Con questo articolo arriviamo al vault all’appuntamento numero 25 della rubrica della Tana dell’Orso: sempre restando nell’ambito della mitologia nei videogiochi, oggi parleremo della pesante influenza di Lovecraft nella saga di Fallout.
Ok, il Ciclo dei Sogni, il Ciclo di Cthulhu e le altre opere del Solitario di Providence non sono esattamente mitologia, però il suo corpus letterario e gli innesti successivi costituiscono un insieme organico con un proprio sistema di miti, credenze e leggende. Non è un caso se ci riferiamo al più conosciuto ciclo letterario di H.P.L. con il termine di Miti di Cthulhu.
Without further ado, addentriamoci insieme all’interno della saga post-apocalittica di Fallout.
Nel primo capitolo della serie non ci sono riferimenti espliciti e inequivocabili, ma questo a noi indagatori dell’occulto ci fa un baffo. Baffo rigorosamente a manubrio, per restare nel periodo più prolifico di questo controverso scrittore di letteratura horror, fantascientifica e weird in generale.
Uno dei punti focali del pensiero di Lovecraft è sempre stato l’orrore per l’ignoto; a questo, spesso, si accompagna la graduale scoperta di forze aliene, sia che provengano dallo spazio esterno sia che invece affondino le proprie radici nel passato mitico dell’umanità -e una cosa non esclude necessariamente l’altra-.
Forze che in molti casi corrompono la mente, l’anima e il corpo degli sciocchi mortali che osano anche solo guardarle di sfuggita.
Ebbene, il protagonista del primo Fallout, il Vault Dweller, si ritrova costretto a dover affrontare l’ignoto: un vasto, pericoloso, sconosciuto e desolato deserto, alla ricerca della conoscenza (in senso lato) e della salvezza per la propria gente.
Durante questo viaggio, però, il Vault Dweller scopre che sotto la sabbia si celano le rovine dimenticate della civiltà di un passato mitico, risalente a prima della Grande Guerra che ha devastato il mondo intero.
Da queste rovine si allungano i poco metaforici tentacoli di una mente ormai aliena, corrotta e corruttrice, che piega e distorce i corpi e le menti degli esseri umani fino a trasformarli in abomini decisamente inumani.
Sì, sto parlando di The Master, dei Super-Mutanti e del culto dei Children of the Cathedral.
Tutto questo, oltretutto, accade mentre i pochi superstiti dell’umanità regrediscono verso gli istinti primordiali, razziando e spesso cannibalizzando letteralmente i propri simili, cercando disperatamente di sopravvivere in un mondo che ormai è ostile nei confronti dell’obsoleta specie umana. Non so se mi spiego, insomma.
Ottant’anni dopo vediamo il protagonista di Fallout 2, il Chosen One, che lascia indietro la propria casa e i propri cari per mettersi alla ricerca di un leggendario artefatto: una sorta di Sacro Graal, una panacea per i mali che affliggono i discendenti della perduta civiltà umana.
L’oggetto delle ricerche, delle brame e delle fatiche del Chosen One ha, già di per sé, un certo vibe mitologico: GECK è l’acronimo per Garden of Eden Creation Kit, cioè kit per la creazione del Giardino dell’Eden.
Tornando a Lovecraft, però, nel corso di una quest ricevuta a Gecko abbiamo la possibilità di fare la conoscenza di un mago, chiamato Grande Ananias, e della sua genuina mummia egiziana.
Una mummia che poi si rivelerà essere un ghoul rapito e camuffato. Il Grande Ananias, però, pronuncia una frase che all’epoca mi fece drizzare le antenne:
I know things that mere mortal man is not meant to know. Aiiieeee! Nyarloth– Oh, sorry (heh, heh). Got a little carried away there for a moment. I have tales of a Ghost that haunts these very grounds, as well as a Jan-u-wine Egypt-ee-an Mummy that you can see, right here in this marvelous sarcophagus.
Il tema egizio, le cose che un mero mortale non dovrebbe conoscere, e soprattutto il nome -seppur parziale- di Nyarloth- sono un ovvio riferimento al Nyarlathotep di Lovecraft: il Caos Strisciante, conosciuto anche come La Bestia durante l’impero egizio. Beh, sicuramente non è un riferimento sottile, criptico e nascosto, ma ci accontentiamo.
