime Rune del Drago, e aver accoppato i fastidiosi sciamani che evocano rinforzi a spam, potremo reclamare l’area per conto dei Vivi e, per estensione, di Freya; la stessa dèa interverrà, una volta catturati determinati punti strategici, per purificare l’area con il suo potere.
Ah, una chicca: uno degli importantissimi obiettivi strategici perseguiti da Skarin è costituito… dal recupero di barili di idromele. Non che non approvi, sia chiaro, ma così non facciamo che confermare gli stereotipi!
Il gioco, però, non è tutto incentrato sull’hack ‘n’ slash più spudorato e spensierato. In parte sì, ma c’è anche dell’altro. Le Rune del Drago, ottenute in sostanza accoppando determinati mini-boss, ci permettono di evocare… dei draghi. Ma la cosa ha senso?
Non dimentichiamoci che i draghi non sono un’esclusiva di un sistema mitologico in particolare: ad esempio nel mito norreno il confine tra serpente e drago è sfumato, e troviamo Níðhöggr (Vǫluspá dell’Edda poetica), Jörmungandr (Edda poetica ed Edda in prosa) e Fáfnir (Gesta Danorum), tra gli altri.
E quindi la questione dei draghi come funziona? Durante il gioco troviamo un emblema di drago, una sorta di medaglione che andrà a contenere le gemme di drago che recupereremo, e cioè Hugin, Mugin e Mjolnir (sic). Una volta assemblato e ricaricato, questo emblema ci permette di arruolare tre draghi, uno per ciascuna isola.
Durante gli assalti finali alle cittadelle, alle fortezze e agli accampamenti, cioè in sintesi alle strutture strategiche che sono il nostro obiettivo, potremo spendere delle Rune del Drago per evocare le simpatiche bestiole in questione, e impartire loro degli ordini tramite l’Occhio di Asgard.
In questa modalità osserveremo il campo di battaglia dall’alto, un po’ come se fossimo Heimdallr, e potremo scegliere di affidare alcuni obiettivi ai draghi invece di occuparcene di persona, tenendo presente che loro ad esempio possono one-shottare gli sciamani, i loro vicini di casa e anche i parenti lontani, fino alla settima generazione.
Fatto per questo tutte e tre le isole, si arriverà all’endgame e al quick time event finale.
Schiaffi, arti mozzati, teste che volano e Kratos che annuisce, soddisfatto, dall’Olimpo; alla fine arriveremo a fronteggiare Hel, che assumerà la sua weird and creepy forma da guerra, ma non riuscirà a salvarsi dalla furia deicida dello spartano di Skarin.
A quel punto, giustamente, il protagonista chiederà la sua ricompensa: essere ammesso nel Valhalla. Ci sta, no? Freya però rifiuta, e Skarin è basito. Per qualche secondo. Poi ci riflette su per un istante, e decide di farle causa. No, decide di liberare Fenrir e dare quindi inizio al Ragnarok, la fine del mondo.
Così, de botto, senza senso.
Tempo d’asce e di scudi, il lungo inverno del Fimbulvetr, le peggio cose, ma i mortali in qualche modo sopravvivono.
Gli dèi no. Lol. Beh, in realtà, gli dèi in un certo senso sopravvivono, incarnandosi in determinati fenomeni naturali, ma comunque ora i mortali sono liberi di scrivere il proprio destino.
Buio, sipario, applausi.
Prima di incamminarci in quella valle di lacrime che sarà l’analisi degli elementi mitologici in Viking: Battle for Asgard, dobbiamo premettere che qui non c’è alcuna pretesa di accuratezza, e che l’ispirazione vagamente GoW-like fa sì che alcune tematiche sarebbero state decisamente più ardue da affrontare.
Dunque. Detto questo partiamo dal fatto che, nel mito norreno, il ruolo di Hel non è quello di liberare Fenrir, suo fratello: il suo compito è quello di regnare sui morti senza onore, e di far preparare la nave Naglfar, costruita con le unghie dei traditori e degli assassini, che i morti e le forze del Caos useranno come mezzo di trasporto per andare in battaglia nel Ragnarok.
Hel, figlia di Loki, è anche la dèa del dolore, della malattia e della disperazione. In origine il portfolio clericale di Hel era molto più legato alla Grande Madre Terra; in un secondo momento è slittata sempre più verso l’Oltretomba e il regno dei morti, fino a diventare assimilabile a una sorta di fusione tra Persefone ed Ecate.
A differenza di Persefone, però, la Hel norrena era contenta del gelido regno assegnatole da Odino, tanto che fu lei a donare i corvi Huginn e Muninn al padre degli dèi.