Nyarlathotep, nella letteratura lovecraftiana, è il servitore di Azathoth nonché il messaggero, l’anima e il cuore degli dèi esterni; questa misteriosa quanto potente figura, inoltre, nasce da un sogno di Lovecraft che ruota attorno proprio allo spettacolo di un mago, come lo è il Grande Ananias.
Qui c’è molta più ciccia, cari lettori miei. Fallout 3 è saldamente al secondo posto nella classifica dei capitoli più ricchi di citazioni e riferimenti alle opere di Lovecraft. E non c’è nemmeno tanto da lavorare di fantasia e speculazione: molti di questi riferimenti sono volutamente ovvi.
Tanto per cominciare, c’è l’evidente tributo al racconto L’orrore di Dunwich nell’edificio chiamato Dunwich Building che, nella saga di Fallout, era di proprietà della Dunwich Borers LLC. Ritroveremo quest’azienda, specializzata nella produzione di macchinari per lo scavo di tunnel (un dettaglio non secondario), anche in Fallout 4.
Il nostro Lone Wanderer si ritrova a esplorare l’edificio della compagnia, e trova alcuni olonastri che raccontano la storia -e gli ultimi istanti di vita- di Jaime Palabras: questo personaggio è, all’inizio, un semplice ragazzo sperduto che cerca disperatamente il padre, fuggito dopo essere impazzito in seguito al ritrovamento di uno strano libro.
Se fin qui la storia suona già familiare ai lettori di Lovecraft, quello che accade più avanti farà vibrare ancor più intensamente le loro corde interiori. Già, perché Jaime alla fine trova suo padre, trasformato in una creatura mostruosa (un ghoul), recupera il misterioso libro e si addormenta vicino a uno strano obelisco, dove si trasformai anch’egli in un’orrenda creatura mutata.
Ma non è tutto, naturalmente: durante la registrazione degli olonastri, infatti, Jaime nomina un certo Alhazred. Sì, proprio Abdul Alhazred, l’Arabo pazzo autore del celebre Necronomicon, lo pseudobiblion inventato da Lovecraft in persona.
In questo suo viaggio verso la pazzia, che noi ripercorriamo a distanza di tempo, Jaime esplora l’edificio della compagnia e scopre le rovine sotterranee dimenticate e abbandonate: sempre più profonde, sempre più oscure, sempre più allucinanti. Piuttosto letteralmente, intendo: più ci addentriamo nelle rovine, più assisteremo a delle allucinazioni, a delle visioni di un passato risalente a prima della Guerra.
Queste visioni ci mostrano, per un istante, che i mostri deformi che ci troviamo davanti erano in origine degli esseri umani proprio come noi; le visioni svaniscono, e i mostri diventano ostili. Nella parte più profonda di queste rovine troviamo Jaime, ormai mutato definitivamente, che -come un empio sacerdote con tanto di seguaci ghoul- adora uno strano obelisco radioattivo, che emette altrettanto strani e incomprensibili sussurri.
Proprio questo obelisco ritorna prepotentemente nel corso del DLC Point Lookout, ambientato nella nebbiosa, paludosa e inquietante penisola alla confluenza del Fiume Potomac e della Baia di Chesapeake. In questo ridente paesaggio incontriamo esseri umani deformi e impazziti, frutto di procreazioni incestuose e di una progressiva regressione allo stato semi-animalesco.
Seguendo il filo narrativo di questo DLC ci ritroveremo a cercare di infiltrarci nel misterioso culto di questi esseri deformi, e il nostro Lone Wanderer, improvvisatosi indagatore dell’occulto, si ritroverà gabbato e lobotomizzato. No, non stiamo giocando a un ipotetico Fallout: Call of Cthulhu.
Tra un’entità maligna che una volta era un essere umano, piani per la dominazione delle menti del Maryland, visioni, cultisti e tradimenti, il DLC prosegue fino alla sua dicotomica conclusione.
Stavamo però parlando dell’obelisco nei sotterranei del Dunwich Building. No, non me n’ero dimenticato!
Il DLC di Point Lookout aggiunge anche un’interessante quest, dai toni spiccatamente esoterici e dalle tematiche prese di peso dalla narrativa di Lovecraft.
Nel corso di The Dark Heart of Blackhall, infatti, dovremo esplorare un antico maniero alla ricerca di un grimorio perduto, che potrebbe essere usato per completare un rituale blasfemo per controllare le deboli menti dei deformi abitanti delle paludi. Si tratta di rubare un testo sacro ai cultisti, in sostanza, esplorando le loro sale piene di altari e pugnali rituali.
Una volta recuperato questo libro, il Krivbeknih, possiamo consegnarlo a chi ha commissionato la nostra ricerca; in alternativa, però, possiamo tornare nel Dunwich Building, scendere nelle profondità del suolo fino all’obelisco di cui parlavamo in precedenza, e appoggiarvi sopra il grimorio. Il Krivbehnih svanirà nelle fiamme, incenerendo anche i ghoul circostanti.
Un contenuto tagliato si addentra ulteriormente nella vicenda, che è piena di antiche e blasfeme tradizioni di famiglia, culti segreti, missioni disperate e sacrifici umani per soddisfare entità aliene.
Il Krivbeknih è l’antico artefatto attorno a cui ruota la quest che abbiamo appena visto insieme; si tratta di un tomo oscuro, rilegato in pelle (umana?), che reca sulla copertina un taglio ancora sanguinante.
Viene rinvenuto su un altare in pietra, all’interno di una fonte battesimale piena di sangue. Si tratta di un libro inerentemente malvagio, tanto che la sua distruzione ci fa guadagnare cinquecento punti karma positivi.
Evidentemente questa è una citazione degli altri tomi arcani e proibiti che costellano gli scritti di Lovecraft: oltre al celebre (e in un certo qual modo inflazionato) Necronomicon, non vanno dimenticati i Manoscritti Pnakotici, il Libro di Eibon, l’Unauspressprechlichen Kulten, il Cultes des Goules, i Frammenti di Celeno, il Testo di R’lyeh e il resto dei numerosi immaginari libri esoterici, inseriti all’interno dei Miti di Cthulhu da Lovecraft stesso o dagli altri autori (Robert Bloch, August Derleth, ecc.) con cui H.P.L. aveva avviato il gioco degli pseudobiblia.
In un terminale posto all’interno del Dunwich Building, possiamo leggere alcune righe piuttosto inquietanti: parlano di un tempio nelle profondità, non sfiorato da alcuna luce naturale, nonché del ritorno e della vendetta di Ug-Qualtoth, un’entità non meglio identificata a cui -a quanto pare- sono dedicati sia l’obelisco sia l’altare nei sotterranei dell’edificio.
Non so a voi, ma a me il nome di Ug-Qualtoth ricorda moltissimo quello di Yog-Sothoth: il malvagio dio esterno immaginato da Lovecraft, venerato da «certi culti segreti della terra» come il Guardiano della Soglia, la Guida, la Chiave e la Porta, ma anche come l’Altrove e come l’essere che tutto vede e tutto conosce, dato che è tutt’uno con lo Spazio-Tempo (ma è al di fuori di esso).
Yog-Sothoth è anche nipote di Azathoth: teniamolo a mente, ci servirà più avanti.
Il tono di Fallout: New Vegas è piuttosto diverso da Fallout 3, e gli elementi lovecraftiani sono decisamente meno presenti rispetto al capitolo precedente e a quello successivo. Forse in Obsidian Entertainment sono meno appassionati di Lovecraft rispetto a quelli di Bethesda Softworks? Non fa niente, li adoriamo lo stesso per aver realizzato Knights of the Old Republic II e Neverwinter Nights 2!
Torniamo a noi. In questo capitolo vestiamo i logori panni di The Courier, un corriere specializzato nell’attraversamento del deserto del Mojave. Se solo tutti i corrieri fossero così determinati!
Durante il gioco ci imbatteremo in una quest non segnata, chiamata The Screams of the Brahmin: ben presto ci accorgeremo che si tratta di un tributo a The Silence of the Lambs (in italiano Il Silenzio degli Innocenti), e che in un certo senso c’entra anche il mito del chupacabra; a mio avviso, però, qui torna ancora una volta l’Orrore di Dunwich. Mi spiego.