A proposito dei corvi più famosi della mitologia nordica: nella Gemma di Hugin e in quella di Mugin mi sembra abbastanza palese il cenno a Huginn e Muninn, i due corvi di Odino a cui abbiamo appena accennato. La terza, quella di Mjolnir, ovviamente si riferisce a Mjöllnir, il celeberrimo martello di Thor.
Huginn, il pensiero, e Muninn, la memoria, all’alba spiccano il volo per sorvolare il mondo intero, e al tramonto tornano dal Padre di Tutto per sussurrargli quello che hanno appreso.
Forse le Gemme di Hugin e Mugin, che ci permettono di evocare due dei tre draghi, sono un canale telepatico con queste antiche creature draconiche? Sia come sia, vediamo un’efficace rappresentazione dei due volatili nella serie TV American Gods, che continuo a consigliare ai lettori di questa rubrica.
Abbiamo già parlato di Freya, la dèa della bellezza, della fertilità e della guerra, e tutto sommato in V:BfA non viene resa male. Come armi usa una sorta di sottili falcetti da guerra, che richiamano anche il tema della madre terra, della fertilità e di Persefone. Ci sta.
C’è un problema: Skarin la prega di accettarlo nel Valhalla. No, caro Skarin, il Valhöll è appannaggio di Odino e delle valchirie che raccolgono metà dei caduti in battaglia, invece Freya accoglie l’altra metà nei campi di Fólkvangr e a Sessrumnir, il palazzo dalle molte sedute.
Anzi, in realtà la prima scelta spetta proprio a Freya, com’è stato deciso dopo il conflitto tra Aesir e Vanir, cioè le due principali fazioni divine; Freya, una dei Vanir, compie la sua scelta, e la restante metà va nel Valhöll dell’Aesir Odino.
Invece i morti senza onore, i morti di vecchiaia o malattia, i traditori e gli assassini finiscono in Hel, da cui deriva il termine Hell (Inferno).
Un altro aspetto da sottolineare: Freya consegna al proprio campione uno speciale medaglione, che funge da bussola e ricopre altre funzioni nel gioco; anche nel mito questo medaglione, Brísingamen, è ben più che presente.
Freya lo ottenne da quattro nani, Álfrigg, Dvalinn (vi ricorda il Dwalin della stirpe di Durin, forse?), Berlingr e Grérr, in cambio di una notte di sesso. A turno, non tutti e quattro contemporaneamente: a tutto c’è un limite, suvvia. La dèa la ottenne, quindi possiamo supporre che da qualche parte ci sono quattro nani piuttosto contenti e soddisfatti.
Ah, di Brísingamen si parla anche nel poema epico Beowulf: l’eroe sottrae il ciondolo ai Brising, probabilmente proprio quei quattro nani. Vorrei sottolineare inoltre un’altra similitudine tra Freya e Afrodite: la prima aveva una collana magica forgiata dai nani, la seconda una cintura magica forgiata da Efesto.
Il celebre lupo gigante viene raffigurato, in Viking: Battle for Asgard, come una sorta di gigante mostruoso. Non si tratta di un errore, a mio avviso, visto che più di una fonte letteraria paragona i giganti proprio a dei lupi famelici.
Proprio come nel gioco, inoltre, il Fenrir (o Fenris) del mito è stato incatenato dagli dèi, e potrà liberarsi soltanto all’inizio del Ragnarok. Anch’egli figlio di Loki, come Hel e il Miðgarðsormr (il serpente del mondo), venne allevato a Jǫtunheimr, il reame dei giganti, finché gli dèi di Asgard non scoprirono gli altarini del dio ingannatore.
Se Hel ricevette un regno e il Miðgarðsormr / Jormungandr venne relegato sul fondale oceanico, Fenrir venne in un certo senso adottato dagli dèi. I lupetti sono carini, ammettiamolo. A un certo punto, però, ops! Il lupetto divenne un lupo gigante, al punto che soltanto Tyr, il dio della guerra (nonché una delle mie band preferite), aveva il coraggio di dar da mangiare alla bestiola parlante.
Le profezie iniziarono a individuare in Fenrir la fine del mondo, letteralmente, così con un sotterfugio gli dèi convinsero il lupo a misurare la propria forza, spezzando le catene con cui lo avrebbero legato; e il lupo così fece, spezzando prima Lœðingr (lenza, oppure ciò che lega con astuzia), e poi Drómi (vincolo, laccio).