In quella quest i capi di bestiame di un allevatore vengono inspiegabilmente attaccati nottetempo, da una misteriosa creatura invisibile e non meglio identificata, che emette strani suoni. Questa creatura si rivela essere un Nightkin, cioè uno speciale Super-Mutante creato da The Master, capace di rendersi invisibile.
I Nightkin sono dotati di forza e intelligenza sovrumane, ma anche di una non indifferente dose di pazzia e paranoia: non si fanno vedere mai, se non quando attaccano, e questo Nightkin in particolare ode delle voci nella sua testa, che gli donano un tocco di prescienza.
Nell’Orrore di Dunwich, a cui abbiamo accennato più volte, luci inspiegabili e strani suoni accompagnano la nascita di Wilbur Whateley, nato da una madre leggermente deforme e da padre ignoto; il piccolo Wilbur cresce rapidamente, in modo assolutamente non umano, tanto da raggiungere la piena maturità a dieci anni.
Lui e suo nonno (un cultista) iniziano dei lavori per ampliare il vecchio fienile della fattoria, e contemporaneamente il bestiame che allevano inizia a mostrare inspiegabili ferite circolari.
Long story short, nel racconto troviamo un’enorme e mostruosa creatura invisibile, figlia di Yog-Sothoth, che attacca i capi di bestiame -presumibilmente- per nutrirsi della loro essenza, e anche una sorta di follia che dona prescienza e capacità particolari.
Se aggiungiamo l’eccezionale sviluppo e la rigenerazione cellulare accelerata dei Super-Mutanti, oltre all’invisibilità dei Nightkin e alla loro follia, ecco che il collegamento diventa molto più plausibile.
Nel quarto capitolo della saga ci ritroviamo a esplorare un’area geografica non così lontana da Providence, la città in cui Lovecraft è nato, è vissuto ed è stato sepolto: il Vault 111, situato alla periferia di Boston, disterebbe all’incirca un’ora in auto da Casa Lovecraft.
Il Sole Survivor può imbattersi in una certa varietà di riferimenti più o meno espliciti alle opere del vecchio H.P.L.: vediamone alcuni.
Girovagando attraverso le rovine di Boston, vi sarete sicuramente addentrati nella Galleria Pickman. All’interno della Galleria c’è un artista… decisamente peculiare, che esprime la sua arte piuttosto inquietante.
Tra il 1926 e il 1927 viene dato alle stampe il racconto Pickman’s Model, firmato H.P. Lovecraft, in cui leggiamo la testimonianza del signor Thurber, un veterano della Grande Guerra (la Prima Guerra Mondiale), estremamente turbato a causa di un’esperienza vissuta dopo essere stato invitato nello studio dell’artista Richard Upton Pickman, poi scomparso misteriosamente.
Pickman era un pittore brillante ma disprezzato dai suoi colleghi a causa dell’eccessiva crudezza delle sue opere, che raffigurano soggetti spaventosi ma inspiegabilmente realistici, tra cui un demone dall’aspetto alieno, vagamente canino, e dagli occhi color rubino, tutto preso nell’intento di divorare un essere umano.
Grazie a un foglio di carta arrotolato (una fotografia, in realtà), Thurber scoprirà che in fondo la fantasia del pittore non era poi così prolifica, e che Pickman traeva la sua ispirazione da altre fonti.
In Fallout 4 noi, veterani della Grande Guerra (o relativa consorte), veniamo in un certo senso invitati nella Galleria Pickman, dove scopriamo l’arte decisamente creepy del cortese pittore Pickman: quadri alieni, quasi certamente dipinti con il sangue delle sue vittime, di cui l’artista colleziona allegramente i teschi. Se lo aiuteremo a salvare la pellaccia, ci lascerà un foglietto di carta piegato, in cui ci ringrazia e ci chiama Killer.
Inoltre nel racconto The Dream Quest of Unknown Kadath (in italiano La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath), scritto da Lovecraft nello stesso periodo di Pickman’s Model, il personaggio di Pickman riappare nel ruolo di aiutante del protagonista Randolph Carter.