Gli Aesir si guardarono l’un l’altro, con un rivolo di sudore sulla fronte, e inviarono Skìrnir, servitore di Freyr (il fratello di Freya) a commissionare una catena speciale nella forgia di alcuni nani Dvergar, residenti nello Svartálfaheimr (il reame degli elfi scuri). Praticamente dai Duergar dell’Underdark.
I nani grigi presero sei elementi naturali particolarmente difficili o impossibili da ottenere:
Il risultato fu Gleipnir: un laccio di seta, molto più resistente del miglior acciaio mai forgiato. Gli elementi vennero consumati nel crafting, ed ecco spiegato perché, ancora oggi, queste cose non si vedano poi così spesso.
Gli dèi convocarono Fenrir sull’isola di Lyngvi, situata nel lago Ámsvartnir, ma il lupo cattivo fiutò l’inganno; accettò di essere legato con Gleipnir e di tentare di spezzarla, ma solo a patto che uno degli dèi poggiasse una mano nella sua bocca, in segno di fiducia reciproca.
Tyr accettò, e naturalmente la mano venne mozzata quando Fenrir si accorse dell’inganno con salsa di magia nanica. Il celebre dio monco, che ritroviamo anche in alcune ambientazioni di Dungeons & Dragons, prima di quest’evento non aveva questo soprannome.
Con l’aiuto di Gelgja, Gjöll e Þviti, rispettivamente il legaccio (o il palo) posto all’estremità della catena e due grosse pietre, gli dèi imprigionarono Fenrir, e per buona misura gli incastrarono una spada tra le fauci, che restano ancora oggi spalancate e sbavanti.
All’inizio del Ragnarok tutti i legami saranno spezzati, inclusi di quelli di parentela; purtroppo nel novero dei legami rientra anche la catena Gleipnir: Fenrir sarà libero, sbranerà Odino e verrà ucciso dal figlio di questi, Vidarr. In Viking: Battle for Asgard invece è Skarin a spezzare Gleipnir, provocando la morte degli dèi.
Anche il demone-lupo per eccellenza però ha una prole: Hati, che insegue e ingoierà la Luna, e Skoll, che farà lo stesso con il Sole. Nel tempo libero Hati e Skoll sono su World of Warcraft. Non mi credete? Sono entrambi pet degli Hunter (anche della mia, anche se il mio main resta il Paladin), in un modo o nell’altro.
Hel, però, si rivolge a Skarin chiamandolo figlio di Fenrir. Cos’avrà voluto dire? In un primo momento ho pensato a un’anticipazione di un sequel mai uscito, ma poi, riflettendoci, sono arrivato a un’altra conclusione.
Nella Vǫluspá, il primo poema dell’Edda poetica, si parla di un altro lupo celebre, che Snorri Sturluson, studioso islandese vissuto nel XIII secolo, inserisce nella stessa cucciolata -per così dire- di Skoll e Hati: Mánagarmr, figlio di Fenrir e della stessa ignota madre dei fratelli che corrono nel cielo.
E sapete cosa fa Mánagarmr?
Si nutre della vita degli uomini destinati a morire, arrossa le case degli dèi con sangue scarlatto. Si oscura la luce del sole nelle prossime estati, verranno tempi di tradimento. Che altro tu sai?
I nemici uccisi da Skarin rigenerano la sua salute e il suo potere, e oltretutto è proprio Skarin a provocare fisicamente il Ragnarok, spezzando la catena di Fenrir e dando inizio al lungo inverno, il Fimbulvetr.
Oltretutto anche Skoll e Hati hanno provato a difendere il padre, prima di essere spediti in cielo da Odino.
Fa riflettere, non è vero?
Gli attacchi speciali acquisiti da Skarin sono tutti palesi richiami a vari temi e personaggi della mitologia norrena. Ve li elenco brevemente, altrimenti c’infiliamo in una palude che Fensalir (le paludose sale di Frigg, moglie di Odino) al confronto sembra il Sahara:
Dovrebbero essere tutte. Le traduzioni sono mie, ma trovate qui i nomi originali delle abilità di Viking: Battle for Asgard.
Come vedete, The Creative Assembly s’è infognata non poco con la mitologia norrena, quasi quanto voi, cari lettori, che siete arrivati fin quaggiù.
Se non l’avete già fatto, vi consiglio di dare un’occhiata alla mia recensione su Journey to Ragnarok, tanto per restare nei Nove Mondi: un modulo d’ambientazione per D&D tutto italiano, che ha vinto non in una ma in ben due categorie dei Player Awards.
A questo punto non mi resta, come ogni settimana, che ringraziarvi per aver condiviso con me questo tuffo nella mitologia, e darvi appuntamento a Mercoledì prossimo.
This post was published on 10 Aprile 2019 20:05
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