Casa Cabot è l’immacolata abitazione, con alcuni simpatici abitanti, che incontriamo in Fallout 4 in una quest legata al vicino manicomio Parsons State Insane Asylum. Qui dobbiamo fare ordine: ci sono diversi riferimenti alle opere di Lovecraft.
In primo luogo la quest ruota attorno alla figura di Lorenzo Cabot, un archeologo con una predilezione per l’antichissima città di Ubar, fondata oltre quattromila anni prima della più antica civiltà umana. Le civiltà pre-umane sono un punto fisso nei miti e nelle leggende che nascono dalla penna di Lovecraft.
In secondo luogo, scopriamo che nel 1894 Cabot era partito con una spedizione archeologica alla volta della misteriosa Arabia Saudita, per esplorare la città di Ubar, sepolta sotto il deserto di Rhub al-Khali: “il quarto vuoto”, cioè l’immenso deserto nella parte più meridionale dell’Arabia.
Nella sua Storia del Necronomicon, H.P. scrive che Abdul Alhazred trascorse dieci anni da solo nel grande deserto meridionale dell’Arabia: il Roba al Khaliyeh, o Spazio Vuoto degli antichi.
Terzo, nel diario di Lorenzo Cabot è sottolineata la presenza di una tempesta di sabbia al momento dello scavo; un po’ come quella che guida il protagonista del racconto di Lovecraft The Nameless City, e che lo accompagna in un’immensa rovina più antica della prima civiltà umana, situata nei deserti della Penisola Arabica.
Si tratta della stessa città senza nome che compare anche nei sogni di Abdul Alhazred, la notte prima che questi componesse il celebre distico:
Non è morto ciò che può attendere in eterno, / e col volgere di strani eoni anche la morte può morire.
Quarto, durante le sue ricerche Cabot trova vari indizi degli alieni abitanti di questa città, tra cui una misteriosa corona che, una volta indossata, gli garantisce poteri speciali e l’effettiva immortalità, al costo della sua sanità mentale. Proprio come Abdul Alhazred, insomma. Ah, la corona è piuttosto simile, nella natura e negli utilizzi, alla Corona Ayleid di Nenalata, che ritroviamo sia in Oblivion sia in The Elder Scrolls Online.
Quinto, al suo ritorno a Boston, Cabot viene prontamente rinchiuso in un manicomio degno di nota, il Parsons State Insane Asylum.
Questo istituto si basa sul Danvers State Insane Asylum, realmente esistente, che compare in almeno due delle opere del Solitario di Providence (Pickman’s Model e The Shadow over Innsmouth) e che, in sintesi, dà origine all’Arkham Sanitarium immaginato da Lovecraft e confluito, con le opportune modifiche, nell’Arkham Asylum legato alla storia di Batman.
L’esterno del Danvers State Insane Asylum, inoltre, è riprodotto piuttosto fedelmente nel videogame Painkiller, pubblicato nel 2004.
Sesto e ultimo punto, Jack Cabot -quest giver e figlio dell’archeologo Lorenzo Cabot- ci dice che la città di Ubar, pur essendo molto più antica dell’umanità stessa, possedeva una tecnologia nettamente superiore alla nostra; oltre a questo ci riferisce anche che il padre gli ha raccontato di utensili fatti per mani non umane, di sculture che accennavano a dimensioni oltre la nostra, e soprattutto di strane geometrie e angoli inquietanti.
Credo che questa sia la quest più intrisa di tematiche lovecraftiane di tutta la storia dei videogiochi, se escludiamo i titoli ispirati direttamente dagli scritti di H.P.
Dopo la pregevolissima avventura nel Dunwich Building di Fallout 3, di cui abbiamo trattato abbondantemente, non poteva non esserci qualcosa del genere anche in Fallout 4. E infatti ci imbattiamo negli scavi realizzati dalla ditta Dunwich.
Anche in questi luoghi assistiamo a visioni paranormali e allucinazioni misteriose: nello specifico si tratta di flashback che richiamano tempi anteriori alla Grande Guerra.
Ma non è questo il punto focale, stavolta: man mano che ci avviciniamo al fondo della miniera percepiamo, oltre ai flashback, anche misteriosi scalpiccii, crescenti vibrazioni e cupi brontolii, e una volta giunti in fondo scorgiamo parte del viso di una gigantesca statua, ancora sepolta nel suolo.
Nel racconto The Shunned House, in italiano La casa stregata, Lovecraft scrive di una casa abbandonata e infestata da spettri, sotto la quale il protagonista scopre il gomito semi-sepolto di un colosso, evidentemente interrato sotto l’edificio.
Ma le sorprese di Dunwich Borers non si esauriscono certo con una statua titanica e un po’ di strane visioni, suvvia!
Su un altare lì vicino, tra due mini-nuke, troviamo uno degli artefatti arcani ancora presenti nella lore di Fallout: il Kremvh’s Tooth. Ricordatevi delle mini-nuke, ci torneremo tra poco.
Si tratta di un pugnale sacrificale, collegato ad antichi rituali ipogei, e direi che potrebbe benissimo far parte di una triade di artefatti, insieme all’obelisco e al tomo Krivbeknih, dato che tutti i luoghi interessati sono di proprietà della compagnia di scavi Dunwich.
Tra i fan ci sono numerose teorie astruse che collegano la statua sotto gli scavi, il pugnale, il grimorio e l’obelisco: una in particolare riguarda un colosso dormiente di nome Kremvh, che aspetta di essere risvegliato dai suoi cultisti con un sacrificio rituale sull’altare dell’obelisco. Suona familiare, eh?
Le mini-nuke. Armi nucleari portatili, presenti da Fallout 3 in poi. Nucleari, quindi radioattive.
In Fallout 4 ritroviamo un culto dedito all’adorazione di Atom, il Dio dell’Atomo, già introdotto con il terzo capitolo; gli adepti venerano materiale radioattivo, e credono che all’interno di ogni atomo si celi un intero universo, e che la fissione nucleare generi numerosi nuovi universi.
La radioattività è il potere di Atom, e il Glow presente nel gioco è la connessione diretta con la divinità, nonché il luogo più sacro per questo culto.
Qui ora si va nella speculazione pesante: in Atom vedo un tenue riflesso di Azathoth, che è la personificazione della forza nucleare debole, quella che -in breve- è la responsabile della radioattività, o per essere leggermente più precisi, del decadimento beta del nucleo atomico.
Inoltre nel De Vermis Mysteriis, scritto da Robert Bloch e inserito nei Miti di Cthulhu, leggiamo che per evocare Azathoth serve una grande quantità di materiale fissile, come l’Uranio.
Alcuni potrebbero sottolineare che Azathoth è chiamato anche, letteralmente, Caos Nucleare; in questo caso, però, nucleare significa centrale, perché il dio cieco e idiota è situato al centro del cosmo.
Abbiamo discusso a lungo di Azathoth e della fine della realtà causata da un suo eventuale risveglio, nonché della creazione di nuovi universi, nell’articolo relativo al CHIM e all’Amaranth nella lore di The Elder Scrolls.
Per concludere la parte relativa all’atomo e alla radioattività: nel racconto The Colour out of space, il Colore venuto dallo spazio -appunto- non rendeva luminescente la materia, in particolare quella organica e vivente? E cos’è il Glow di Fallout 4, se non una luminescenza causata da radiazioni ionizzanti? Ci sarebbe da approfondire, qui, cari lettori, ma passiamo oltre.
L’intero DLC di Far Harbor ha un’atmosfera che ricorda parecchio le coste isolate e nebbiose descritte da Lovecraft; i panorami del Maine sono piuttosto vicini e molto simili a quelli osservati dall’autore durante la sua vita.
Ritroviamo quest’ambientazione in The Shadow over Innsmouth, che narra di un villaggio costiero e dei segreti, custoditi gelosamente, che legano al mare i suoi scontrosi e deformi abitanti.
In Far Harbor, inoltre, ritroviamo i cultisti dell’Atomo di cui abbiamo già parlato, e il costante ticchettio del contatore Geiger ci ricorda a ogni passo che una forza intangibile e aliena può distruggerci facilmente, senza nemmeno accorgersi della nostra presenza, o quantomeno può distorcere il nostro corpo e la nostra fragile psiche.
L’insediamento di Acadia, infine, oltre a essere un riferimento all’omonimo Parco Nazionale situato nel Maine, potrebbe essere anche un velato accenno all’Arcadia di Lovecraft, il villaggio libero e dolce in cui le vecchie convenzioni cadono, le arti fioriscono sotto lo sguardo benevolo della Musa, ogni bardo è un artista e ogni artista è un Raffaello?
No, forse ora ci stiamo spingendo troppo oltre nella speculazione. Si cambia gioco!
Premetto che per una precisa scelta editoriale, come i lettori sicuramente già sapranno, la redazione di Player.it non si è unita al coro a tratti eccessivamente critico nei confronti di Fallout 76. Personalmente, inoltre, non ho scritto nulla su questo gioco che -per ragioni di tempo- non ho ancora avuto modo di provare, a parte un pronostico sulla presenza della Confraternita d’Acciaio e dei Super-Mutanti in Fallout 76, scritto quattro mesi prima dell’uscita del gioco e poi rivelatosi fondato.
Ad ogni modo in Fallout 76 c’è un’area segreta, situata sotto la Lucky Hole Mine; al di sotto di questa miniera possiamo trovare un’enorme creatura morta, dalle fattezze tentacolari e titaniche che possono ricordare le illustrazioni di Cthulhu e delle antiche creature sottomarine descritte da Lovecraft.
Un aspetto interessante è che attorno a questa creatura giacciono numerosi scheletri, su cui possiamo trovare barattoli di vetro e qualche oggetto appartenente a un culto o a un rito esoterico, tra cui lame da cultisti, daghe sacrificali, maschere rituali e abiti cerimoniali.
Nei dintorni troviamo alcuni holodisk che parlano di offerte rituali e di un Prescelto che ha sentito il Richiamo (di Cthulhu?), e che andrà a fondo nella realtà nascosta, sebbene la verità cambi la natura più intima di coloro a cui viene rivelata. Forse intacca la loro sanità mentale?
Tra queste note e indizi, veniamo a sapere che la creatura è The Firstborn of the Wood (il Primogenito della Foresta), e che aveva un suo culto e dei suoi cultisti uniti dal sangue.
Leggiamo però anche un altro nome: quello dell’Interloper, l’entità che chiama a sé i suoi prescelti. Forse si tratta della creatura dotata di tentacoli? O forse c’entrano gli strani totem e le cinque statue che circondano la creatura e i cultisti, e che riproducono dei volti apparentemente umani?
Sono quelle le stesse facce metalliche (o di pietra) che vediamo su alcune pareti fin dal primissimo Fallout. Secondo una teoria scovata su Reddit, quello sarebbe il volto dell’Interloper, presente nella lore di Fallout sin dall’inizio, e sembra che perfino il colosso sepolto sotto gli scavi Dunwich abbia proprio quel volto.
Un volto che troviamo spesso nella saga, e che a me ricorda moltissimo lo stile dei Dwemer di The Elder Scrolls. Si tratterà di un Easter egg che collega gli universi di Fallout e TES, come il Nirnroot presente in entrambe le saghe?
Forse ne sapremo di più in un futuro DLC, o addirittura nel prossimo capitolo di Fallout? Nel frattempo possiamo soltanto catalogare gli indizi, come stanno già facendo su Reddit.
All’interno della saga di Fallout sono presenti tonnellate di citazioni, riferimenti e tributi alle opere del Solitario di Providence. Probabilmente me ne sarà sfuggito qualcuno, quindi non esitate a segnalarli nei commenti e provvederò ad aggiungerli.
Se vi piace scoprire i riferimenti lovecraftiani nei videogiochi, vi consiglio di dare un’occhiata agli altri articoli a tema di questa rubrica, come ad esempio Bloodborne e l’orrore cosmico, oppure quelli sull’influenza di Lovecraft all’interno della saga di The Elder Scrolls (nello specifico Daggerfall, Morrowind, Oblivion, Skyrim e The Elder Scrolls Online).
A questo punto non ci resta, come sempre, che darci appuntamento a Mercoledì prossimo, con una nuova uscita della Tana dell’Orso.
This post was published on 20 Marzo 2019 20:51
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